Nico Cereghini: "Che strizze! Le metto in fila"

Evochiamo le cinque strizze della nostra vita, i maggiori pericoli scampati, per ricordare che l’attenzione non può mai calare. Perché i jolly non durano in eterno | di Nico Cereghini
24 marzo 2010

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Ciao a tutti. Parliamo di spaventi per starci lontani. La più grande strizza della mia carriera motociclistica? Tornavo dal Mugello, tutto il giorno passato a provare le Laverda per la stagione dell’Endurance; stanchino, in sella a una Yamaha XS 1100 in prova, spingevo forte sul tratto appenninico della A1 per raggiungere a Milano una ragazza che mi faceva diventar matto.

Troppa carne al fuoco. Troppi km in moto. E troppo pirla. Entro in una galleria sparato sui 150 (limiti e traffico a zero, alla fine degli anni Settanta), curvone in galleria senza togliere gas se no la moto balla, uscita dal tunnel ed eccola lì: la coda di auto e camion, ferma. Non avessi trovato un corridoio centrale sufficientemente sgombro, non sarei più qui perché lo spazio per fermarmi mancava. Credo che l’istinto di sopravvivenza faccia miracoli, in certi casi. E il culo anche di più. Una volta fermo, sceso dalla moto, le gambe non mi reggevano e dovetti sedermi sul guard-rail. Il tremore, pazzesco, incontrollabile, mi passò dopo minimo un quarto d’ora.

Le cinque strizze più strizze della vita. I pericoli scampati. I ceri in chiesa. Al secondo posto metto un camion che mi sfiora sul lungolago di Colico. Era notte, avevo l’incoscienza dei quindici anni e un Viberti Vivì 50 che non aveva le luci e si fermava quando gli pareva. Tipo in piena curva sulla statale. Io spingevo, il camion mi ha visto all’ultimo, tromba a cento decibel e cinque centimetri di margine.

Le strizze sono frutto delle nostre sciocchezze? Certo che sì. A parte pochi casi, come quando il cambio di una V7 Sport mi si è piantato in un test. Semicurva da 120, ruota bloccata, sono rimasto in piedi e in strada. Non potevo far altro che tenere dritta la moto e sperare. La gomma si è consumata fino alle tele.
E questo è il terzo jolly, il quarto ancora con un camion, questa volta incrociato su una deviazione valtellinese, cantiere sterrato. Proprio quando lo incrocio sento un fracasso di ferraglia: stava perdendo il carico di tondini di ferro. Una sgassata piena di terrore mi ha salvato le penne anche quella volta.

La quinta strizza è di quelle divertenti. Superstrada da 130 all’ora, guida distratta, e quando realizzo che la Fiat 500 che mi precede, in corsia di sorpasso, va a 30 all’ora è già un po’ troppo tardi. Inchiodo quanto posso ma la colpisco ugualmente al centro del paraurti, la mia moto si alza dietro, quando atterra la tengo per miracolo mentre l’utilitaria caracolla nel praticello di sinistra fino a toccare leggermente il guard-rail. Ne escono tre donne piccole tutte vestite di nero, e la meno anziana, che guidava, candidamente grida: “Iiiih! Non potevate passare a destra come tutti gli altri?”.

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