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Per lungo tempo, dopo il termine della seconda guerra mondiale, la maggior parte delle competizioni motociclistiche si è svolta su percorsi stradali o su circuiti cittadini. E, se si escludono quelle nate specificamente per correre ai massimi livelli, cioè nei Gran Premi, anche le moto erano molto “umane”, dato che in molti casi derivavano da modelli di serie. Poiché però i regolamenti lo hanno a lungo permesso, c’erano anche quelle sviluppate per questo tipo di competizioni, più semplici delle GP ma dotate comunque di una tecnica assai raffinata. Per diversi anni per queste moto c’è stata una classe diversa, in ciascuna cilindrata, per differenziarle da quelle che realmente erano ricavate da modelli destinati al normale impiego stradale. A condurle erano in genere piloti giovani o in possesso di una licenza di livello immediatamente inferiore a quello massimo (con il quale si poteva gareggiare nei Gran Premi). Cioè i “seconda categoria”, che in seguito sarebbero diventati gli Juniores.
Si gareggiava anche su percorsi per i quali oggi sarebbe inimmaginabile pensare a un impiego del genere, se non a piedi o in bicicletta. A Bologna si correva all’interno dei Giardini Margherita e nella salita all’Osservanza. A Roma era famosa la corsa in salita a Monte Mario
Con la ripresa postbellica sono nate nuove classi, che sono andate ad aggiungersi a quelle tradizionali, che fondamentalmente erano la 250 e la 500. La passione faceva sì che si corresse anche con mezzi semplicissimi e dal costo estremamente ridotto, come le biciclette dotate di motore ausiliario. E che si gareggiasse un po’ dappertutto, anche su percorsi per i quali oggi sarebbe inimmaginabile pensare a un impiego del genere, se non a piedi o in bicicletta! Per fare qualche esempio, a Bologna si correva all’interno dei Giardini Margherita e nella salita all’Osservanza. A Roma era famosa la corsa in salita a Monte Mario che si svolgeva sulla parte iniziale della via Trionfale, con arrivo al Belsito. Discretamente impiegati, anche se non in misura paragonabile a quella degli anni Dieci e degli anni Venti, erano anche i velodromi, soprattutto per le gare delle “bicimotore”.
Sul finire degli anni Quaranta la situazione ha iniziato a cambiare. Era nato il Campionato Mondiale e le competizioni stradali, numerosissime, iniziavano a svolgersi su percorsi più veloci e adatti alle aumentate prestazioni delle moto. Nel 1950 è ripresa la famosissima Milano-Taranto, gara su lunga distanza che per le moto costituiva ciò che la Mille Miglia era per le auto. Tre anni dopo ad essa si è aggiunta un’altra competizione stradale destinata a diventare leggendaria; denominata Giro Motociclistico d’Italia, era addirittura a tappe. Alla prima edizione hanno partecipato ben 377 piloti; le moto erano suddivise in tre categorie di cilindrata, ovvero 75, 125 e 175. L’anno seguente è arrivata anche la classe 100. Queste due gare erano seguitissime e avevano una straordinaria importanza anche sotto l’aspetto commerciale in quanto i risultati ottenuti dai modelli delle varie case potevano influenzare notevolmente le vendite.
Di conseguenza i costruttori erano particolarmente agguerriti e schieravano fior di squadre ufficiali, con moto ottimamente preparate. Data l’importanza della posta in palio, alcuni modelli venivano sviluppati specificamente per essere impiegati in queste competizioni. Le celebri “Marianne” della Ducati progettate dall’ing. Fabio Taglioni, che hanno esordito nel 1955 trionfando nelle loro classi di cilindrata, sono nate proprio per consentire alla casa bolognese di imporsi in queste massacranti maratone stradali.
Per quanto riguarda le moto che derivavano da tranquilli modelli di serie già da tempo in produzione, vanno ricordate almeno le piccole ma veloci Laverda e Capriolo 75, la Benelli Leoncino 125 e le versioni da corsa delle 175 Morini, Bianchi e Parilla.
Nella Milano-Taranto correvano pure le 250 e le 500, ma da noi sotto l’aspetto commerciale e tecnico la classe regina tutto sommato era la 175, nella quale gareggiavano moto di elevato livello, in grado di fornire prestazioni straordinarie. La Morini Settebello, nata come stradale supersportiva nella prima metà degli anni Cinquanta, ha continuato ad essere grande protagonista della scena agonistica per tutto il decennio successivo. La Bianchi Tonale ha conquistato una serie di record mondiali sulla pista di Monza, oltre a un gran numero di vittorie nelle gare stradali, e la Parilla 175 si è evoluta in una 250 che ha ottenuto risultati eclatanti negli USA all’inizio degli anni Sessanta.
A porre fine all’epoca d’oro delle gare stradali sulle lunghe distanze è stata la tragedia di Guidizzolo, presso Mantova, avvenuta nella Mille Miglia del 1957, nella quale a causa della uscita di strada della Ferrari di De Portago hanno perso la vita ben 12 persone. Quell’anno il Motogiro si era già corso ma la Milano-Taranto è stata immediatamente cancellata.
Sul finire degli anni Cinquanta si stava affermando una nuova classe, che prevedeva moto di 50 cm3 (parallelamente stavano perdendo via via importanza le 75). Nel giro di qualche anno la sua importanza sarebbe risultata tale da farla riconoscere dalla FIM e farla quindi diventare protagonista anche nel campionato mondiale.
In Italia godevano di una popolarità crescente le corse in salita, semplici da organizzare e relativamente sicure, date anche le relativamente ridotte velocità in gioco, consentivano ai piloti di parteciparvi con una spesa modesta. Molte avevano rilevanza più che altro locale (si correva proprio vicino a casa), mentre altre stavano acquisendo una notevole importanza a livello nazionale. Nel 1959 la Federazione Motociclistica ha istituito il Campionato Italiano della Montagna aprendo un nuovo importante capitolo nella storia del nostro sport.