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Il casco in Italia è in crisi. Meno di venti anni fa erano circa trenta le aziende italiane che producevano caschi per motociclisti. La comparsa di produttori stranieri, per lo più provenienti dall’Estremo Oriente, e la crisi economica hanno ridotto questo numero a poche unità. Solo i più forti stanno sopravvivendo alla crisi e tra queste possiamo annoverare senza dubbio Caberg. Siamo andati a visitare la loro sede di Azzano San Paolo, vicino a Bergamo, dove il Direttore Commerciale Andrea Donghi ci ha aperto le porte della produzione e del laboratorio. Abbiamo potuto così assistere ad alcuni crash test nel loro moderno laboratorio, che contiene anche macchinari specifici per il controllo della qualità della produzione. Uno su tutti, quello che apre e chiude la mentoniera di un apribile per più di 1500 volte. Abbiamo visitato anche la linea produttiva dell’azienda lombarda dove tutto è pulito e funzionale. Alla fine della visita Andrea ci ha fatto vedere il primo casco apribile prodotto in Italia (vedi foto) e dopo averci illustrato la collezione 2013 ha risposto senza remore alle nostre domande.
Andrea presentaci Caberg
«Nella nostra sede di Azzano San Paolo abbiamo il nostro laboratorio test, certificato dal Ministero dei Trasporti e la nostra principale linea produttiva, dalla quale escono il 90% dei caschi Caberg. Abbiamo una capacità produttiva di circa 400 caschi al giorno se integrali, che possono arrivare anche a 700 se si tratta invece di caschi aperti».
E per quanto riguarda studio e progettazione dei nuovi caschi?
«Noi di solito utilizziamo designer esterni, ma poi tutto il resto è made in Caberg. Matematiche e prototipazioni le facciamo qui nella nostra sede. Dal disegno 3D possiamo ottenere (con la stereolitografia) un modello quasi completamente funzionante e da lì possiamo far produrre gli stampi. Dal mercato arrivano le richieste e sta ai nostri tecnici rispondere con prodotti affidabili e sicuri».
Rivelaci cosa state studiando per i vostri prossimi caschi.
«Da sempre il nostro riferimento non è il pilota ma il motociclista, chi usa la moto su strada e non in pista. Riteniamo – con tutto il rispetto per chi invece fa scelte diverse – che sia meglio investire nel reparto di ricerca e sviluppo anziché sponsorizzare qualche pilota. Ultimamente ci siamo concentrati sul comfort e nel nostro ultimo apribile denominato Modus abbiamo introdotto un sistema di personalizzazione dell’interno tramite cuscinetti gonfiabili azionabili con una pompetta ad aria. Inoltre siamo a buon punto con la realizzazione di un casco che presenteremo alla prossima fiera Eicma di Milano. Sarà un casco dedicato ai possessori di maxi enduro. In perfetto stile Caberg, sarà un casco che non si può definire rivoluzionario, ma innovativo e non facile da realizzare. Al momento però preferisco non dire altro».
Caberg è nota per i suoi caschi apribili.
«Siamo stati i primi a produrre in Italia un casco apribile nel 1991 ed ancora oggi questo tipo di casco rappresenta il 35-40% della nostra produzione. Ora tutte le aziende hanno almeno un casco apribile nella loro gamma, ma riusciamo a mantenere una buona fetta del mercato. Siamo stati inoltre la prima azienda italiana a produrre un casco apribile azionabile con un solo pulsante (modello Jut one) e siamo poi stati ovviamente imitati da tutti gli altri produttori».
Caberg significa caschi con calotte in termoplastico, ma da alcuni anni avete in gamma anche due caschi con calotte in carbonio e in fibra di vetro.
«Nel 2007 abbiamo introdotto nella nostra collezione il modello V2X Carbon, un casco sport-tourer integrale con visierina parasole integrata e calotta in fibra di carbonio. Lo scorso anno alla fiera Eicma di Milano abbiamo presentato il Freeride, un casco aperto in stile vintage, che ha una calotta esterna in fibra di vetro ed una variante anche in solo carbonio. E’ un casco che si discosta un poco dalla nostra filosofia, in quanto non ha particolari contenuti tecnici e, pur essendo ovviamente un casco sicuro, concede molto all’estetica. Caberg è un’azienda che si “innamora” dei progetti difficili e alla quale piace molto lavorare su caschi tecnici ed innovativi».
Parlando dei caschi apribili, qualcuno ritiene non siano sicuri come gli integrali.
«Secondo me questa è la storia della volpe e l’uva. Chi non riesce a progettare e a produrre un flip up funzionale e sicuro, preferisce dire che non lo fa in quanto non rappresenta il massimo della sicurezza».
Il mercato richiede caschi sempre più piccoli e contenuti, ma ritieni sia possibile senza andare a discapito della sicurezza?
«La sfida dei produttori per quanto riguarda il casco del futuro è legata proprio alle dimensioni del casco stesso. Per ridurre gli ingombri bisogna sostituire il polistirolo della calotta interna con un altro materiale che assorba la stessa energia, o anche in misura maggiore, ma con spessori ridotti. Alcune case, e Caberg è tra queste, stanno lavorando attivamente a questo progetto e sono stati fatti molti progressi nella ricerca di questo nuovo materiale. I problemi però al momento sono due. Il primo è legato ai costi. Oggi una buona calotta in polistirolo costa solo due o tre euro mentre ce ne vorrebbero molti di più per una calotta stampata con nuove tecnologie e nuovi materiali. Il secondo è che non esiste ancora un’economia di scala e aziende che possano produrre queste nuove calotte in grandi quantità. Sia chiaro che il polistirolo non va scartato a priori in quanto possiede caratteristiche interessanti ma nel tempo tende a degradarsi e a perdere le sue caratteristiche originali. Come sappiamo un casco andrebbe sostituito dopo un periodo di circa cinque anni proprio a causa del polistirolo».
Purtroppo però sappiamo che non è sempre così e i motociclisti utilizzano i loro caschi per un periodo molto più lungo.
«Da sempre noi invitiamo i nostri clienti a sostituire il loro casco dopo un periodo non superiore ai cinque anni però sai, detto da noi a volte sembra “di parte” o può sembrare che la nostra affermazione celi l’intento di vendere un numero maggiore di caschi. Però non è così e noi ci limitiamo a dire quello che sappiamo e che pensiamo possa aumentare la sicurezza dei motociclisti».
Riceviamo spesso lettere o e-mail di clienti che purtroppo hanno messo alla prova la validità dei nostri caschi e che ci ringraziano per il nostro lavoro
Sicurezza. L’omologazione è solo un limite da superare?
«Per noi in cima alla scala dei valori non c’è il superamento dell’omologazione, ma il motociclista. Riceviamo spesso lettere o e-mail di clienti che purtroppo hanno messo alla prova la validità dei nostri caschi e che ci ringraziano per il nostro lavoro. Questa è per noi una grande soddisfazione. Ma per fare questo non dobbiamo certo fermarci alla semplice omologazione. Una volta accertato che il casco è conforme hai requisiti omologativi, inizia il lavoro dei nostri tecnici per rendere i nostri caschi sempre più sicuri».
Al di là dei test privati resta l’importanza della serietà dell’azienda che forse è l’unica vera garanzia per il consumatore.
«Le omologazioni ci sono, ma chiaramente sta poi all’azienda rispettarne le regole. Noi produciamo caschi che possono salvare vite umane e questo resta il nostro obiettivo primario, che non cambia anche quando la crisi economica richiede caschi a basso costo a discapito della qualità. La sicurezza non ammette compromessi. E proprio per questo noi puntiamo sul made in Italy. Non solo per la qualità delle materie prime e per l’abilità dei processi produttivi del nostro paese, ma soprattutto per un controllo della produzione. Noi omologhiamo i nostri caschi in Italia e spesso, giustamente, l’ente omologatore italiano controlla in modo capillare la sicurezza del casco prima di rilasciarci l’omologazione. E va bene così. Omologhiamo i nostri caschi in Italia proprio per questo. Però la domanda mi sorge spontanea : i caschi che provengono da omologazioni e produzioni estere vengono ugualmente controllate e verificate? Quali prelievi sono previsti nei container che arrivano dalle produzioni asiatiche? Chi controlla i caschi che poi troviamo sul mercato ad un prezzo al pubblico di 40 euro?».
Ci sono aziende di provata qualità e serietà anche all’estero.
«Certamente sì. In qualsiasi parte del mondo esistono aziende affidabili e preparate ed altre meno. Io parlavo dei controlli. Ma il problema è comunque nel costo del casco. Purtroppo la sicurezza non si può ottenere ad un costo molto basso. In nessuna parte del mondo. Ci sono aziende cinesi o coreane che hanno prodotti sicuri e tecnologicamente evoluti, ma ti assicuro che non costano 40 euro al pubblico iva inclusa. Si possono produrre caschi sicuri anche in Estremo Oriente, ma non certo ad un costo molto basso».
Purtroppo non sempre l’utente finale è disposto a spendere per la sicurezza.
«E’ una questione di educazione e di mentalità. Purtroppo in Italia questa educazione non esiste e si preferisce multare anziché educare. So per esperienza che nel Nord Europa la mentalità è diversa. Forse per cambiare la nostra mentalità dovranno intervenire nuove leggi, ma sarebbe importante invece educare i bambini sin da piccoli. Il casco non si dovrebbe indossare per legge ma per proteggersi».
Per finire parliamo della crisi economica che sta mettendo in grande crisi molte aziende italiane. Caberg come ha reagito alla crisi?
«Noi siamo un’azienda italiana e noi italiani non possiamo sopravvivere se ci mettiamo a fare la guerra dei prezzi con aziende straniere. La crisi si vince puntando sulla tecnologia e sulla qualità. Certo dobbiamo fare dei sacrifici, ma siamo sicuri che a gioco lungo questi sacrifici ci ripagheranno. Da anni non tocchiamo i nostri listini prezzi e non li abbiamo nemmeno abbassati. Ci stiamo rivolgendo anche a nuovi mercati che apprezzano la qualità e che sono disposti ad acquistare ad un prezzo giusto un casco sicuro. Siamo italiani e come tali siamo conosciuti nel mondo per la nostra inventiva e per la nostra genialità e fantasia. Se guardo indietro vedo una piccola azienda italiana che negli anni novanta ha puntato su di un casco nuovo anche se difficile da realizzare come quello apribile, primi in Italia e secondi nel mondo. In seguito all’inizio degli anni 2000 abbiamo inserito le visiere parasole, un'altra novità inizialmente non facile da realizzare. Dobbiamo continuare su questa strada. Innovazione, qualità e sicurezza».