Benelli 250 GP: la "quattro cilindri" di Pesaro

Dopo un lungo sviluppo, la Benelli 250 ha finalmente conquistato il titolo mondiale nel 1969. Ecco come era fatta
19 settembre 2019

Quando si parla di quadricilindriche italiane da competizione del periodo classico, nel quale il raffreddamento era sempre ad aria, le ruote a raggi e i freni a tamburo, alle Gilera e alle MV Agusta si deve aggiungere la Benelli, la cui moto di punta, a differenza di quelle delle due case lombarde, correva nella classe 250.

Per la verità, dalla originale quarto di litro i tecnici pesaresi hanno derivato due versioni di maggiore cilindrata, per competere anche tra le 350 e perfino tra le 500, che sono state però meno impiegate.
L’obiettivo principale era quello di primeggiare a livello mondiale tra le 250, e quindi gli sforzi si sono concentrati in questa direzione: del resto la Casa pesarese ha sempre legato il suo nome soprattutto a tale classe di cilindrata.

La sua prima 250 da competizione, monocilindrica con distribuzione bialbero comandata mediante ingranaggi, ha fatto la sua comparsa nel 1935, e in seguito è stata debitamente modificata e sviluppata. La stagione 1938 è culminata con il successo nel GP delle Nazioni a Monza. L’anno successivo questa eccellente monocilindrica si è affermata nel durissimo Tourist Trophy.

L’obiettivo principale era quello di primeggiare a livello mondiale tra le 250 e quindi gli sforzi si sono concentrati in questa direzione: del resto la Casa pesarese ha sempre legato il suo nome soprattutto a tale classe di cilindrata

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Dopo il termine del conflitto la Benelli è tornata ben presto alle competizioni, utilizzando la bialbero d’anteguerra debitamente aggiornata. Dopo un breve periodo “di transizione”, nel quale sono anche stati apportati gli adattamenti resi necessari dall’impiego di un carburante sensibilmente diverso da quello del 1939, la moto ha conquistato il titolo mondiale nel 1950 con Dario Ambrosini.
La scomparsa di questo grande pilota nel corso della stagione seguente ha portato la Casa di pesarese a ridurre drasticamente la sua partecipazione ai Gran Premi, e successivamente addirittura ad annullarla.

Il ritorno sulle piste è avvenuto nel 1959 con una monocilindrica di nuova progettazione, dovuta al giovane ingegnere Aulo Savelli. La moto, apparsa l’anno prima a Monza, ma solo in prova, aveva una distribuzione bialbero e misure caratteristiche fortemente superquadre (70 x 64,8).
Sembra però che la Casa non abbia puntato con decisione su questo modello, che non ha ottenuto risultati di particolare rilievo, pur mostrandosi sempre una valida concorrente. Le speranze per il futuro erano infatti riposte in una inedita quadricilindrica, dovuta allo stesso progettista, la cui presentazione alla stampa è avvenuta nel giugno del 1960, ed è stata seguita da uno sviluppo iniziale lungo e piuttosto laborioso.

Vista di tre quarti del motore, a cilindri verticali, con in bella mostra il magnete d’accensione disposto anteriormente, in posizione centrale, e la grossa frizione a secco. Questa è l’ultima versione della moto, come si può notare dal disegno della parte anteriore del telaio
Vista di tre quarti del motore, a cilindri verticali, con in bella mostra il magnete d’accensione disposto anteriormente, in posizione centrale, e la grossa frizione a secco. Questa è l’ultima versione della moto, come si può notare dal disegno della parte anteriore del telaio

La Benelli 250 quadricilindrica che esordì in gara nella primavera del 1962 era notevolmente diversa, a livello tecnico, rispetto a quella di due anni prima. Mentre l’architettura generale del motore era rimasta invariata, era cambiato l’angolo tra le valvole, passato da 80° a 63° (valore che in seguito non è più cambiato), e il sistema di lubrificazione non era più a carter secco, ma era diventato a carter umido, con una lunga coppa ben visibile al di sotto del basamento.

Il motore aveva sempre un alesaggio di 44 e una corsa di 40,6 mm, e manteneva la medesima struttura originale, con i cilindri individuali muniti di canna riportata in ghisa, e la testa in due parti che si andavano ad affiancare alla cartella centrale, nella quale era alloggiata la cascata degli ingranaggi di comando della distribuzione. C’erano dunque una testa destra e una sinistra, ciascuna delle quali “serviva” due cilindri. Questa scelta, come del resto quella dei cilindri singoli, era stata effettuata per agevolare il lavoro di fonderia, le lavorazioni e gli interventi meccanici.

Nella parte inferiore della stessa testa a quattro valvole della immagine precedente si possono osservare le calotte in bronzo nelle quali erano ricavate le sedi delle valvole e le pareti delle camere di combustione
Nella parte inferiore della stessa testa a quattro valvole della immagine precedente si possono osservare le calotte in bronzo nelle quali erano ricavate le sedi delle valvole e le pareti delle camere di combustione

Le valvole erano due per cilindro, e venivano azionate dagli eccentrici degli alberi a camme per mezzo di punterie a bicchiere.
I pistoni forgiati avevano il cielo debitamente bombato e il mantello intero: ognuno di essi veniva collegato al relativo perno di manovella dell’albero a gomiti da una biella in acciaio da cementazione, la cui testa, in un sol pezzo, lavorava su rullini ingabbiati. L’interasse testa-piede era di 84 mm, e quindi risultava leggermente superiore al doppio della corsa.

L’albero a gomiti composito era un autentico capolavoro. Realizzato in acciaio 16 Ni Cr Mo12 al nichel-cromo-molibdeno, aveva i volantini discoidali e poggiava su ben otto cuscinetti di banco, tutti a rotolamento.
La trasmissione primaria a coppia di ingranaggi inviava il moto alla grossa frizione a secco piazzata sul lato sinistro, che a sua volta lo trasmetteva al cambio. Quest’ultimo, realizzato in versioni con differenti numeri di rapporti, era caratterizzato dal fatto di avere l’entrata e l’uscita dallo stesso lato, benché fosse in cascata. Il basamento era costituito da un’unica fusione in lega di alluminio, che veniva chiusa anteriormente da un grosso coperchio, necessario per montare l’albero a gomiti e i cappelli di banco.

Nelle prime prove la versione iniziale (a carter secco) del motore ha fornito poco più di 36 cavalli a 12.500 giri/min. Nel 1962 però, il quadricilindrico con nuove teste e lubrificazione a carter umido erogava quasi 40 cv a 13.000 giri/min. Lo sviluppo effettuato nel corso degli anni ha portato la potenza della versione finale a poco meno di 50 cv a circa 16.000 giri/min.

Nella seconda metà degli anni Sessanta hanno fatto la loro comparsa nuove teste a quattro valvole per cilindro, che sono state provate e impiegate in gara ma che non hanno sostituito quelle a due valvole. In effetti, nel 1969 la Benelli ha conquistato il titolo mondiale delle 250 (con l'australiano Kel Carruthers) correndo quasi sempre con la moto a due valvole.

Di questa quadricilindrica sono state realizzate anche versioni di 350 (dal 1966) e di 500 cm3 (dal 1967), con misure caratteristiche di 51 x 42 mm nel primo caso e di 54 x 54 mm nel secondo. Le potenze erano rispettivamente di circa 60 e di circa 80 cavalli.

La Benelli 250, oltre che nel mondiale del 1969, si è imposta anche in quattro campionati italiani. Occorre però dire che in diverse annate la Casa pesarese ha gareggiato principalmente entro i confini nazionali, e abbastanza sporadicamente all’estero.