Bimota DB6 Delirio

Bimota DB6 Delirio
Vi proponiamo un test, effettuato nell'estate del 2006 sulle colline vicine alla factory riminese, della intrigante naked Bimota DB6 Delirio,la bella creatura del compianto Sergio Robbiano
14 gennaio 2016

La Bimota DB6 Delirio venne presentata al folto pubblico presente al Salone di Milano nel novembre 2005. Si trattava praticamente della versione “spogliata” della prestigiosa supersportiva DB5, motorizzata con l’inossidabile Ducati bicilindrico desmodromico a due valvole raffreddato ad aria da 992 cc  da 92 cv. Nel 2004, anno in cui venne presentata, la DB5 fruttò al suo creatore il premio Motorcycle Design Award nella categoria Supersport:  una moto preziosa e maniacalmente rifinita come da tradizione Bimota, progettata dal  talentuoso Sergio Robbiano, allora 40enne. Designer di origini siciliane ma naturalizzato genovese, Robbiano veniva dalla scuola del mitico Massimo Tamburini, che nel 1991 lo accolse in quel famoso CRC (Centro Ricerche Cagiva), dove fu tra gli artefici dello stile di alcune moto destinate a diventare leggendarie, come la Ducati 916 e la sorellina minore Cagiva Mito 125 EV.
Ma già nel ’95 Sergio si mise in proprio creando lo studio Robbianodesign (www.robbianodesign.com), che per Bimota generò anche  la 500 la bicilindrica V2 con motore a 2 tempi, ma sui occupò anche dello stile del prototipo Aprilia RSV4, oltre a caschi ed altri capi di abbigliamento motociclistici. Purtroppo, Sergio Robbiano ci ha lasciati a 48 anni, alla fine di giugno 2014, vittima di un incidente sulle colline liguri, in sella ad una delle sue adorate moto. E' anche per ricordare lui, dunque, che ho pensato di proporvi questo test della divertentissima Bimota DB6 Delirio, da me effettuato dieci anni fa, e che vi propongo qui sotto. Buona lettura.
 

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Moto Delirio!

La sostanza è quella della DB5, ma in Bimota non hanno semplicemente eliminato una carena, per creare la DB6 Delirio. Un gioiello di naked da 19.000 euro

Era impaziente Sergio Robbiano,  la mattina del 27 gennaio scorso. L'ex allievo del guru Massimo Tamburini se ne stava col casco in mano sul portone dello stabilimento di via Giaccaglia, legittimamente ansioso di provare lui stesso la primissima DB6 Delirio in versione quasi definitiva. Cioè la moto con la quale l'ingegner Alberto Strada, responsabile del progetto, stava nel frattempo consumando una sorta di "jus primae noctis" in giro per le colline dell'entroterra tra Rimini e San Marino. Visti i numerosissimi riscontri positivi ottenuti lo scorso novembre al salone di Milano, dove la moto era ancora un "manichino”, l'imperativo della dirigenza Bimota era stato categorico: "la Delirio deve essere pronta il più presto possibile!" Facile, direte voi: ci vuol poco a togliere la carena alla DB5 e montargli un manubrio alto! No, non è affatto così semplice, perchè dietro al progetto DB6 c'è molto di più, al di là di una nuova carrozzeria decisamente "guerriera".

Oltre ai nuovi scarichi e conseguente rimappatura dell'iniezione, e naturalmente alla piastra superiore della forcella, dotata di due stupendi riser che serrano il manubrio rialzato, la Delirio infatti è stata anche oggetto di sostanziosi rimaneggiamenti per celarne alla vista elementi che, senza carena, avrebbero senz’altro rovinato la pulizia dell'insieme: in particolare il raddrizzatore di corrente e la batteria, spostata dal lato sinistro a sopra il cilindro posteriore, cioè sotto il serbatoio. Anche le sospensioni sono diverse dalle Öhlins della DB5, seppur altrettanto completamente regolabili: davanti infatti c'è una massiccia Marzocchi R.A.C. (Road Advanced Component) con steli rovesciati da ben 50 mm (anziché  da 43) trattati al T.I.N. e con splendide piastre lavorate dal pieno a taglio obliquo, l'inferiore delle quali stringe ogni fodero con tre bulloni. Dietro invece abbiamo un ammortizzatore Extreme Tech, anche qui incernierato al forcellone senza biellismi di progressione. Inoltre i dischi freno Braking "a margherita" da 320 mm sostituiscono i Brembo da 298, ferme restando le poderose pinze radiali con 4 pistoncini e altrettante pastiglie. Ma anche tutto quel ben di dio di parti lavorate dal pieno al CNC è stato ulteriormente alleggerito tramite fresature mirate, dalle piastre laterali del telaio ai terminali dello splendido forcellone composito, con tendicatena orizzontali in lega leggera ovviamente lavorati a macchina. È un vero piacere esaminare minuziosamente questa moto in ogni dettaglio, e constatare quanto essa sia effettivamente pregna della maniacale ricerca della perfezione che ispirò Massimo Tamburini, Giuseppe Morri e il meno noto Valerio Bianchi quando fondarono la Bimota, nel  lontano 1966. È bello rimirarsela, la Delirio, immaginatevi guidarla. E infatti non l'hanno chiamata così per caso. Come non per caso siamo andati a provarla sulle "sue" strade, attraverso le collinette che accompagnano da Rimini fino al circuito di Misano e oltre, lungo la celebre strada Panoramica che collega Gabicce e Pesaro, una ventina di chilometri di misto stretto senza respiro.

Divertimento assoluto

Iniziamo col dire che l'assetto in sella è da guida "cattiva", con manubrio in mano e gambe abbastanza angolate, prigionieri di una sella bellissima da vedere, ma del tipo "prendere o lasciare" (anzi, per un eventuale passeggero forse sarebbe meglio la seconda opzione). Infatti, specialmente se non si è magrolini come Robbiano, non c'è modo di muovercisi longitudinalmente, e l'imbottitura è ben lontana dall'essere confortevole. Ma la Delirio è tanto snella,leggera e stretta tra le gambe che da subito si è praticamente costretti a usarla per quello che è: una preziosa "fun bike", una naked da divertimento assoluto, quasi una supermotard con due cilindri. Del fatto che dolgano le chiappe, quindi, ci si accorge solo dopo che ci si è fermati (naturalmente rimanendo rigorosamente al di fuori di un’autostrada….).  Va anche sottolineato che se sulle prime supersportive DB5 l'erogazione del motore era ancora perfettibile, sulla Delirio i tecnici Bimota hanno fatto davvero un gran bel lavoro. Stando ai dati dichiarati, il classico bicilindrico Ducati raffreddato ad aria qui sembrerebbe più in forma che mai, in particolare a livello di coppia massima, visto che il valore di picco - ben 9 kgm dichiarati - è collocato a soli 4.500 giri. Inoltre, la rapportatura finale è stata saggiamente accorciata rispetto a quella della stessa DB5, grazie a una corona con due denti in più (il che non ha comunque impedito di sfiorare i 230 orari sull'anello di Nardò, in fase di omologazione). Il risultato è che il motore riprende pulito già da 2.200 giri anche in sesta, sfoderando poi un'erogazione eccellente per pulizia e continuità fino alla soglia del limitatore, a quota 9.200. Ma l'erogazione è sempre così corposa e pulita che, dove le curve abbondano, direi che sia quasi inutile tirare oltre i 5.000 giri per andar forte: così facendo, sullo stretto si può tranquillamente giocare con seconda, terza e quarta marcia, senza andare a svegliare quelle vibrazioni ai regimi più alti che a qualche infervorato "quattrocilindrista"  magari potrebbero anche dar fastidio, e usare anche poco la frizione.

Quest'ultima come sempre non è morbidissima, ma ci dicono che con una piccola modifica lo sforzo di azionamento si riduce del 30% circa, che non è poco. E allora, vien naturale chiedere, non sarà il caso di montarla in serie, questa modifichina, visto quel che costano le moto, Ducati o Bimota che siano? Quanto alla ciclistica, sembra quasi di cavalcare una bella motard monocilindrica, agile, leggera, con un angolo di sterzata più che discreto per le manovre strette, e con sospensioni tarate piuttosto rigidotte. Complici la leggerezza dinamica della DB6, la rapportatura accorciata e la prontezza ai bassi del Ducatone, l'avantreno è molto sensibile all'acceleratore, e come si tocca il gas in prima già si alleggerisce marcatamente. Ecco perchè per guidare in scioltezza è meglio lasciar correre la moto, sfruttandone la solidità, la precisione direzionale e la propensione a consentire eventualmente di correggere il tiro come e quando si vuole. Se invece vi piace sentir cantare il motore, e amate svisceratamente i  monoruota in uscita di curva e altre coreografiche perdite di tempo, allora avrete già capito da un po' - e qui mi ripeto - che il nome "Delirio" non sia stato scelto a caso. Le Dunlop D208RR dal canto loro si comportano molto bene, da ottime sportive stradali quali sono. E meno male, viste le condizioni dell'asfalto da quelle parti.

Come? I freni? Semplicemente professionali. Il posteriore assicura un buon controllo della moto, ideale appunto per chi ama gli ingressi in curva di traverso (pare che oggi chi non guida così venga considerato alla stregua di un povero demente...). Mentre il formidabile impianto anteriore richiede ai meno esperti un attento periodo di apprendistato, prima di poterlo amministrare come si deve. La sua prontezza infatti è tutt'altro che antipanico, e la potenza è esuberante: roba da capottamento, insomma - e qui senz'altro saranno i fanatici delle "penne alla rovescia “ (o “stoppies che di si voglia”) a sfregarsi le mani - a maggior ragione con una special di serie da 177 kg come questa  Bimota DB6 Delirio.

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