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Che lo abbiate amato o odiato, capito o soltanto tollerato, che l'abbiate letto più volte o non siate mai riusciti a finirlo non c'è dubbio che il libro che rese celebre Robert Pirsig abbia lasciato il segno. A tal punto che probabilmente non serve neppure che io scriva il titolo perché già sapete di quale libro sto parlando. Di quello lì, di quello che - se non ancora oggi, almeno per un lungo periodo - è sembrato fosse obbligatoria la lettura per chiunque si volesse proclamare un VERO motociclista. Magari di quelli che amano - come ha sempre fatto pedantemente il sottoscritto - parlare di "cultura motociclistica" e vantarsi delle proprie erudite letture. Credo che molti, dopo averne letto una parte, lo abbiano chiuso e riposto su uno scaffale. So per certo che non sono neppure pochi quelli che lo hanno poi ripreso e hanno ritentato più volte la lettura finendo per abbandonarlo di nuovo e di nuovo. Però se non siete tra questi, se avete avuto la fortuna o la bravura di incrociarlo nel momento giusto della vostra esistenza, è molto probabile che il libro in questione vi abbia lasciato dentro un segno, abbia seminato in voi qualcosa. Io l'ho letto più volte (non è un vanto) e ogni volta è stato diverso. Ora, per dire, non so se riuscirei a rileggerlo con lo stesso spirito. Per ognuno di noi, questo libro è diverso.
Per essere pratici e pragmatici ricominciamo dall'inizio e rifacciamo le corrette presentazioni. Il famoso libro intitolato "Lo Zen e l'arte della manutenzione della motocicletta" non parlà né di zen né di manutenzione e giusto un pochino di motocicletta o, perlomeno, dell'andarci. Ma quello della motocicletta è un pretesto per parlare d'altro.
Il testo è stato così potente e rivoluzionario che ancora oggi a distanza di cinquant'anni dalla pubblicazione non solo ne stiamo parlando ma fa discutere e lascia aperte interpretazioni. Il suo peso nella cultura di oggi è tale che persino allo Smithsonian Institute, "il più grande complesso museale di educazione e ricerca con 21 diversi musei e lo zoo nazionale", hanno deciso di dedicargli un'esposizione e ricostruire tutta la vicenda con i cimeli originali. Mettendo al centro proprio quella piccola CB77 Super Hawk del 1966 che probabilmente nessuno di noi, neppure Soichiro Honda avrebbe mai immaginato sul piedistallo di un museo di storia americana.
Poche opere narrative moderne possono vantare la popolarità raggiunta da quella di Pirsig specialmente quelle che hanno la parola "moto" nel titolo, figuriamoci "manutenzione". Eppure fu pubblicata un po' per scommessa, un po' per disperazione. Di certo nessuno, tantomeno il suo autore, poteva aspettarsi che diventasse non solo un best-seller ma, di fatto, il testo di filosofia più venduto di sempre con oltre sei milioni di copie stampate e tradotte in ventisette lingue. Quando Robert Pirsig (1928-2017) lo scrisse aveva già più di quarant'anni e aveva già passato momenti difficili come la pesante cura per esaurimento nervoso che tra il 1960 e il 1963 gli fece provare anche l'ebbrezza dell'elettroshock. Quando finalmente lo "Zen and The Art of Motorcycle Maintenance" fu pubblicato nel 1974, era già stato rifiutato da 121 editori e l'editor che lavorava con lui alla casa editrice William Morrow, James Landis, consigliò gentilmente all'autore di non aspettarsi di vedere mai nulla di più del suo anticipo di 3.000 dollari.
Anche definirlo libro di filosofia, però, mi rendo conto non sia un incasellamento perfetto. Pirsig lo considerava un "romanzo autobiografico", ma anche questo non rende giustizia al libro. Nella nota dell'autore all'edizione del 25° anniversario, Pirsig scrisse che il suo libro "non dovrebbe in alcun modo essere associato a quel grande corpus di informazioni fattuali relative alla pratica buddista zen ortodossa. Non è molto fattuale neanche sulle motociclette". Insomma, come detto, non parla di zen e non parla di motociclette.
Di Metafisica della Qualità, come la definì lo stesso Pirsig. Adesso ci arrivo eh, ma per gradi.
Vi è innanzitutto il viaggio in motocicletta. Quello che l'autore compie assieme al figlio Chris attraverso gli Stati Uniti dal Minnesota alla California in sella alla loro Honda CB77 del 1966. Con loro c'è una coppia di amici: John e Sylvia Sutherland in sella alla loro potente BMW R60/2. Ma ci sono anche tutti gli elementi tipici del grande viaggio in moto, dagli agenti atmosferici al paesaggio e c'è la moto di cui bisogna prendersi cura.
Ecco, questo primo livello della narrazione è quello che in realtà cattura noialtri motociclisti. Veniamo lusingati e blanditi da questo viaggio epico però la narrazione è molto più articolata e ci sono almeno altri tre livelli. Il secondo è infatti quello della storia passata dell'autore, fatta di ricordi frammentati proprio a causa delle pesanti cure psichiatriche cui è stato sottoposto. Per questo il viaggio rappresenta un ritorno sui propri passi, un modo per lo stesso Pirsig di ricomporre il proprio puzzle, capire chi era veramente prima del trattamento. Il terzo livello è quello più difficile e riguarda le convinzioni dell'autore che analiticamente prende, valuta, spezzetta, ricompone e rispiega elementi sia della filosofia occidentale sia di quella orientale (questo "zen" per l'appunto) che lo ha sempre affascinato (fu anche soldato in Corea). Il sottotitolo è "un'indagine sui valori" ed è esattamente questo terzo livello che poi è il cuore del libro, è quella Metafisica della Qualità di cui accennavo prima. (Tant'è che, aneddoto personale, fu proprio per questo aspetto che conobbi la prima volta questo testo quando ero studente del Politecnico e mi venne consigliato in un corso di progettazione).
Infine c'è un quarto livello che è quello della relazione tra Pirsig e il figlio undicenne Chris (nato nel 1958 e assassinato nel 1979 ndr) . Benché ancora bambino, Chris è consapevole di aver a che fare con un padre che è cambiato dopo le cure. Per questo nel testo appare preoccupato, frenato e a sua volta lo stesso autore è preoccupato per il figlio. Tant'è che in alcuni passaggi quasi si confonde chi dei due si debba prendere più cura dell'altro, chi dei due abbia passato i guai maggiori.
Il grande merito letterario di Pirsig deriva proprio dall'incredibile abilità con cui intreccia questi quattro livelli al fine di restituirci degli scorci di pensiero filosofico mentre noi siamo impegnati a immaginarci in viaggio con lui. Dipinge una situazione ma dentro c'è un concentrato di pensieri. è una costruzione terribilmente analitica e precisa, una struttura ingegneristica più che letteraria per la precisione con cui incasella tutto nel giusto spazio.
La difficoltà di leggere un libro come questo sta proprio qui, perché Pirsig mentre ci dipinge un romanzo autobiografico ci spiega perché facciamo ciò che facciamo e quale potrebbe essere il nostro scopo, sintetizzato nel concetto di Qualità. Insomma... ci vuole concentrazione.
Un po' come Pirsig forse mi sono lasciato prendere un po' dalla narrazione personale. Torniamo perciò al motivo che ha scatenato questo piccolo articolo: in occasione del cinquantesimo dalla pubblicazione, il National Museum of American History dello Smithsonian Institution ha esposto i cimeli appartenuti a Pirsig. È stata sua moglie a metterli a disposizione già nel 2019. Tra questi c'è la Super Hawk che ha guidato nel famoso viaggio e che successivamente ha personalmente restaurato mantenendone però la patina usata, ma ci sono anche effetti personali particolari e curiosi come il suo equipaggiamento per il viaggio come una giacca di pelle ed un casco a scodella, i suoi attrezzi (immancabili!) e persino il suo libretto di manutenzione della Honda (quello sì, che parla di manutenzione!). Per chi non la conoscesse, la piccola Super Hawk fu prodotta tra il 1963 e il 1966 ed è considerata la prima moto sportiva di Honda, cosa che oggi forse fa sorridere. Ha un bicilindrico in linea con singolo albero a camme in testa raffreddato ad aria di 305 cc con la bellezza di 28 cavalli.
Pirsig oltre che di tecnica era un appassionato di mappe. Ovviamente non aveva a disposizione i nostri GPS e neppure tutte le borse moderne quindi aveva realizzato un porta-mappe da serbatoio, un ingegnoso dispositivo che consentiva di tenere saldamente e di esporre sulla parte superiore del serbatoio della CB una mappa cartacea. Aveva anche adattato un set di "Bubble Bags" Buco, un accessorio comune per le Harley-Davidson di quel periodo ma non per le CB e che si vede nella celebre foto con il figlio Chris. Purtroppo, i telai delle borse, le borse e il porta-mappe non sono più stati rinvenuti e forse solo Pirsig saprebbe che fine hanno fatto. Nella mostra allo Smithsonian possiamo però vedere la macchina per scrivere portatile con cui ha scritto il libro e anche uno dei primi computer, un Apple, sul quale Pirsig scrisse il suo secondo romanzo, "Lila". A quanto pare era anche un appassionato di informatica e aveva fatto una programmazione personalizzata per modificare un programma di elaborazione testi disponibile ai tempi. Era così convinto che la sua versione fosse migliore che cercò di acquistare i diritti del programma ma non ci riuscì. Altra curiosità che forse non tutti sanno, riguarda la sua storia dopo il successo del suo primo libro: con i proventi Pirsig acquistò una barca a vela e fece due traversate atlantiche. Per questo al museo, sotto il suo nome, troviamo la dicitura "rider, writer, sailor".
La mostra "Zen and the Open Road" fa parte della Transportation Gallery al primo piano dello Smithsonian Institution's National Museum of American History. L'ingresso è gratuito, però dovete trovarvi a Washington DC.