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Nella storia della moto di quando in quando i costruttori hanno adottato soluzioni tecniche completamente diverse da quelle impiegate in precedenza.
Insomma, sono state stravolte tradizioni che apparivano consolidate, almeno per quanto riguarda certe tipologie di motori. Quando questo è avvenuto, nella storia della casa si è davvero aperta una nuova pagina.
Un esempio eclatante è quello fornito dalle Ducati bicilindriche a L con raffreddamento ad aria della serie nata con la famosa Pantah, entrata in produzione nel 1979.
Questo modello è stato una autentica pietra miliare, principalmente per la grande innovazione che ha interessato il comando della distribuzione: dagli alberelli e coppie coniche, che per una ventina d’anni avevano contraddistinto i suoi motori di serie, la casa bolognese è infatti passata alle cinghie dentate. Molto importante è stata l’adozione di un albero a gomito monolitico (sul quale venivano montate bielle con testa dotata di cappello amovibile) al posto di quello composito impiegato in precedenza su tutte le realizzazioni della Ducati. Il bicilindrico Pantah ha dato origine a una grande famiglia di motori di cilindrate diverse, con prestazioni via via migliorate.
In casa Ducati si è a un certo punto avuta una svolta importante con il “rovesciamento” della testa verticale
Nell’ambito di questa evoluzione si è a un certo punto avuta una svolta importante, con il “rovesciamento” della testa verticale, cosa che ha consentito di disporre il condotto di aspirazione all’interno della V formata dai due cilindri, ove si trovava anche quello dell’altra testa.
Questa innovazione è comparsa nel 1986 con i modelli Paso e Indiana. Lo scarico del cilindro verticale era rivolto all’indietro, con il condotto nella parte posteriore della testa, ovvero in posizione invertita rispetto a quella usualmente impiegata in campo motociclistico. Non si deve dimenticare che, prima dell’affermazione diffusa dei sistemi ad acqua, i motori delle moto erano raffreddati ad aria e generalmente si riteneva necessario che il lato caldo della testa, ossia quello di scarico, venisse investito direttamente dal vento della corsa. In questo modo la refrigerazione risultava ottimale, in quanto la maggior parte del calore veniva direttamente sottratta là dove occorreva. Il lato di aspirazione infatti era invariabilmente più “fresco”.
Che fosse possibile rovesciare questo schema consolidato, collocando lo scarico posteriormente senza che ciò desse origine a particolari problemi era stato dimostrato dai bicilindrici a V Harley-Davidson e Morini. Si deve però osservare che nei primi le potenze specifiche erano decisamente modeste.
Occorre comunque ricordare che nella famosa XR 750 da competizione i tecnici americani hanno provveduto a rivolgere in avanti gli scarichi di entrambe le teste e non solo di quella anteriore!
In quanto ai motori Morini, lo scarico del cilindro posteriore, rivolto all’indietro, era piazzato non nella parte centrale della testa ma quasi lateralmente.
Alla Ducati è stato possibile effettuare il “rovesciamento” della testa del cilindro verticale senza andare incontro a problemi di sorta grazie a un accurato disegno del componente, con adozione di sezioni generose e di una alettatura razionale. I risultati sono stati talmente positivi che la casa ha successivamente adottato lo schema in questione su tutti i bicilindrici ad aria (quelli ad acqua lo impiegavano già).
È doveroso ricordare che questa soluzione, come pure il comando della distribuzione a cinghia dentata, era stata anticipata dal tecnico Renato Armaroli al quale la direzione generale della Ducati si era rivolta per sfruttare la sua esperienza nel campo dei motori automobilistici da competizione al fine di estrarre qualche cavallo in più dal bicilindrico 500 a coppie coniche e con distribuzione monoalbero da GP che la casa bolognese schierava nel 1971-72.
Tale motore aveva due valvole per cilindro disposte in modo da formare tra loro un angolo assai elevato (80°) già da tempo però sulle F1 (e non solo) si era passati a schemi differenti. Armaroli realizzò nuove teste bialbero a quattro valvole, assai meno inclinate, e collocò entrambe le aspirazioni al centro della V formata dai due cilindri (lo scarico della testa verticale era quindi disposto posteriormente). A comandare la distribuzione provvedeva una cinghia dentata posta sul lato sinistro. È interessante osservare che nel motore Pantah, Fabio Taglioni scelse di adottare due cinghie, di lunghezza molto contenuta e poste sulla destra, che prendevano il moto da un albero ausiliario, a sua volta azionato dall’albero a gomito mediante una coppia di ingranaggi piazzati sul lato opposto.
Una soluzione abbastanza inconsueta utilizzata nel bicilindrico Pantah e in seguito adottata sui motori che da esso sono derivati era costituita dall’impiego di una soluzione “mista” per quanto riguarda i cuscinetti di banco e di biella; i primi infatti erano a rotolamento mentre gli altri erano a strisciamento (bronzine).
Questi schemi hanno caratterizzato tutti i bicilindrici Ducati fino alla comparsa del Superquadro 1199 della Panigale, nel quale gli alberi a camme sono azionati da catene (una per lato) e i cuscinetti di banco sono costituiti da grosse bronzine anulari.
Il bicilindrico Pantah va ricordato anche per un’altra innovazione. È stato infatti il primo motore motociclistico a quattro tempi di serie a impiegare canne integrali con riporto al nichel-carburo di silicio. Questo rivestimento superficiale è stato in origine sviluppato dalla tedesca Mahle che lo ha chiamato Nikasil.
Fino ad allora la Ducati aveva impiegato canne in ghisa riportate nei cilindri in lega di alluminio, soluzione che i costruttori giapponesi hanno continuato a utilizzare ancora per diversi anni.