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A volte, di una moto si dice che è un capolavoro: un'opera d'arte. Nel senso che l'arte - che la si chiami design, pittura o scultura - si è messa al servizio della meccanica e dell'idea più ampia che circonda cilindri e pistoni. Molto più raro è sentire il contrario: della moto che si mette al servizio dell'arte, spesso eletta a simbolo di altro, ma perfetta rappresentante di tutto un mondo valoriale. Facciamo un esempio concreto: pensiamo al Futurismo e all'"Uomo nuovo" di Mario Sironi, che nella moto (e non solo) ha trovato un modello su cui creare. Non erano le "due ruote" che ovviamente voleva portare su carta, ma il senso della velocità che le moto portano come inscindibile dote.
Ora facciamo un altro passo avanti e usiamo la moto non come sagoma da ritrarre, ma come corpo fisico e siderurgico. Entriamo nella Biennale Arte di Venezia dove nel Padiglione Centrale troviamo le opere di Alexandra Bircken. Tra i suoi lavori tanta arte tocca il mondo delle due ruote. Usa le moto le piega a un senso di vulnerabilità: tute aperte come pelli d'orso, telai piegati o tagliati. Come Damien Hirst nel suo ciclo “Natural History”, anche l'artista tedesca usa la potenza della sezione per mostrare la fragilità che spesso sta dietro alla vita e per costringerci a guardare dentro le cose.
La moto anche rappresentazione (come le armi) di quegli strumenti che conferiscono potenza all'uomo e allo stesso tempo sono in grado di ferirlo e offenderlo. Da qui nasce il tema della ricerca di sicurezza e il tentativo attraverso altri strumenti in contrasto con i primi di proteggerci dal mondo esterno. Un costruire e poi un proteggerci da ciò che creiamo. Con senso più profondo, lo stesso vale per i rapporti umani che creiamo e da cui poi ci preoccupiamo di doverci proteggere.