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Nel periodo in cui era in auge il campionato Supermono, assieme a interessantissime trasformazioni e a motori costruiti artigianalmente sono stati effettuati alcuni ingegnosi trapianti. A Monza è stato visto un monocilindrico con la testa costituita da una “fetta” di quella di una Mercedes a 16 valvole, chiusa lateralmente da due piastre di alluminio saldate. L’idea era ovviamente quella di utilizzare una parte inferiore (basamento, manovellismo, cambio) disponibile e ben collaudata e di montare su di essa una testa bialbero a quattro valvole che consentisse di raggiungere regimi molto elevati e assicurasse una eccellente respirazione.
Ecco due esempi di trapianti di questo genere particolarmente significativi, anche perché uno è stato effettuato dalla stessa Casa costruttrice.
Quando è iniziato il boom dei grossi enduro monocilindrici a quattro tempi, nato fondamentalmente grazie a moto come la Yamaha XT 500 e la Honda XL 500, la Rotax ha rapidamente allestito un motore con distribuzione monoalbero comandata mediante cinghia dentata, e lubrificazione a carter secco. Questo monocilindrico raffreddato ad aria è stato inizialmente proposto in versioni di 494 e di 504 cm3, che differivano tra loro solo per la corsa (79,4 mm contro 81 mm, mentre l’alesaggio rimaneva di 89 mm). Una di esse è stata fornita anche alla KTM, che ancora non aveva sviluppato il suo grosso mono a quattro tempi.
Quando è iniziato il boom dei grossi enduro monocilindrici a 4T la Rotax ha rapidamente allestito un motore con distribuzione monoalbero e lubrificazione a carter secco
Nel 1983 è apparsa la versione di 562 cm3, che aveva un alesaggio di 94 mm e una corsa di 81 mm, e che erogava 48 CV a 7.000 giri/min. Le sue valvole avevano un diametro di 36 mm all'aspirazione e di 30 mm allo scarico e giacevano su due piani inclinati tra loro di 49°. Il cilindro aveva la canna in ghisa inserita con interferenza. L’albero a gomito di tipo composito, con asse d’accoppiamento del diametro di 35 mm, ruotava su due grossi cuscinetti a sfere. Nella parte anteriore del basamento era alloggiato un albero ausiliario di equilibratura munito di una grossa massa eccentrica. Nel sistema di lubrificazione spiccava l’impiego di un convogliatore centrifugo in lamiera che, fissato a un volantino dell’albero a gomito, provvedeva a far arrivare l’olio al cuscinetto di biella. Questo motore è stato impiegato (anche in una variante di 350 cm3) dalla nostra Aprilia.
Allorché, all’inizio degli anni Novanta, si sono cominciate ad affermare le gare dei Supermono, la casa austriaca ha sviluppato una versione direttamente derivata da quella di serie. Fondamentalmente si trattava infatti del motore di normale produzione, sul quale era stata montata una testa bialbero con raffreddamento ad acqua (la cui pompa era collocata all'estremità dell’albero a camme di scarico). Pure il cilindro, che manteneva il raffreddamento ad aria, era però diverso, e internamente vi erano vari altre modifiche. L’alesaggio era stato portato a 97 mm e, dato che la corsa restava di 81 mm, la cilindrata era passata a 598 cm3. Tra le caratteristiche più interessanti di questo monocilindrico vi era la tripla accensione. La potenza veniva indicata in 69 cavalli a circa 9.000 giri/min. Da noi lo hanno utilizzato sulle loro moto da competizione Gazzaniga (ben noto per le sue 125 da GP) e il telaista Golinelli.
Unaltro motore che ha trovato largo impiego nelle gare dei Supermono è stato lo Yamaha XT/TT 600. Aveva un alesaggio di 95 mm, abbinato alla corsa che per lungo tempo è stata quella classica dei grossi mono della Casa giapponese, ossia 84 mm. La distribuzione era monoalbero con comando a catena; le quattro valvole erano inclinate tra loro di 48° e avevano diametri di 36 mm alla aspirazione e di 31 mm allo scarico (in seguito queste misure sono passate a 37 e 32 mm). Il cilindro era dotato di canna riportata in ghisa, e l’albero a gomito era in tre parti unite per forzamento alla pressa. Pure in questo caso la lubrificazione era a carter secco. L’albero ausiliario di equilibratura a singola massa eccentrica era collocato nella parte superiore del basamento, subito dietro il piano di appoggio del cilindro.
Con questo motore, largamente disponibile, ne sono state fatte di cotte e di crude, con modifiche che hanno visto anche aumenti impressionanti della cilindrata.
In questo servizio mostriamo una delle trasformazioni più radicali, dovuta ai tecnici Girotti, Martignoni e Mattioli. Il primo aveva un bel negozio di moto con ampia officina a San Giovanni in Persiceto, nel bolognese, mentre il secondo aveva un’azienda di lavorazioni meccaniche. Mattioli invece era un ottimo motorista che lavorava alla Ducati. Non c’è quindi da stupirsi che per questa trasformazione sia stata utilizzata proprio la testa di una bicilindrica bialbero desmodromica della casa bolognese, unitamente a un cilindro ricavato dal pieno. La cinghia della distribuzione, diversamente da quanto avveniva sul bicilindrico Ducati, prendeva il moto direttamente dall’albero a gomito, ed era posta sul lato sinistro del motore. La pompa dell’acqua, che raffreddava tanto la testa quanto il cilindro, era azionata da un rullo di guida della cinghia stessa.
Nelle foto si può notare come il motore sia installato in una struttura tubolare, con tanto di radiatore e di serbatoi dell’olio e del carburante, realizzata in modo da poterla montare direttamente sul banco prova.