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Che la BMW sia una grande azienda produttrice tanto di automobili quanto di moto lo sanno tutti. Ma forse non sono poi in tanti a conoscere la storia che ha portato questa casa straordinaria ad occupare la posizione odierna attraverso una continua e inarrestabile evoluzione tecnica e modelli che sono state autentiche pietre miliari.
La BMW è nata come costruttrice di motori aeronautici ed è diventata rapidamente una grande realtà industriale in tale settore.
Passata dai motori in linea e poi a V con raffreddamento a liquido a quelli stellari, ha realizzato il formidabile 801, grande protagonista durante la seconda guerra mondiale (lo impiegavano il caccia Focke-Wulf 190 e alcune versioni del versatile Junkers Ju 88).
E negli anni del conflitto ha anche sviluppato il motore a reazione 003, antenato della fortunata linea dei francesi Snecma ATAR degli anni Cinquanta e Sessanta (quelli dei Mirage, per intenderci).
Dopo anni difficili per quanto riguarda il suo impegno in questo settore, la casa bavarese è tornata in posizioni di vertice e oggi costruisce eccellenti motori d’aviazione. Inutile sottolineare, a questo proposito, che lavorare in campo aeronautico significa poter disporre delle tecnologie più avanzate.
La produzione delle moto è cominciata nel 1923 con la bicilindrica boxer R 32 con trasmissione finale ad albero e coppia conica. Il motore di 500 cm3 aveva misure caratteristiche perfettamente quadre (68 x 68 mm) e la distribuzione a valvole laterali.
È stato l’inizio di una storia straordinaria che ha portato a modelli indimenticabili e a risultati eclatanti, dal punto di vista sia tecnico che sportivo. Nell’anteguerra spiccano il campionato europeo del 1938 e il record assoluto di velocità, migliorato a più riprese fino a portarlo a 279,5 km/h nel 1937. Dopo il conflitto vanno menzionati ben 19 mondiali sidecar e diversi successi nella Parigi-Dakar. Nel 1961 una R 69 S ha portato il record motociclistico di velocità sulle 24 ore a 176 km/h sulla pista di Montlhery.
Tra le innovazioni tecnologiche dovute alla BMW occorre ricordare la forcella telescopica idraulica di serie (1935), l’impiego dell’iniezione (sia diretta che indiretta) sui bicilindrici da competizione negli anni Cinquanta, quello della nitrurazione “morbida” per gli alberi a gomiti (dal 1969) e quello dei bilancieri a dito con riporto di DLC sui motori di serie.
La BMW è entrata nel settore auto acquisendo la Dixi, una piccola azienda che produceva su licenza la Austin Seven in uno stabilimento di Eisenach.
Poi sono arrivati i suoi progetti originali e i motori a sei cilindri, tra i quali va ricordato lo splendido 328 del 1937, costruito anche dalla Bristol nel dopoguerra.
Negli anni Cinquanta la casa ha puntato su modelli di classe elevata, con motori non solo a sei ma anche a otto cilindri (a V, con basamento in lega di alluminio); si è trattato però di un errore che stava per esserle fatale. I numeri di vendita erano modesti, per le auto di segmento elevato (tra le quali la splendida 507, autentico capolavoro di styling), e la BMW si è salvata dapprima con la Isetta costruita su licenza e poi con la 700, prima di risollevarsi alla grande con la 1500. Il resto è storia nota, che sarebbe comunque impossibile riassumere in questa sede. Ci vorrebbe un libro (o forse anche due).
I successi sportivi ottenuti sono stati moltissimi (spicca il primo mondiale di Formula Uno dell’era turbo, nel 1983), come pure le innovazioni tecnologiche dovute alla casa bavarese. E sono sempre state numerose le ricerche compiute in campo motoristico, alcune delle quali relative a soluzioni non convenzionali, ad esempio nel campo della distribuzione (come le valvole rotanti a disco e a manicotto per motori a quattro tempi).
Profondamente diversa è la storia di un’altra azienda che ha costruito sia auto che moto e che è scomparsa da tempo, dopo essere stata sulla scena per meno di quindici anni, senza mai raggiungere dimensioni realmente ragguardevoli. Si tratta della Iso di Bresso (Mi) che ha comunque realizzato prodotti di non trascurabile interesse, sia a due che a quattro ruote.
La sua attività in campo motociclistico è iniziata nel 1948 con un modello di 65 cm3 chiamato Furetto, che non ha avuto alcuna fortuna ed è rapidamente uscito di produzione. Un ottimo successo hanno invece avuto i successivi Isoscooter e Isomoto con motore a due tempi a cilindro sdoppiato di 125 cm3, che sono rapidamente diventati assai popolari sulle nostre strade.
Nel 1952 è stata presentata la raffinata Iso 200, sempre con motore a cilindro sdoppiato, caratterizzata dalla forcella a biscottini oscillanti e dalla trasmissione finale ad albero. Sulla carta era più che valida ma non ha avuto successo, nonostante il fatto che per migliorarne le prestazioni la cilindrata sia stata portata a 236 cm3. Pure l’Isosport, presentato alla fine dell’anno seguente è stato un flop, dal punto di vista commerciale.
Il canto del cigno della azienda di Renzo Rivolta nel settore delle due ruote è stata una bella bicilindrica boxer di 500 cm3 presentata nel 1961 e purtroppo rimasta allo stadio di prototipo. L’attività in campo moto è cessata attorno a metà degli anni Sessanta.
Per molti appassionati il nome Iso è indissolubilmente legato alla Isetta, una minivettura innovativa (e addirittura geniale, sotto certi aspetti) che in Italia non è riuscita a ottenere una buona diffusione al contrario di quanto accaduto in alcuni paesi esteri, ove è stata costruita su licenza. In Germania l’ha prodotta la BMW, dotandola di un proprio motore a quattro tempi monocilindrico.
L’Isetta italiana era azionata da un motore a cilindro sdoppiato di 236 cm3 (praticamente uguale a quello della moto, ma dotato di raffreddamento ad aria forzata). Si è anche ben comportata alle Mille Miglia, ma non è riuscita a sfondare ed è rimasta in produzione per meno di tre anni.
Alle automobili la casa lombarda è tornata con ben altre ambizioni nel 1962 presentando una sportiva di grossa cilindrata e di elevate prestazioni, la GT 300. Ad azionarla provvedeva un V8 Chevrolet di 5,3 litri che erogava 300 cavalli.
Poi è stata la volta della Grifo, progettata da Bizzarrini e dotata di una versione del motore americano da ben 405 CV. Pure questo modello ha avuto una buona accoglienza da parte del mercato, anche negli USA. L’attività è proseguita ma con uno slancio che si è andato affievolendo dopo la morte del fondatore, avvenuta nel 1966.
Il marchio è scomparso dalla scena circa otto anni dopo.