Cinque valvole per cilindro: la promessa mancata

Le aspettative erano grandi e i risultati ottenuti erano buoni, ma le distribuzioni a cinque valvole sono scomparse dalla scena
13 giugno 2021

Utopia? Grande illusione? No, quella che prevede cinque valvole per cilindro era una soluzione che funzionava.
Peccato però che ce ne fosse un’altra che complessivamente era meglio, ovvero quella classica che di valvole per cilindro ne prevede quattro.

La Yamaha ha stupito il mondo quando, al Salone di Colonia del 1984, ha presentato la FZ 750 con motore bialbero a 20 valvole. Questa moto, messa in commercio pochi mesi dopo, è stata l’antenata di una fortunata serie di modelli con questo stesso tipo di distribuzione.
In campo moto cinque valvole per cilindro (tre di aspirazione e due di scarico) non le aveva mai viste nessuno.

La cosa era ancora più eclatante perché si trattava di un modello di serie. Le successive quadricilindriche FZR di 750 e di 1000 cm3 avevano prestazioni che consentivano loro di giocarsela con qualunque moto con distribuzione tradizionale, a quattro valvole, come dimostravano anche i risultati sportivi.

Fin dal suo apparire questa soluzione innovativa ha destato l’interesse dei tecnici di molte altre case. In effetti appariva talmente promettente che non solo sono stati realizzati prototipi per sperimentarne la validità ma alcuni costruttori automobilistici hanno sposato con decisione lo schema per i loro motori da competizione e in certi casi lo hanno adottato anche su validi modelli di serie.

Quando, nel 1989, le Formula Uno hanno abbandonato i motori turbo e sono tornate agli aspirati (di 3,5 litri), tre case impegnate nel mondiale hanno schierato motori a cinque valvole per cilindro. La Ferrari ha continuato a farlo fino al 1993 con risultati buoni ma non tali da farla proseguire su questa strada (che ha adottato anche per quattro modelli stradali nel corso degli anni Novanta).
Per quanto riguarda le auto di serie, occorre ricordare che l’Audi ha per diversi anni costruito motori con questo tipo di distribuzione, che ha impiegato non per avere più cavalli ma per ottenere una curva di erogazione particolarmente favorevole ai medi regimi.

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Testa di una Yamaha FZ di metà anni Ottanta. La casa giapponese ha abbracciato con entusiasmo la strada delle cinque valvole per cilindro e altri costruttori l’hanno seguita.  La soluzione sembrava molto promettente ed effettivamente aveva dalla sua numeri importanti.
Testa di una Yamaha FZ di metà anni Ottanta. La casa giapponese ha abbracciato con entusiasmo la strada delle cinque valvole per cilindro e altri costruttori l’hanno seguita. La soluzione sembrava molto promettente ed effettivamente aveva dalla sua numeri importanti.

Anche dopo essersi aver cessato il suo impegno agonistico ufficiale nella seconda metà degli anni Ottanta, la BMW ha continuato, sia pure con budget assai ridotto, a costruire motori di Formula Uno.
Non sono stati impiegati in gara ma sono serviti per compiere importanti sperimentazioni e per confrontare i risultati da essi forniti al banco con quelli ottenuti dai costruttori impegnati nel campionato mondiale. Il primo di questi prototipi, indicato con la sigla E 41, è stato un V12 di 3,5 litri realizzato nel 1990.

Tra le sue caratteristiche più interessanti vi erano il basamento in lega di magnesio e la distribuzione nella quale le cinque valvole di ogni cilindro venivano azionate da tre alberi a camme (due alla aspirazione e uno allo scarico). Non venivano impiegate sedi valvola ma calotte in rame al berillio, incorporate di fusione, nelle quali erano ricavate le pareti delle camere di combustione e le superfici di appoggio delle valvole.

La Yamaha FZ750 del 1984
La Yamaha FZ750 del 1984

Per quanto riguarda le moto, la Yamaha ha proseguito con decisione sulla strada delle cinque valvole, adottandole sul finire degli anni Ottanta anche su altri suoi modelli di spicco come le bicilindriche XTZ e TDM con cilindrate di 750 e di 850 cm3 e la monocilindrica XTZ 660. Quest’ultima aveva il raffreddamento ad acqua e la distribuzione con un unico albero a camme dotato di quattro eccentrici (uno era più largo e azionava due valvole di aspirazione per mezzo di un bilanciere sdoppiato).
Chiamata a sostituire la mitica XT 600, questa moto ha avuto una larga diffusione e una lunga vita.

La casa dei tre diapason ha continuato a impiegare cinque valvole per cilindro sulla sportivissima R1 di 1000 cm3 e sulla MotoGP quadricilindrica M1 ma poi è passata alla soluzione convenzionale (rispettivamente nel 2007 e nel 2004).
Pure sulle sue monocilindriche da cross di maggiore cilindrata la casa giapponese ha impiegato a lungo cinque valvole ma anche in questo caso le ha a un certo punto abbandonate.

La XTZ 660 del 1991
La XTZ 660 del 1991

Un’altra casa che ha puntato con decisione su questo tipo di distribuzione realizzando un modello a cinque valvole che ha costruito in serie è stata la Rotax. Si trattava del monocilindrico 655, che è stato impiegato dalla Aprilia all’inizio degli anni Novanta. Anche in questo caso si è in seguito passati a una distribuzione di tipo convenzionale.

Hanno utilizzato cinque valvole per cilindro sia la Gilera che l’Aprilia in prototipi che sono stati provati lungamente al banco e su strada. La prima di queste due case ha impiegato tale soluzione in un monocilindrico bialbero di 620 cm3 con raffreddamento ad aria e lubrificazione a carter secco nel 1989.

L’azienda di Noale ha invece impiegato teste a cinque valvole in un bicilindrico a V di 60° realizzato nei primi anni Novanta e mai uscito dallo stadio sperimentale. Questo motore aveva una cilindrata di 890 cm3, ottenuta con un alesaggio di 92 mm e una corsa di 64 mm; la distribuzione era bialbero con gli eccentrici che agivano su bilancieri a dito.

La M1 990 MotoGP del 2002
La M1 990 MotoGP del 2002

Perché abbandonarle allora?

A questo punto è logico chiedersi per quale motivo le cinque valvole per cilindro siano uscite di scena. Dal punto di vista geometrico sono superiori, rispetto alla soluzione tradizionale.
Alla aspirazione con tre valvole al posto di due si hanno infatti maggiori sezioni di passaggio a disposizione dei gas. E, poiché sono più piccole, basta un minore sollevamento delle valvole per raggiungere la massima sezione disponibile, il che è ovviamente vantaggioso.

E poi valvole di minori dimensioni sono anche più leggere e quindi la soluzione appare conveniente anche in quest’ottica. Se però passiamo ad esaminare l’altra faccia della medaglia emergono gli aspetti che, alla fin fine, la rendono meno vantaggiosa.
Rispetto alla soluzione a quattro valvole il coefficiente di efflusso è peggiore. Questo significa che le sezioni sono maggiori ma vengono sfruttate peggio! È maggiore la superficie “bagnata” dai gas (e quindi aumenta, sia pure in lieve misura, la resistenza al moto che essi incontrano).

Anche la presenza di due “pinne” di separazione tra i tre rami nei quali viene diviso il condotto di aspirazione non è certo vantaggiosa. I flussi che escono dalle tre valvole in una certa misura si disturbano tra loro. Infine, è difficile pensare che la portata uscente sia la stessa per tutti e tre i condotti di uscita.

Se il condotto di aspirazione si divide in tre rami invece che in due aumenta la superficie “bagnata” dai gas. Inoltre ai fini del flusso due “pinne” sono peggio di una. Pure all’uscita delle valvole le correnti gassose che escono dalle tre valvole si disturbano tra loro
Se il condotto di aspirazione si divide in tre rami invece che in due aumenta la superficie “bagnata” dai gas. Inoltre ai fini del flusso due “pinne” sono peggio di una. Pure all’uscita delle valvole le correnti gassose che escono dalle tre valvole si disturbano tra loro

Per quanto riguarda la meccanica, non si può non sottolineare la maggiore complessità del sistema. La valvola di aspirazione centrale ha una inclinazione differente da quella delle due laterali (che giacciono su di uno stesso piano).
Questo ci porta a considerare l’aspetto termodinamico, serio punto debole delle distribuzioni a cinque valvole.

La forma della camera di combustione è peggiore. Non solo è meno regolare ma determina un rapporto superficie/volume più alto, il che è sfavorevole ai fini del rendimento. C’è meno spazio per le zone di squish e la combustione tende ad essere più lenta.
A questo proposito giova ricordare che nelle prime FZR 1000 l’anticipo di accensione massimo superava i 45°, mentre nei motori a quattro valvole di prestazioni analoghe era dell’ordine di 36° - 38°.

Insomma, per concludere, le distribuzioni di schema convenzionale sono complessivamente superiori…

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