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Nascosto e invisibile, svolge una funzione essenziale e delicata. Può essere fonte di mille guai quando uno dei terminali è lasco, quando uno dei contatti è ossidato, quando uno dei connettori non è ben fissato, quando l’isolamento è insufficiente e i cavi si scaldano, oppure – infine - quando i movimenti della matassa provocano abrasione e spellatura in una guaina.
A comporre un cablaggio partecipano cavi, terminali (chiamati anche capocorda) e connettori.
I cavi sono di rame con guaina isolante in PVC (policloruro di vinile) e hanno colori e sezioni differenti a seconda delle funzioni.
La sezione è determinante ai fini della intensità di corrente sopportabile, valore superato il quale il cavo si surriscalda, la guaina fonde e il cortocircuito è in agguato.
Normalmente le sezioni vanno da 0,5 mm2, per i contatti a bassa intensità dei circuiti elettronici, fino a 35 mm2 per la batteria e il motorino di avviamento. Possono portare correnti fino a 10 A per mm2, valore che scende fino a 6 A per mm2 se la sezione è inferiore a 1 mm2.
Negli ultimi anni si sono resi necessari anche cavi schermati bipolari, tripolari e quadripolari per la gestione dei segnali can bus.
Al suo interno scorre il flusso di elettroni che caratterizza la corrente elettrica. La qualità della guaina isolante è importante, non tanto per le tensioni in gioco, che sono molto basse e quindi richiedono spessori relativamente limitati, quanto per la sua resistenza alle medio-alte temperature cui spesso il circuito è sottoposto.
Per esempio, tra i cilindri e il serbatoio, nei mesi estivi, si riscontrano temperature tra 80°C e 90°C e poiché il PVC è un materiale termoplastico, possono verificarsi inconvenienti come: allentamenti delle fascette di fissaggio del cablaggio al telaio, oppure scarsa tenuta all’acqua nei connettori, o lesioni dei singoli cavi se sottoposti a trazioni o vibrazioni.
É quindi indispensabile l’utilizzo di guaine che sopportino temperature di almeno 105°C.
Il collegamento fra i cavi e gli utilizzatori, un tempo, era ottenuto con un occhiello, saldato a stagno col filo di rame e fissato poi a vite. Poi venne il terminale “Faston” (veloce dentro) e fu una rivoluzione.
Inventato dall’americana Amp sul finire degli anni Quaranta, cancellò una precedente linea di terminali chiamata Piggy Back che non permetteva alte portate di corrente e dava inconvenienti di varia natura. Che tuttavia era stato il primo passo verso la connessione rapida, senza viti.
Con entrambi questi terminali venne adottato un modo nuovo di unire il terminale al cavo: la crimpatura. Essa consiste nell’introdurre la parte spellata del cavo tra due alette del terminale per poi richiuderle attorno al conduttore. Dicevamo rivoluzione: infatti si potevano connettere due punti in meno di 5 secondi, mentre gli occhielli richiedevano qualche minuto.
Poi vennero i terminali cilindrici di piccolo diametro, tra 3 e 5 mm. circa che permisero una densità di connessioni molto elevata con portate di correnti importanti.
Ciò rese indispensabile un nuovo componente: il connettore, cioè una scatola divisa in due metà (maschio e femmina) che può mettere in contatto simultaneamente decine di cavi.
I connettori sono realizzati in nylon tramite stampaggio, hanno un costo limitato e colori differenti per evitare errori di montaggio.
Hanno consentito di progettare connessioni impermeabili all’acqua, caratteristica molto importante per una moto, necessaria dopo l’introduzione delle centraline elettroniche che necessitano di segnali molto puliti e che invece potrebbero dar luogo a problemi, in caso di infiltrazioni, specialmente d’inverno quando l’acqua è mista al sale sparso sulle strade e diventa buona conduttrice.
L’impermeabilità viene ottenuta inserendo su ogni filo (che andrà poi inserito nel connettore) una guarnizione di gomma che viene aggraffata anche essa al terminale. Il connettore è a sua volta dotato di una guarnizione poligonale, infilata sulla parte di guida tra il maschio e la femmina.
I connettori consentono di collegare fino a 64 vie diverse. Per un numero maggiore di collegamenti si utilizzano 2 connettori distinti. Ad esempio, sulle centraline per Yamaha si usa un connettore da 32 vie e un secondo da 48 vie. Un altro elemento utilizzatore di molti segnali diversi è il cruscotto elettronico di bordo che può utilizzare anche connettori a 16 vie.
Il componente esterno del cablaggio è la guaina esterna, una sorta di vestito che ricopre e fascia tutti i cavi, li protegge e li tiene uniti tra loro e tra un connettore e l’altro.
Poiché il cablaggio è un insieme informe ed incoerente di cavi, che lascia sconcertato chi lo manipola, si tende a nasconderlo facendolo passare sotto il serbatoio o sotto varie strutture o bauletti.
Esistono due famiglie di fasciatura esterna: la classica in PVC, delle stesse caratteristiche dei cavi per quanto riguarda la temperatura d’esercizio di 105°C, la seconda in Nylon corrugato tale da non schiacciarsi se sottoposta a curvatura. Quest’ultima è però usata poco anche se il sistema è corredato da una ricca componentistica di accessori: giunte ai connettori, derivazioni angolari, sistemi di ancoraggio e giunzioni varie.
Infine ci sono parecchi componenti di contorno: i copri-connettori, generalmente di gomma, che hanno la funzione di ancorare i connettori alle guaine; i passacavi, una sorta di anelli di gomma che permettono al cablaggio di attraversare lamiere forate senza danneggiarsi; le cosiddette pipette che ricoprono solitamente un terminale a occhiello serrato tra vite o dado; infine le fascette in nylon che servono a tenere stretti i cavi tra loro e il nastro adesivo, plastico o telato, che serve a coprire le numerose biforcazioni che in una moto, abbondano sempre.
Molto più complessa di quanto non appaia è la costruzione del cablaggio. Dopo la fase di progettazione si parte col taglio dei vari spezzoni, con aggraffatura automatica di tutti i singoli cavi. Alcuni di questi potrebbero essere connessi tra loro in modo da formare una sorta di V con tre terminali alle estremità, sempre in modo totalmente automatico. A questo compito provvedono oggi macchine automatiche che eseguono anche il test completo di isolamento, di aggraffatura, di crimpatura, tutto in tempo reale. I singoli componenti del cablaggio escono pertanto dalla macchina già totalmente testati.
Quando tutti i circuiti sono pronti inizia l’assemblaggio vero e proprio, inserendo i cavi nelle rispettive guaine, aggraffando i cavi rimasti senza terminale per permetterne l’introduzione nelle guaine, montando i connettori e le loro eventuali protezioni. Si completa il tutto con eventuali nastrature o legando il cablaggio con fascette in nylon.
A questo punto viene eseguito il collaudo elettrico: collegando i connettori e i terminali ad una speciale apparecchiatura a micro-processore, precedentemente programmata tramite PC, si verificano i singoli circuiti e la correttezza dell’esecuzione.
In caso di errore la macchina fornisce a video gli interventi necessari all’eliminazione dell’errore. Il sistema può fornire una etichetta che riporta tutti i dati identificativi dello stesso. Applicata l’etichetta il cablaggio è pronto.
Pensiamo di aver dato, forse per la prima volta, una visione - sia pure sommaria - di un componente umile e poco conosciuto, ma decisamente importante della moto.
Se non altro è quello che si è allungato di più nel tempo: partiamo dal mezzo metro di cavo della prima moto, arriviamo negli anni Sessanta a circa 11 metri per una 125 e ora siamo a circa 150 metri per una grossa cilindrata.
E non siamo alla fine, con l’ingresso della trazione elettrica, siamo solo a un punto intermedio.