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Gioco a carte scoperte: con fratelli Antonio e Giancarlo Saitta abbiamo cercato di evitarci in tutti i modi ma, come vedrete, non ci siamo riusciti. Ciclicamente ad ogni EICMA ci si rivede anche se i nostri rispettivi stand sono a paglioni luce di distanza e, pensate, ai Moto Days di Roma di qualche mese fa i due fratelli siciliani hanno avuto anche l'ardire di dotare il loro stand di cannoli di ricotta con i quali tentare di far vacillare la splendida linea della nostra Marina.
Antonio e Giancarlo sono i due soci di Mass, l'azienda palermitana che produce raffinati impianti di scarico: mi confidano di avere quasi maggiore successo all'estero piuttosto che in Italia (tra l'altro forniscono gli impianti di scarico al customizer newyorkese Venier oltre che a Barbacane, Officine Sbrannetti, Arte della Meccanica, Officine08, Cafè Twin, TPR) e in un modo o nell'altro ci siamo sempre detti che prima o poi avremmo mostrato ai nostri lettori un'azienda nata per passione sulle colline di Misilmeri e che oggi da lavoro ad altri 15 appassionati di moto. Dicevamo sempre “un giorno o l'altro”, “prima o poi”, “allora mi raccomando sentiamoci”, ma continuavamo a vederci solo ai saloni dove loro espongono i loro impianti, talvolta anche installati su alcune moto molto particolari: due di queste sono le moto che Antonio usa per gareggiare nel Campionato FMI Moto Storiche, una del 1983 e del 1994 e a questo punto non dovrebbe stupire nessuno se ci siamo dati appuntamento in pista (non ditemi che vi aspettavate che ci vedessimo in pizzeria...) per fare quattro chiacchere.
Arriviamo al circuito di Racalmuto (AG) un sabato caldissimo e nel box troviamo la Moto Guzzi Le Mans e la Yamaha YZF 750R con i colori Mass: due moto fantastiche che vogliamo raccontarvi perché rappresentano l'essenza del divertimento in circuito, la passione per un certo tipo di motociclismo visto con gli occhi che brillano sopratutto da chi ha superato i 40 e che sono ancora il setto che collega un mondo che non c'è più (quello delle hypersport da 130 cv da domare col gas) alla contemporaneità fatta di controlli elettronici, ciclistiche assistite da sospensioni semi attive e riding mode: qui c'è solamente quello “full open”.
Uniche, logicamente, ma non per questo poco godibili accrocchi da circuito; Antonio me l'ha affidate senza pensarci due volte, e di questo lo ringrazio ancora per la fiducia sopratutto perché sono due moto che grondano cura e passione da ogni bullone; a dispetto della loro destinazione pista sono rifinite quasi come moto ufficiali, dalla verniciatura opaca, alla cura nell'ergonomia e alla raffinatezza artigiana di molti particolari.
La prima con la quale approccio il Circuito della Valle dei Templi è la Moto Guzzi Le Mans 1200, nata da un motore 850 a teste tonde ma rivista in tutto. Motore, telaio, sospensioni, sovrastrutture sono modificate per ottenere il massimo in gara: solo il basamento mi sembra abbia qualcosa a che fare con la moto originale. La Le Mans è piatta e rigida come un asse di ferro ma la posizione di guida non è nemmeno troppo coercitiva, esco dai box col motore che a dispetto dell'aumento di potenza di quasi il 100% non rifiuta i bassi regimi, tiene il minimo, non scalcia e appena apro il gas per lanciarmi fuori dal rettilineo dei box libera il suo urlo di maschia libertà. La Moto Guzzi si guida, a dispetto delle sezioni ridotte degli pneumatici e del peso contenuto, di corpo: non ama l'on/off del gas e risponde con reazioni nervose se non la si indirizza con decisione; capito il biglietto da visita, il divertimento è assicurato grazie anche al tiro impressionante del bicilindrico 1200 che allunga senza murare. Ma un difetto ce l'ha: devi avere la mano destra di Hulk; l'impianto frenante anteriore per regolamento FMI deve avere dischi originali, pinze a singolo pistoncino e pompa coeva alla moto, quindi in questo caso del 1983. Ecco, noi tutti abbiamo dimenticato com'era frenare negli anni '80 da oltre 200 all'ora con questi impianti che richiedono di applicare a mano piena - e gridando “banzai!” - una più che virile forza alla leva al manubrio. Dopo quattro giri (!) un po' allegri la mia mano destra era tumefatta e ho preferito restituire ad Antonio la sua Le Mans con tutti i pezzi al posto giusto.
Passiamo alla Yamaha YZF 750R. Qui il discorso cambia totalmente: larga, comoda, leggerissima in modo sorprendente, si guida, perlomeno alle andature di questo estemporaneo test, col pensiero. Anzi, l'unica remora è il cambio rovesciato (Antonio guida così anche la Guzzi). La cosa che stupisce è come un 750 cc possa spingere così forte in alto, tanto da non far affatto rimpiangere moto più moderne e certamente più dotate di cavalli. Mi viene in mente un paragone con la Honda RC30 SBK Rumi (anche se quella è una moto del 1989) che ho avuto l'onore di guidare per quattro giri a Pergusa e non saprei dire con assoluta certezza quale delle due sia più potente, certo questa Yamaha fa tantissima strada in uscita di curva e arrivati in fondo al rettilineo non si fa pregare per fermarsi e curvare.
Moto così sono entusiasmanti e riaccendono la passione per i cordoli, e capisco benissimo tutti quei malati di pista che amano questi mezzi senza traction control, diretti, la cui preparazione è ancora alla portata di molti e che permettono di superare sui circuiti guidati anche qualche moto moderna col doppio della potenza, elevando esponenzialmente il gusto e il divertimento. Anche per questo mi sembrano moto più facili e istruttive rispetto alle 800/1100 moderne cui magari rivolgersi quando si vuole passare dall'emulare Merkel o Chili al sentirsi Marquez o Bautista.
Ringraziamo ancora Antonio per questo rapido test che potrebbe avere presto un'interessante appendice (stay tuned...) e passiamo ad un altro argomento. L'urlo virile delle moto di Antonio era quello che proveniva dagli scarichi della Mass, la sua azienda, e tra un turno e l'altro raccolgo l'invito dei fratelli Saitta a vedere con mano la differenza tra uno scarico originale e uno aftermarket progettato e costruito da loro, con prova al banco. È una sfida?
Mass “è un'azienda nata quando è stato concepito Antonio”, mi racconta Giancarlo Saitta; “poi sono nato io e tutti e due avevamo il virus delle due ruote, siamo nati malati di moto. Mio padre aveva un Piaggio Boxer tenuto benissimo, arancione con le borse laterali rosse (i gusti... n.d.r.), per vent'anni tenuto nella nostra casa di campagna solo per comprare il pane e il giornale in paese. A dieci anni io e Antonio abbiamo iniziato a smontarlo... qualche tempo dopo era già 80cc e totalmente elaborato: mio padre ci chiese come mai fosse più rumoroso e non ci mise molto a scoprirlo... ma erano tempi diversi, dove io e mio fratello eravamo malati per le impennate, ma mio padre in paese era piuttosto conosciuto, era il sindaco, quindi avevamo gli occhi di tutti puntati addosso e gli riferivano puntualmente tutte le nostre malefatte. Non ti dico quante cadute... siamo dei sopravvissuti. Ma la svolta fu quando per un compleanno gli regalarono una telecamera che noi gli sottraemmo qualche giorno dopo per filmarci mentre impennavamo: altro che GoPro. Decidemmo di fargli vedere uno di questi filmati e fu la volta definitiva che capì che non c'erano speranze..."
Poi siamo arrivati all'età adulta (e non era scontato, vedendo tutte le follie che avete combinato... n.d.r.) e dopo la laurea (Antonio è ingegnere meccanico con tesi di laurea in “studio di fattibilità per una fabbrica di motociclette”, Giancarlo si è laureato all'ISEF n.d.r.) si pose il problema se andare via dalla Sicilia o restare inventandosi qualcosa. Il nostro sogno era costruire special in Sicilia, avevamo anche iniziato a fare qualche scarico in casa, poi nel 2000 abbiamo affittato un piccolo capannone e iniziato. I nostri genitori erano contrari, ci facemmo finanziare con un prestito d'onore e ci accorgemmo che fare scarichi era non solo molto divertente ma anche remunerativo. Scegliemmo da subito di dotarci di un banco prova per misurare le prestazioni dei nostri impianti, poi dal 2010 ci siamo trasferiti in questi capannoni di nostra proprietà e adesso abbiamo comprato anche i terreni adiacenti per ingrandirci”.
Sembra quasi impossibile, in Sicilia.
“Noi reinvestiamo totalmente gli utili in azienda. Abbiamo iniziato da soli, oggi siamo in 15. Produciamo 2000 impianti di scarico completi all'anno (oltre ai singoli terminali sciolti) e la nostra produzione al 50% va all'estero. Poi abbiamo ancora la nostra officina dove produciamo special, ma è più che altro una passione, non è il nostro core business. Abbiamo internalizzato quasi tutta la produzione, dotandoci anche il taglio ad acqua: un punto di debolezza come quello di non avere un indotto in Sicilia è diventato un punto di forza, costringendoci a fare quasi tutto internamente, ma adesso possiamo soddisfare rapidamente qualsiasi richiesta dei clienti in fatto di forme e dimensioni degli scarichi”.
Come si progetta un impianto di scarico ad alte prestazioni?
“Non c'è un trucco particolare per fare rendere bene uno scarico: per farla semplice, nei libri di ingegneria lo scarico è un tubo conico dritto, più è lungo più favorisce i bassi regimi, più lo fai corto più favorisce gli alti. Questo in teoria, in pratica una volta deciso quale sarà l'utilizzo dell'impianto si cerca di accordarlo per l'arco di utilizzo scelto ma ci sono le curve (in genere una curva di 10 cm corrisponde ad un tratto rettilineo di 25 cm, mi spiega Antonio n.d.r.) e bisogna tenere in considerazione i limiti fisici e gli ingombri. Sulla R1 che proveremo oggi, vedrai che ci sono tubi più lunghi rispetto allo standard ma nonostante questo siamo riusciti a migliorare sia la coppia ai bassi che la potenza in alto, perché gli scarichi originali soffrono tutta una serie di limitazioni, per ovvie ragioni di omologazione e costi industriali, che soffocano le prestazioni; ovviamente, accanto alla versione pista noi proponiamo anche la versione omologata e catalizzata”.
Quanta potenza in più si può ottenere con un impianto completo?
“Con un buon impianto di scarico puoi migliorare dal 5% al 10% le prestazioni del motore e, sembra assurdo, sono le moto più turistiche che garantiscono i guadagni percentuali maggiori, perché nelle sportive gli impianti sono già molto raffinati e migliorarli non è semplice, mentre nelle turistiche il margine è ampio. Migliorano i consumi, si abbassano le temperature di esercizio, migliora l'affidabilità: la moto che nella nostra storia ci ha dato più soddisfazioni? la BMW R1150 GS oppure R: siamo riusciti a passare da 80 a 92 CV semplicemente con la sostituzione dello scarico!”
Ora mi spiego molte cose, ma sopratutto i risultati del test che potete vedere nel video ma che vi anticipo qui: la semplice installazione plug and play uno scarico Mass completo ha permesso su una Yamaha R1 di guadagnare 10 cv e limare 5,5 Kg di peso, senza ulteriori modifiche: scommettiamo che qualcuno di noi sta già facendo quattro conti?