Cagiva e Gilera: troppo in anticipo!

Cagiva e Gilera: troppo in anticipo!
Due realizzazioni italiane di elevato livello tecnico rimaste allo stadio di prototipo. Due motori bialbero molto interessanti
1 aprile 2016

Da qualche anno a questa parte i motori a quattro tempi di piccola cilindrata sono una tornati ad essere una interessante realtà. Quelli delle emergenti case cinesi e indiane vengono fabbricati in numeri impressionanti, principalmente per i loro mercati interni e non hanno pretese prestazionali degne di nota. Di disegno lineare e semplice (ma al tempo stesso moderno), nella maggior parte dei casi hanno il raffreddamento ad aria e sono destinati a moto studiate all’insegna della robustezza e della versatilità.

I costruttori europei e giapponesi producono alcuni 125 nettamente più raffinati sotto l’aspetto tecnico. Si tratta di realizzazioni che adottano soluzioni molto avanzate e che ben riflettono lo stato dell’arte in campo quattrotempistico.

Raffreddamento ad acqua, quattro valvole per cilindro e via dicendo non sono però una novità, per i motori di 125 cc destinati ad ampia diffusione. Due nostre case ci avevano pensato già diversi anni fa

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Le prestazioni sono volutamente limitate, in ottemperanza ai limiti di legge, ma questi monocilindrici potrebbero agevolmente raggiungere potenze notevolmente più elevate dei 120 CV/litro che generalmente erogano così come vengono venduti.
Raffreddamento ad acqua, quattro valvole per cilindro e via dicendo non sono però una novità, per i motori di 125 cm3 destinati ad ampia diffusione. Due nostre case ci avevano pensato già diversi anni fa, dimostrando una grande lungimiranza, quando la scena in questa classe di cilindrata era dominata da potentissimi due tempi. Ecco le loro splendide realizzazioni, rimaste purtroppo allo stadio di prototipo.

 

Il prototipo Cagiva

Nel motore Cagiva spiccavano il condotto di aspirazione rivolto in avanti (mentre lo scarico era posteriore) e il gruppo testa-cilindro costituito da un’unica fusione
Nel motore Cagiva spiccavano il condotto di aspirazione rivolto in avanti (mentre lo scarico era posteriore) e il gruppo testa-cilindro costituito da un’unica fusione

Per diverso tempo la Cagiva ha curato la progettazione e la realizzazione di prototipi anche per altri costruttori, principalmente del sud-est asiatico, oltre a svolgere una analoga attività per se stessa con l’obiettivo migliorare la sua gamma con nuovi modelli destinati ad essere prodotti in futuro. Attorno al 1989 all’interno della azienda varesina è così stato costruito un monocilindrico di 125 cm3 dalle caratteristiche molto avanzate. Si trattava di un monocilindrico a quattro valvole raffreddato ad acqua con distribuzione a doppio albero a camme in testa, azionata da una cinghia dentata posta sul lato sinistro. Una prima particolarità di grande interesse era costituita dalla architettura “rovesciata” della testa: il cilindro non era perfettamente verticale, ma leggermente inclinato all’indietro, il condotto di aspirazione era piazzato anteriormente, con forte inclinazione verso l’alto, e quello di scarico fuoriusciva dalla parte posteriore della testa stessa. Uno schema costruttivo analogo è stato impiegato dal monocilindrico VOR 250 dei primissimi anni 2000 e in seguito è stato adottato anche dalla Yamaha per i suoi monocilindrici da cross di 250 e 450 cm3.

Una soluzione decisamente inconsueta veniva impiegata per la testa e il cilindro, raggruppati in un’unica fusione. La canna in lega di alluminio, dotata di un riporto al nichel-carburo di silicio, veniva inserita dal basso ed era fissata alla testa per avvitamento. Per questa ragione i tecnici della Cagiva avevano soprannominato “vitone” questo prototipo. Le due valvole di aspirazione avevano un diametro di 23 mm; per quelle di scarico questo valore passava a 20,5 mm.

 

Le misure di alesaggio e corsa erano straordinariamente superquadre per l’epoca, e sarebbero “spinte” anche per i canoni odierni, con un alesaggio di 63 mm abbinato a una corsa di 40 mm. Il rapporto C/D (corsa/alesaggio) era quindi 0,635, pressoché eguale a quello delle odierne 600 quadricilindriche ultrasportive.

La cinghia dentata della distribuzione non era azionata direttamente dall’albero a gomito, ma da un albero ausiliario, che alla estremità destra, dove prendeva il moto, era dotato di una massa eccentrica (fungeva quindi da equilibratore dinamico) e provvedeva anche ad azionare la pompa dell’acqua.

L’albero a gomiti era composito (tre parti unite per interferenza) e lavorava interamente su bronzine. Sul lato destro del motore oltre alla pompa dell’acqua si trovava anche quella dell’olio, del tipo a lobi. Il circuito di lubrificazione era a carter umido, con filtro a cartuccia fissato mediante avvitamento alla parte anteriore del basamento che, come usuale per i monocilindrici era diviso in due parti da un piano di unione verticale.
 

E il prototipo Gilera

Questa immagine del Gilera 125 consente di notare come il basamento fosse costituito da due parti che si univano secondo un piano orizzontale. Il cilindro era fortemente inclinato in avanti
Questa immagine del Gilera 125 consente di notare come il basamento fosse costituito da due parti che si univano secondo un piano orizzontale. Il cilindro era fortemente inclinato in avanti

Pure il monocilindrico di 125 cm3 realizzato dalla Gilera nel 1990 era raffreddato ad acqua e aveva la distribuzione bialbero a quattro valvole. L’architettura generale e varie soluzioni tecniche impiegate erano però ben diverse. Spiccavano in particolare il cilindro fortemente inclinato in avanti e il basamento che si apriva secondo un piano orizzontale. A comandare i due alberi a camme provvedeva una catena silenziosa posta sul lato sinistro. I diametri dei funghi delle valvole erano 23 mm alla aspirazione e 20 mm allo scarico. Questo motore aveva un alesaggio di 60 mm e una corsa di 44 mm (il rapporto C/D era quindi 0,733). Per quanto riguarda le prestazioni, si parlava di 18 cavalli a 11.600 giri/min. La potenza specifica era quindi di 144 CV/litro, piuttosto simile a quella delle 600 quadricilindriche sportive dell’epoca (che avevano una cilindrata unitaria di 150 cm3).

Una interessante particolarità di questo motore era costituita dall’impiego di un albero a gomito monolitico; la biella aveva una lunghezza superiore al doppio della corsa ed era del tipo con testa scomponibile (che lavorava su una bronzina divisa in due semigusci). Sia i perni di banco che quello di manovella avevano un diametro di 30 mm. Il cilindro non era amovibile ma risultava incorporato nel semibasamento superiore. Questa soluzione e l’adozione di un albero monolitico in un monocilindrico di piccola cilindrata anticipavano due tendenze tecniche apparse bene evidenti negli ultimi anni. Il sistema di lubrificazione era a carter umido con pompa a lobi. Peccato che anche per questo motore i tempi non fossero ancora maturi.

 

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