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Best of Italy Race. Un fine settimana, in quel di Castell’Arquato, in cui, su un tratto di strada chiusa al traffico (leggasi: vale tutto!) di 26 km che porta dal centro della località piacentina fino a Morfasso, sfrecciano a turno indisturbate supercar, auto da corsa, moto stradali e da corsa e biciclette con un solo, necessario, comun denominatore: l’essere nate in Italia.
E’ il sogno realizzato di Enzo Scalzo, visionario ideatore e direttore di Best of Italy, che per due giorni regala ad appassionati di due e quattro ruote una vera e propria Disneyland fra gli appennini – o, se preferite, una Goodwood tricolore.
Per questo, quando ci hanno proposto di partecipare in qualità di Media Partner, ho pensato bene di venire a vedere in prima persona di che si trattasse.
Il meteo non promette niente di buono. Nuvoloni carichi di pioggia, strada bagnata. Cammino per il paddock mentre l’occhio cade su auto una più bella dell’altra. C’è l’intera collezione di Lancia-Martini, Ferrari in ogni dove, una Maserati LM 12, Lamborghini da tutte le parti, una Italdesign da sogno. E tante altre meraviglie a quattro ruote che meglio di me possono descrivervi i colleghi di Automoto.it.
Io invece sono venuto qui per le moto. Un po’ perché qualche rarità salterà sicuramente fuori, un po’ perché ho pensato bene di fare uno squillo agli amici di Ducati, e ho una bella Multistrada Pikes Peak, gentilmente messami a disposizione da Osellini Moto, che mi aspetta per affrontare la sparata – scusate, la salita verso Morfasso.
Non resto deluso, anche perché è la prima volta che mi capita di vedere tre – TRE – Ducati Desmosedici RR nello stesso posto. Una in vendita, due portate lì da appassionati (e una personalizzata con grande gusto e stile) che non vedono l’ora di scatenarle su per la salita. C’è qualcosa a rappresentanza di tutte le generazioni delle superbike di Borgo Panigale: dalla 851 tricolore alla 888 messa giù da pista, dalla 998 Bostrom (di proprietà di Andrea Marini, assessore locale, ben felice di indossare la tuta di pelle ed essere della combriccola…) alla 999 fino a 1198 e Panigale, in questo caso con una splendida – e rara – Tricolore.
Made in Italy non significa però solo Ducati. C’è anche Moto Morini, presente in veste pressoché ufficiale con una Corsaro ZZ e un’esemplare di One-off. E c’è anche, soprattutto, Paton, che ha portato due S1R, una in versione stradale e una racing corredata di Stefano Bonetti, tanto per assicurarsi che il ritmo non fosse troppo blando. “Bonny” è una vecchia conoscenza, per cui ne abbiamo approfittato per farci due chiacchiere e farci raccontare un po’ meglio la realtà della S1R.
Ma sei qui per fare parata o per fare sul serio?
«Beh, non è una gara vera e propria, quindi magari evitiamo di prenderci dei rischi. Però quando vedi una strada chiusa al traffico come fai a non darci del gas? Finirà che piano piano non andremo...»
Vabbè, ho capito. Non ci provo neanche a starti dietro. A che punto siete con la S1R?
«Al TT abbiamo vinto, anche se io sono stato sfortunato con la rottura della pompa della benzina. Ma la moto va davvero fortissimo, secondo me abbiamo il mezzo migliore. Poi, chiaro, si cerca di migliorare sempre, quindi non ci fermiamo mai».
Svilupparla non dev’essere facilissimo: al TT ci si va una volta l’anno e si fanno tre giri in croce, giusto se non piove. Come fate? Lavorate in pista?
«Si e no. In pista puoi lavorare sul motore, ma sulla ciclistica no – sono ambienti completamente diversi. Pensa che usiamo un assetto molto più rigido al TT che non in pista, perché se no con quegli avvallamenti la moto va da tutte le parti: è il contrario di quello che avviene normalmente fra strada e pista. Diciamo che conoscendo bene il percorso, al TT, sappiamo già cosa ci serve, quindi arriviamo lì sapendo cosa provare e come».
Vabbè, insomma: l’anno prossimo a cosa punti? O fai lo scaramantico e non lo dici?
«Secondo te a cosa posso puntare, dopo il giro veloce in qualifica e una gara che stavo per vincere?».
Facciamo che non lo diciamo, per non gufare, e passo oltre. C’è una Bimota Impeto, naturalmente una MV Agusta – che salirà domenica con sua maestà Giacomo Agostini, 15 titoli mondiali all’attivo – una spruzzata d’epoca, una Moto Guzzi V7… e poi due Pagani.
Fermi tutti, Pagani non fa automobili? Siete perdonati, è stata la mia stessa reazione. Perché non sapevo che ci fosse un Paolo Pagani – ironia della sorte, anche lui a Modena – che sviluppa supersportive da pista artigianali per le gare riservate alle bicilindriche. Nel paddock campeggiano due esemplari con motore SV 650 (ma Paolo sta lavorando al kit per sfruttare il Ducati 848), con una ciclistica raffinatissima.
Il telaio è un traliccio in acciaio, il forcellone deriva dall’unità di serie, ma viene rinforzato con una capriata di irrigidimento inferiore e dotato di slitta per mantenere il cerchio in sede sfilando il perno, e il tutto è regolabile oltre il pensabile. Lunghezza del mono (per poter adottare unità di diverso interasse), altezza perno forcellone, progressività del leveraggio, inclinazione del cannotto di sterzo – e sono solo le tarature che mi ricordo. Il serbatoio viene ospitato metà in posizione tradizionale e metà sotto la sella, incastonato nel telaietto reggisella. C’è carbonio un po’ ovunque, e il resto – sospensioni, cerchi, impianto frenante – si possono scegliere quasi a piacimento, tanto la moto è talmente leggera che l’aspetto è decisamente meno critico che in altre situazioni. Ve ne parleremo meglio a breve...
Fatta una certa ora viene il momento di lanciarsi sulla salita. Inforco la “mia” Pikes Peak ed entro in griglia, dietro le due Paton e la Lamborghini della Polizia. Qualche minuto di attesa in cui non so se ho il motore acceso o meno, perché si sente solo la S1R di Bonetti con gli scarichi aperti, e poi finalmente si parte. La Lamborghini va come se non ci fosse un domani, per la gioia di Bonetti e Dall’Aglio (che gira sulla Paton stradale) che possono darci dentro.
Girare su una strada chiusa al traffico è un’esperienza straniante, perché l’istinto fa stare sul lato destro della carreggiata. Ogni tanto ci si ricorda che la strada è chiusa e si sfrutta tutta la carreggiata, ma basta distrarsi un attimo e si torna sul lato destro, perdendosi metà del bello. Il cielo però è plumbeo e la strada per lo più bagnata, quindi l’istinto di conservazione suggerisce molta prudenza – qualche sparata sul dritto, tanto per gustarsi l’esilarante sensazione di toccare velocità smodate su strada, ma poi facciamo che ho fame, voglio essere sicuro di gustarmi il pranzo a Morfasso e non in ospedale e quindi me la prendo comoda.
Circa a metà percorso veniamo fermati, e visto che al briefing forse non sono stato attentissimo non capisco bene il motivo. Però, essendo un ragazzo sveglio, vedo che ci danno il via uno per uno e tutti scannano il motore come se la Polizia invece che davanti ce l’avessero dietro, quindi mi adeguo. All’arrivo scoprirò che Pirelli – sponsor della manifestazione – ha organizzato una gara d’accelerazione sui 200 metri, per la cronaca vinta da Piermassimo Illari su Ducati 1198, con una punta massima di 178,3 km/h.
Quando inizia la salita vera, spunta il sole e la vista ha tutt’altro fascino. Arriviamo in cima e sembra di essere a un qualsiasi raduno motociclistico, non fosse che il paese è invaso da diverse milionate di supercar in ogni dove. Ma io non mi faccio impressionare e punto dritto verso il tendone del pranzo: gambe sotto al tavolo, affettati, formaggio, pane squisito e solite chiacchiere fra motociclisti, campioni o semplici appassionati che fossero. Cos’altro serve per essere felici?
Fra i miei tanti difetti devo anche ammettere una gran passione per il ciclismo. Avendo commesso l’errore di parlarne in ufficio, qualcuno ha pensato bene di segnarmi come partecipante per la Perini Challenge, gara intitolata al professionista piacentino da quarant’anni in forze al GS Pedale Arquatese. Provo ad obiettare che la mia bici non è italiana, ma il problema viene risolto dall’organizzazione: niente paura, te la diamo noi.
Sulla carta sembra una cosa in amicizia: si tratta di vedere chi è capace di tenere sul tracciato della Best of Italy il passo di Perini. Che sarà anche uno che ha vinto una tappa del Tour, e ha fatto il gregario di Bugno e Chiappucci, ma ha anche quasi sessant’anni. Quanto può essere dura?
Domenica mattina ritiro una bici adatta allo scopo – una spettacolare Guru bianca che scopro essere quella personale di Enzo Scalzo, il patron della manifestazione, che mi incontra per caso e me ne racconta la storia. La nuvola di Fantozzi – appropriatissima, trattandosi di una gara ciclistica – ci insegue. Le auto e le moto partono con un bel sole che splende, non appena arriviamo in griglia noi con le bici nuvoloni neri iniziano a far scendere qualche goccia.
Non che abbia intenzioni di vittoria (sono fuori forma, esco da un’influenza, mio padre è rimasto chiuso nell’autolavaggio, ho il gomito che fa contatto col piede…) ma mi piacerebbe stare un po’ con i primi. Purtroppo al via i suddetti primi affrontano il falsopiano iniziale, da freddo, a 37 all’ora. Li tengo per qualche chilometro, poi quando il peloton si sgrana decido che sono troppo giovane per un arresto cardiaco e mollo un po’.
Non sono solo, perché passo qualcuno e sulla via raccolgo un altro paio di reietti dal gruppo, con i quali arriviamo in cima incassando una decina di minuti dai primi. Che si chiamano Benjamin Thomas (campione del mondo su pista 2017), Ashley Dennis (professionista britannico in forze al team di Bradley Wiggins) e l’italiano Filippo Baggi, ex professionista. Vabbé, detta così fa meno male, anche se vedersi passare a cannone, in salita, da quelli con la bici a scatto fisso (c’erano anche loro, la salita fa parte del Criterium) partiti molto dopo di noi è stata un’esperienza fra il mortificante e il lisergico. La scelta più saggia è consolarsi un’altra volta con il pranzo, però fra motociclisti.
Come tutte le feste, anche BOIR finisce. Le supercar ringhiano imboccando la strada di casa, io saluto e faccio lo stesso. Mi sono divertito? Certo, e invito tutti quanti a venire, l’anno prossimo, per vedere di persona – se non avete una moto italiana mi dispiace per voi, perché purtroppo vi perdete davvero un gran bell’evento. Venite almeno a dare un’occhiata – vi assicuriamo che ne vale la pena. Io? Dovranno lavorare davvero duro per convincermi a non tornare per l’edizione 2018…
L’organizzazione ringrazia MV Agusta e Giacomo Agostini, Moto Morini nella persona di Stefano Marzola, Paton, Ducati ed il concessionario Osellini di Piacenza, Pakelo Lubrificanti e Pirelli per il supporto tecnico, AF Sport per il coordinamento moto e tutti gli appassionati che ci hanno fatto visita.
Foto: Moto.it, Marek Borysiewicz, Kasia Saks