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Roberto Manganaro era titolare assieme al fratello di una notissima concessionaria Honda a Catania. Il padre aveva iniziato l’attività con un negozio di ricambi affollatissimo di meccanici e clienti, tanti anni
addietro
Roberto Manganaro era titolare assieme al fratello di una notissima concessionaria Honda a Catania.
Il padre aveva iniziato l’attività con un negozio di ricambi affollatissimo di meccanici e clienti, tanti anni
addietro. Clienti dai quali ogni tanto dovevi guardarti se, come me, eri un ragazzino di quattordici anni
appena liceale e ti trovavi gomito a gomito con adolescenti figli della strada che erano lì non solo per
comprare i ”pezzi 90” per la vespa ma pure per cercare una preda per furtarelli da compiere in gruppo. A
me è sempre andata bene, comunque.
Del resto, la bottega dei Manganaro si trovava al limitare tra un turbolento quartiere popolare e il centro commerciale cittadino e comunque certe commistioni a Catania sono inevitabili. Troppo grande per essere paese, troppo popolosa per essere comunità, troppo provinciale per essere razzista, Catania ha trovato il limite di se stessa nelle proprie dimensioni di media caratura che non l’hanno portata nemmeno nei fulgidi anni ’80 a svincolarsi da una certa atmosfera di inevitabilità del piccolo e grande malaffare e di timore reverenziale nella richiesta dei propri diritti da parte dei cittadini, ma nonostante il difficile contesto l’attività dei Manganaro crebbe e crebbe bene se i figli seppero negli anni dare valore all’impresa e tutelare i vecchi dipendenti, assumendone di nuovi. Nei gesti e nella maniera di porgersi di Roberto io ho sempre ritrovato lo stesso garbo che il padre, nella piccola bottega dei primi anni ’80, usava verso i clienti e gli improvvisati meccanici che all’epoca cercavano spazio professionale e offrivano i loro, spesso scadenti, servigi in una Catania in pieno boom da cinquantino truccato.
Catania: all’epoca terreno franco per carburatori doppio corpo montati su vespa special, motociclette alimentate ad alcool, vigili urbani compiaciuti di un motore particolarmente veloce al punto di chiedere chi fosse stato il meccanico così capace, per portarci il motorino del figlio. Forse fu la legge sul casco dell’86 a segnare una soluzione di continuità tra questo allegro scorrazzare senza troppo andare sul sottile e un minimo di legalità. Da lì in poi qualcosa cambiò e tutti ci adeguammo. Io avevo un’Aprilia ET 50 ad alcol etilico. Riparai su dei pezzi 80 e un carburatore sotto il 24 e il mondo apparve a tutti come bello come prima.
La mia città perde i pezzi, lascia sul terreno della crisi economica e sociale di questo inizio d’anno non solo
famiglie in difficoltà ma posti di lavoro in bilico, abbrutimento, rabbia
Da negozio di ricambi i Manganaro diventarono concessionari Suzuki, Aprilia e gruppo Piaggio, spostandosi in una nuova sede adeguata al prestigio raggiunto. Ritiratosi il padre e passato il testimone ai figli Giuseppe e Roberto, quest’ultimo è sempre rimasto alle redini dell’attività e non era affatto raro che i suoi collaboratori riferissero a chi avesse chiesto uno sconto particolare o avesse avuto una richiesta appena fuori dall’ordinario che in quel caso bisognava “parlare con Roberto”. E lo dicevano con un sorriso, con spirito di collaborazione a necessità comuni che, quantomeno a me, faceva limpidamente pensare che davvero il clima all’interno della concessionaria fosse quello di una famiglia. Per quanto mi è stato dato da vedere in tutti questi anni (ho fatto i conti, sono circa 27… ), mi ha sempre fatto un gran bene all’animo vedere i vecchi dipendenti di suo padre lavorare ancora in concessionaria, dipendenti che sono cresciuti insieme all’azienda, vivendo le sue trasformazioni, probabilmente trovando nella concessionaria una fonte di sostentamento e il mattone sul quale costruire la propria vita, subendone le vicende alterne, condividendo un percorso di crescita e trovando sempre una soluzione ad ogni problema che i fratelli Manganaro hanno saputo superare per merito anche del loro indiscutibile spirito imprenditoriale. Non so, dopo questo terribile lutto, che cosa accadrà alla concessionaria.
La mia città perde i pezzi, lascia sul terreno della crisi economica e sociale di questo inizio d’anno non solo
famiglie in difficoltà ma posti di lavoro in bilico, abbrutimento, rabbia; quello che resta dopo ogni piccola
scaramuccia tra le grandi difficoltà che tutti incontriamo a sbarcare il lunario e la mancanza di una prospettiva certa cui affidare la speranza che domani andrà meglio è il drammatico senso di precarietà che qui al sud non è diverso da altrove, è triste uguale, pesa uguale.
Antonio Privitera