Capire i motori: I parametri vitali

Capire i motori: I parametri vitali
Cilindri grandi o piccoli? E quanti? I parametri motoristici permettono non solo di avere un importante quadro d’assieme, ma pure di effettuare significativi confronti tra motori anche di tipo notevolmente diverso
12 dicembre 2017

I numeri ci consentono di analizzare un motore sotto i principali aspetti costruttivi e funzionali. Ovvero di valutare il significato delle scelte dei progettisti per quanto riguarda i principali dimensionamenti (vedi rapporto di compressione e rapporto corsa/alesaggio) e il livello di esasperazione al quale si è arrivati. In altre parole, ci dicono quanto il motore è “spinto” e di quale entità sono le sollecitazioni meccaniche e termiche alle quali sono sottoposti i principali componenti.
Si tratta delle quote e dei parametri, che permettono non solo di avere un importante quadro d’assieme ma pure di effettuare significativi confronti tra motori anche di tipo notevolmente diverso.
Alcuni di essi sono puramente teorici (ad esempio la velocità media del pistone, dato che quella reale varia di continuo, arrivando addirittura ad azzerarsi in corrispondenza dei punti morti), ma sono egualmente utilissimi, anzi costituiscono dei riferimenti assolutamente fondamentali…
È logico quindi chiedersi quali siano questi parametri e quale sia il loro reale significato. Insomma, cosa rappresentano, cosa influenzano e da cosa dipendono? Iniziamo dunque ad affrontare il tema procedendo con ordine.

Il Ducati 1199 e il successivo 1299 sono motori estremi e possono essere considerati quanto di più evoluto è mai stato fatto nel campo dei motori bicilindrici. Con le  elevate cilindrate unitarie in gioco non è facile arrivare a potenze specifiche come quella raggiunta dalla versione superbike (oltre 180 CV/litro!)
Il Ducati 1199 e il successivo 1299 sono motori estremi e possono essere considerati quanto di più evoluto è mai stato fatto nel campo dei motori bicilindrici. Con le elevate cilindrate unitarie in gioco non è facile arrivare a potenze specifiche come quella raggiunta dalla versione superbike (oltre 180 CV/litro!)
Naviga su Moto.it senza pubblicità
1 euro al mese

Le misure caratteristiche di un motore sono l’alesaggio e la corsa.
Una volta che esse sono note, si calcola agevolmente la cilindrata unitaria. Quest’ultima moltiplicata per il numero dei cilindri ci dà la cilindrata totale del motore. A questo punto vengono immediate alcune considerazioni. Non è proprio la stessa cosa infatti ottenere una data cilindrata totale con pochi cilindri grandi o con molti cilindri piccoli. Per ragioni di chiarezza conviene forse parlare prima della importanza delle dimensioni dei cilindri e poi del loro numero, ovvero del frazionamento della cilindrata.

La potenza non cresce direttamente con il volume del cilindro. Se, aumentando l’alesaggio e la corsa (ma senza cambiare il loro rapporto!), portiamo a 500 cm3 la cilindrata di un 250 monocilindrico, la potenza NON raddoppia, ma aumenta solo del 60% circa. Questo mantenendo invariato tutto il resto, ovvero con la stessa velocità media del pistone e con la stessa pressione media effettiva.

Il rapporto superficie/volume diminuisce al crescere delle dimensioni del cilindro. Cilindri grandi appaiono quindi vantaggiosi sotto l’aspetto del rendimento termico, date le minori perdite di calore. Al tempo stesso possono essere svantaggiosi per quanto riguarda il raffreddamento, e le sollecitazioni termiche possono risultare più elevate.
È opportuno qui ricordare che l’estensione delle superfici attraverso le quali avviene lo scambio termico cresce con il quadrato delle misure lineari mentre la quantità di calore sviluppata (e quindi anche quella da smaltire) aumenta con con il volume del cilindro (nel quale entra una maggiore massa di miscela aria/carburante), ovvero con il cubo delle misure lineari.
È infine evidente che il regime di rotazione che il motore raggiunge con una data velocità media del pistone (ricordiamo che in queste considerazioni il rapporto C/D rimane invariato!), diminuisce al crescere delle dimensioni del cilindro.

 

La potenza aumenta con la radice cubica del numero dei cilindri e quindi quella di un bicilindrico è del 26% superiore a quella di un mono di eguale cilindrata, quella di un quadricilindrico è del 58% superiore e quella di un “otto” è addirittura doppia

Il frazionamento della cilindrata, ovvero il numero dei cilindri del motore, è un parametro di grande importanza. Al suo crescere, fermi restando il rapporto C/D e la cilindrata totale, aumenta il rapporto tra la superficie e il volume e con esso cresce la superficie totale dei pistoni, che sono più piccoli e leggeri. Dato che la corsa è minore, si può raggiungere un regime di rotazione più elevato con una stessa velocità media del pistone. A parità di pressione media effettiva, aumentando il numero dei cilindri il motore può dunque girare più forte e può erogare più cavalli.
La potenza aumenta con la radice cubica del numero dei cilindri e quindi quella di un bicilindrico è del 26% superiore a quella di un mono di eguale cilindrata, quella di un quadricilindrico è del 58% superiore e quella di un “otto” è addirittura doppia (la radice cubica di 8 è 2).

È a questo punto chiaro per quale ragione dal punto di vista delle prestazioni di punta è vantaggioso aumentare il numero dei cilindri. In passato, quando i regolamenti non ponevano limiti in questo senso, per ottenere le potenze più elevate alcuni costruttori di veicoli da competizione hanno spinto notevolmente il frazionamento dei loro motori. Questa strada è però percorribile solo fino a un certo punto. I motori molto frazionati sono più complessi dal punto di vista meccanico, tendono ad avere un peso maggiore e hanno un considerevole ingombro. Per quanto riguarda le moto, quest’ultimo punto ha una notevole influenza sul comportamento del mezzo nella guida al limite (possibilità di piega, agilità) e sulla aerodinamica.

 

L’immagine consente di apprezzare la grande compattezza trasversale del motore a 8 cilindri a V della Guzzi 500 da Gran Premio degli anni Cinquanta, ottenuta adottando una architettura a V. L’elevato frazionamento consentiva di ottenere una potenza più elevata rispetto a quella della concorrenza a quattro cilindri
L’immagine consente di apprezzare la grande compattezza trasversale del motore a 8 cilindri a V della Guzzi 500 da Gran Premio degli anni Cinquanta, ottenuta adottando una architettura a V. L’elevato frazionamento consentiva di ottenere una potenza più elevata rispetto a quella della concorrenza a quattro cilindri

 

Meritano qui di essere ricordate almeno due straordinarie realizzazioni del passato. Per riuscire a superare in termini prestazionali le quadricilindriche Gilera e MV, negli anni Cinquanta la moto Guzzi ha realizzato una 500 da Gran premio con otto cilindri a V di 90°. Progettata dall’ing. Giulio Cesare Carcano, aveva il raffreddamento ad acqua e le canne dei cilindri umide, fissate alle teste per avvitamento.
Nata in anticipo rispetto ai tempi, questa eccezionale creazione non ha avuto modo di mostrare a fondo le sue grandi possibilità perché lo sviluppo è stato interrotto nel 1957 in seguito al ritiro dalla attività agonistica della casa lombarda. Alcuni mesi prima la moto aveva comunque fatto capire di che pasta era fatta conquistando alcuni importanti primati mondiali di velocità.

Gli anni Sessanta hanno visto la grande crescita dei due tempi, che progressivamente sono diventati sempre più competitivi nei Gran Premi, fino a trasformarsi nei motori da battere in quasi tutte le classi. La loro potenza specifica aumentava in maniera inarrestabile di stagione in stagione.
Nel tentativo (sicuramente riuscito, per qualche anno) di contrastarli, la Honda ha spinto il frazionamento delle sue moto a quattro tempi a livelli inusitati. Ha così realizzato una 250 a sei cilindri, una 125 a cinque cilindri e una 50 a due cilindri i cui motori, con distribuzione bialbero a quattro valvole e raffreddamento ad aria, erano degli autentici capolavori di meccanica.    

 

Caricamento commenti...

Hot now