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Se ne parla spesso sulle riviste, in internet e talvolta anche nelle cartelle stampa. Decisamente meno nei libri di tecnica motoristica.
Si tratta della potenza specifica, che è forse il parametro motoristico al quale si fa più spesso ricorso, dato che è intuitivo, di facile calcolo e conosciuto da tutti.
Fornisce una risposta alla domanda “Se un dato motore avesse una cilindrata di 1000 cm3 invece di quella che realmente ha, quanti cavalli erogherebbe?”. Prima di parlarne, a questo punto sono forse opportune due parole sulle unità di misura della potenza.
A rigore, secondo le norme SI (che sono quelle ufficiali, in vigore anche da noi da diverse decine di anni), si dovrebbero impiegare i kilowatt (kW). Quasi tutti, dai comuni appassionati, ai giornalisti, agli stessi tecnici e addetti ai lavori, continuano però a esprimere la potenza in cavalli. Ci siamo abituati e conosciamo bene il loro significato, ossia quanto “vale” uno di essi. Con i kilowatt è più difficile. La valutazione non è immediata. Dobbiamo fare un calcolo per sapere a quanti cavalli corrisponde una potenza espressa in kilowatt. Per fortuna la conversione è semplice.
Per sapere quanti cavalli eroga un motore occorre moltiplicare per 1,36 la potenza in kilowatt. A mente si può ricorrere a un sistema semplicissimo. Si divide la potenza in kilowatt per 3 e quindi si moltiplica il risultato per 4. Così se un motore eroga 75 kW, dividendo per 3 otteniamo 25 e moltiplicando quest’ultimo valore per 4 abbiamo 100, che è la potenza in cavalli. Se dividiamo 1 per 3 e moltiplichiamo il risultato per 4 otteniamo 1,33 e dunque l’approssimazione è soddisfacente.
La potenza specifica consente di farsi un’idea di quanto è “spinto” un motore, ma si tratta di una indicazione che va valutata con beneficio di inventario, come si suol dire. Viene comunemente utilizzata per fare dei confronti tra motori diversi, senza considerare però come sono fatti e senza tener conto di vari parametri fondamentali, a cominciare dal frazionamento e del rapporto corsa/alesaggio.
È infatti chiaro che un motore dotato di un notevole numero di cilindri piccoli, anche se la cilindrata totale è analoga, potrà girare molto più forte di un altro che di cilindri ne ha uno o due soltanto, e di grandi dimensioni. Non può essere certo utilizzata per confrontare un 600 quadricilindrico e un mono di analoga cilindrata (o un bicilindrico di oltre 1000 cm3).
Si tratta di limiti non da poco. La potenza specifica comunque costituisce un utile riferimento. Consente di fare valutazioni interessanti, anche se semplicistiche, sul livello di esasperazione dei motori. E anche paragoni tra modelli differenti, purché essi siano di tipo simile e non troppo diversi come cilindrata unitaria. E per la sua immediatezza viene largamente utilizzata in campo giornalistico e nelle cartelle stampa delle case. La troviamo largamente impiegata nei libri storici e divulgativi, mentre in quelli tecnici davvero “tosti” se ne parla piuttosto poco.
Per calcolare la potenza specifica di un motore basta dividere la sua potenza per la cilindrata (espressa in litri). Così se ad esempio una moto di 600 cm3 eroga 126 cavalli, la sua potenza specifica è di 210 CV/litro (infatti 126 diviso 0,6 = 210).
Per avere un’idea di come le dimensioni e il numero di cilindri possano influenzare la potenza specifica raggiungibile (a pari livello di sviluppo, ovvero con la stessa pressione media effettiva), basta pensare a un 1000 quadricilindrico e un 1200 bicilindrico, entrambi da Superbike: possono erogare potenze massime tutto sommato analoghe ma le loro potenze specifiche sono sensibilmente diverse…
Oggi la potenza specifica di una 600 sportiva a quattro cilindri di serie è di 205 – 215 CV/litro e quella di una MotoGP (nella quale, siccome la cilindrata è 1000 cm3, si identifica con la potenza effettivamente erogata) è dell’ordine di 265-270.
Nelle auto a benzina con motore aspirato siamo dalle parti di 65-85 CV/litro; quelle con motore turbo arrivano a valori di circa 100 – 130 CV/litro.
Le Formula Uno aspirate dei primi anni Duemila (prima che il regolamento ponesse delle limitazioni in fatto di regime di rotazione) raggiungevano addirittura i 300 CV/litro; un valore straordinario, in particolare se si considera che la cilindrata unitaria era di 300 cm3. Le moto a due tempi da Gran Premio sono arrivate a 400 CV/litro e anche qualcosina di più (va bene, sono di un’altra razza, con una fase utile in ogni cilindro a ciascun giro dell’albero e con uno scarico che funge da autentico sovralimentatore a onde di pressione…). Il record spetta comunque alle Formula Uno Turbo degli anni Ottanta, che sono arrivate a circa 600 CV/litro!
A questo punto ci si potrà chiedere se è possibile fare dei confronti davvero significativi tra motori molto diversi uno dall’altro in fatto di cilindrata, frazionamento e rapporto corsa/alesaggio.
Se invece della potenza specifica facessimo ricorso alla coppia specifica? Pensiamoci un attimo: una coppia non è altro che una forza moltiplicata per una distanza (ossia per una lunghezza) e se la dividiamo per un volume (cioè il cubo di una lunghezza) otteniamo una forza divisa per il quadrato di una lunghezza (ovvero una superficie), cioè una pressione! Ci imbattiamo quindi in quella che in campo motoristico può davvero essere considerata la “madre di tutte le cose”, ovvero la pressione media effettiva (PME). Si tratta di un parametro che per la sua importanza merita senz’altro un servizio a sé stante, di prossima realizzazione.
E se decidiamo di dividere la potenza non per la cilindrata ma per la superficie dei pistoni? È un’ottima idea perché in tal modo otteniamo la potenza specifica areale, che si esprime in CV/cm2 e ha le dimensioni fisiche di un carico termico. Anche di lei ci occuperemo assai presto.