Andrea Lo Cicero: il gigante innamorato delle moto

Andrea Lo Cicero: il gigante innamorato delle moto
Durante i due mesi del Sei Nazioni, i giocatori della Nazionale di rugby diventano famosi come i calciatori: abbiamo “placcato” il veterano del team azzurro che a buon diritto possiamo annoverare tra i nostri compagni di strada | A. Rago
22 febbraio 2013

 

Il suo lavoro consiste nel gonfiare al massimo i muscoli come un bufalo che carica, nello spingere più forte possibile arando il campo, riportando indietro gli avversari, conquistando terreno ed aprendo spazi per le veloci incursioni palla alla mano dei compagni di squadra: nel rugby, pochi possono vantare un palmares più ricco di Andrea Lo Cicero, pilone della mischia azzurra e vero leader, in campo e fuori. Un tipo tosto, abituato alle dure ma leali sfide sul campo, ma anche personaggio simpatico e istrionico fuori dal rettangolo di gioco; lo chiamano il Barone, ed è pure il suo nickname, in onore delle sue origini nobili ma anche per lo stile aristocratico con cui interpreta il suo ruolo di atleta. In maglia azzurra, ha superato il traguardo delle 100 presenze, ed ancora non si ferma: domani (sabato 23 febbraio) guiderà all’Olimpico l’assalto al 15 gallese, sperando di ripetere la bella prestazione della gara d’apertura del Sei Nazioni, quando un po’ a sorpresa i rugbisti italiani sono riusciti ad imporsi sui galletti francesi, vicecampioni del mondo in carica.

Nella quiete del centro sportivo federale dell’Acquacetosa, l’Italia si prepara alla partita con il Galles: siamo riusciti a distrarre per qualche minuto Andrea dagli allenamenti in campo e dalle prove degli schemi di gioco, per parlare della sua grande passione. Quella per la moto.

Ci racconti dall’inizio il tuo rapporto con le due ruote?
«Chiamiamola colpo di fulmine: fin da ragazzo sono stato attratto dalle moto e come spesso accadeva ai ragazzi del sud, ho imparato a guidare ancora quasi fanciullo. Altri tempi: non c’era l’obbligo del casco e si stava spesso con la ruota anteriore in aria, per dimostrare agli amici l’abilità raggiunta. Il mio primo veicolo fu un Garelli a tre marce, e poi una Vespa 50 Special, con quattro marce. La passione mi è poi rimasta dentro e non mi sono mai più separato dalle moto».


In molti ritengono incompatibile la passione della moto con lo sport professionistico: hai mai avuto problemi in tal senso?
«Una delle clausole che inserisco tassativamente in ogni contratto riguarda l’assenza di vincoli all’uso delle due ruote. So bene che in molti casi questo accade, ma per quanto mi riguarda non posso immaginarmi costretto a limitare la mia libertà di movimento».


Nella tua lunga carriera, sei stato un globetrotter: hai indossato le maglie di Catania, Bologna, Rovigo, giocato su entrambe le sponde del Tevere con Roma e Lazio, sei stato a Tolosa ed a L’Aquila, ora sei accasato a Parigi. In quale città ti sei trovato meglio a guidare?
«Non ho dubbi: Roma è senz’altro la più divertente per chi usa la moto. A Parigi, invece, non mi sono mai ambientato del tutto, anche usando moto diverse. Per qualche tempo, Ducati mi ha messo a disposizione una Diavel e poi una Multistrada: moto fantastiche, ma poco adatte al traffico parigino».

 

Per me, le due ruote a motore sono solo le moto. Non mi vedo proprio in sella ad uno scooter. Dove finirebbero le emozioni, il piacere di guida, le sensazioni di libertà assoluta?

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Forse dovresti usare cambiare genere di veicolo...
«Non scherziamo: per me, le due ruote a motore sono solo le moto. Non mi vedo proprio in sella ad uno scooter. Dove finirebbero le emozioni, il piacere di guida, le sensazioni di libertà assoluta?».

 
Va bene, era una provocazione: oggi, quali moto troviamo nel tuo garage?
«Nel quotidiano, mi sposto in sella ad una BMW R 1200 GS Adventure, con serbatoio maggiorato: una moto che mi sento davvero cucita addosso, con cui ho una sintonia perfetta. Ma ho altre moto: due BMW, una R 90 S del ’76, ed una R 80 GS prima serie dell’80; ed ancora, una Gilera 175 Sport, una Moto Guzzi Falcone ex carabinieri ed una Moto Morini 175».


Sei attratto dalle moto d’epoca?
«Mi piace riportare in vita esemplari rimasti muti per molto tempo, che con pochi interventi tornano allo splendore originario. E’ un lavoro che mi riempie di gioia, al quale mi dedico nel tempo libero. Poi ci sono situazioni particolari, come quella legata alla R 90 S: la sto trasformando in una special insieme a due amici meccanici. L’ho adatta alle mie esigenze, cambiando sella, cerchi, coperchi delle testate, terminali di scarico e tanti altri dettagli, anche perché con questa moto conto di dar vita ad un progetto speciale».

 

A questo punto, devi dirci qual è...
«Non anticipo nulla, anche per scaramanzia: diciamo che con questa moto, che ha la mia stessa età (Andrea è nato il 7 maggio 1976, ndr), farò un viaggio quando sarò libero da impegni professionali. Lo immagino come una specie di pellegrinaggio, senza vincoli di tempo ed impegni in agenda: incontrare amici, fermarmi in visita ad aziende che producono eccellenze gastronomiche, fare un po’ di sano turismo. Insomma, godermela appieno. E sarà possibile solo con una moto, anzi con la “mia” moto».

 


Il tempo per le interviste è finito: le rigide regole del ritiro della nazionale di rugby, infatti, prevedono una “finestra” di pochi minuti con l’esterno. Gli atleti tornano ad allenarsi, noi ci avviamo verso l’uscita. Cogliamo negli occhi di Andrea un bagliore, d’invidia forse, quando prendiamo in mano casco e guanti. Chissà, forse vorrebbe uscire nel bel tramonto romano, tirando forte le marce della sua moto. A presto, campione, magari per farci raccontare del tuo viaggio!

Foto Aurelie Renée Decourteix/Claudio Villa
 

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