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Chiamatelo pure “scudo spaziale“, se vi sentite figli della saga di Guerre Stellari; oppure riandate con la memoria al tempo dell’angelo custode, figura celestiale che mamma ci chiedeva di ricordare sempre nelle preghiere della sera, ed a cui era delegata la nostra quotidiana sicurezza quand’eravamo ragazzi.
Quale che sia la vostra posizione, laicamente agnostica o più confessionale, siamo sicuri che sentire una voce che vi allerta su un pericolo in arrivo mentre guidate su una strada sconosciuta sia un bell’aiuto per viaggiare più sicuri.
Proprio così: un avviso vocale all’interno del casco che segnala l’avvicinarsi di una curva impegnativa, un ingorgo di traffico o un’area di lavori stradali, chiedendovi di ridurre la velocità ed aumentare l’attenzione.
Grazie alla tecnologia, il sistema è già disponibile; e non si tratta dell’unica novità che Bosch ha studiato per rendere meno pericoloso, ed anzi più gradevole, il muoversi su due ruote nel prossimo futuro.
Tutto deriva da una considerazione così semplice che sconfina quasi nella banalità: maggiore sicurezza si ottiene con la massima connessione tra i veicoli in movimento sulla strada.
Facile, più facile senz’altro da immaginare per auto o mezzi più grandi: ma per le moto?
La contabilità è terribile: si calcola che ogni giorno 3.000 persone restino uccise in tutto il mondo a causa degli incidenti stradali; ed il 30% di loro sono alla guida di mezzi a due ruote, che presentano un rischio 18 volte più alto di morte rispetto ai conducenti di altri veicoli.
In occasione di una giornata di full immersion nel blindato centro prove Bosch di Boxberg, a nord di Stoccarda, abbiamo avuto la possibilità di sperimentare dal vivo come molte delle applicazioni tecnologiche ormai presenti in modalità standard sulle autovetture possano essere trasferite anche sulle moto, riducendo il gap rispetto alle quattro ruote in termini di sicurezza e comfort di guida.
Malgrado la definizione “scudo digitale di sicurezza” possa apparire leggermente ambiziosa, nondimeno lo scopo di mettere in comunicazione tutti i veicoli circolanti su strada, in modo da avvertire i rispettivi piloti riguardo pericoli che potrebbero incontrare sul loro percorso, ci sembra meritoria se non del premio, almeno di una simbolica candidatura al Nobel.
Grazie a questo sistema, alloggiato in un contenitore non più grande di un pacchetto di sigarette, i veicoli presenti nel raggio di alcune centinaia di metri si scambiano in modo continuo e velocissimo (fino a dieci volte al secondo) informazioni riguardo la loro tipologia, la posizione, la direzione di marcia e la velocità, attraverso lo standard WLAN pubblico (ITS G5).
Il sistema è già così sofisticato che riesce a selezionare autonomamente le informazioni, scartando quelle relative a veicoli non pericolosi e concentrandosi solo su quelli potenzialmente a rischio, come, ad esempio, uno che si avvicina a grande velocità, o in contromano lungo la nostra corsia, oppure che sta sbucando lateralmente senza avvisare della sua presenza.
In questo modo, ancor prima di essere visti, il sistema per esempio avvisa l’auto in arrivo che c’è una moto dietro la curva, e viceversa: sul cruscotto della vettura appare un messaggio di alert insieme ad un avviso acustico, mentre il pilota della moto riceve una segnalazione sonora all’interno del casco, ed entrambi sono così sollecitati a porre più attenzione alla guida.
Naturalmente, l'efficacia del sistema dipende dal numero di veicoli collegati: oggi sono ancora pochi, ma si prevede che entro il 2023 ben il 50% delle nuove vetture circolanti negli USA sarà dotato di tale tecnologia.
E non solo: il MAW (Motorcycle Approaching Warning) arriva oltre, fino ad avvisare l’automobilista, sempre attraverso un messaggio sul display, che alle sue spalle sta arrivando una moto a una velocità superiore alla sua, sconsigliando quindi di mettere in opera manovre potenzialmente pericolose per il veicolo a due ruote.
Per comprendere al meglio come la tecnologia potrà in un prossimo futuro migliorare le “relazioni dinamiche“ tra avventure e moto, basta guardare questo video.
Si chiama “Connected Horizon”, e già dal nome chiarisce la sua mission: garantire ai motociclisti di poter “guardare oltre” gli angoli ciechi, reagendo in anticipo rispetto a possibili situazioni ed aree di pericolo.
Grazie alla connessione ad internet, la moto riceve in tempo reale i dati relativi a limiti di velocità, indicazioni su quella più corretta per affrontare la curva in avvicinamento, ma anche potenziali aree di pericolo (per incidenti, lavori in corso, ingorghi di traffico), dati anche in questo caso comunicati al pilota tramite messaggi vocali all’interno del casco.
A tale modalità di comunicazione è possibile aggiungere quella sul quadro comandi della moto: l’ICC (Integrated Connectivity Cluster), già all’opera con ottimi riscontri sulla KTM 1290 Super Adventure, adatta automaticamente il display a seconda dell'utilizzo, fornendo al motociclista solo le informazioni di cui necessita ed azzerando del tutto, o quasi, il rischio di distrazioni durante la marcia.
Ad alta velocità, le informazioni vengono progressivamente oscurate ad eccezione dell'indicazione di velocità e dei eventuali messaggi di avvertenza.
Inoltre, grazie all’ICC il pilota può connettere lo smartphone al veicolo, visualizzando i dati sul percorso e sul veicolo stesso ed implementando con una serie di funzionalità le applicazioni relative alla sicurezza.
Il sistema Emergency Call, in caso di incidente (rilevato da sensori che registrano parametri di potenziale pericolo, come la caduta della moto, lo spegnimento improvviso del motore, un arresto troppo brusco) contatta direttamente i servizi di emergenza senza che lo faccia il pilota.
Inoltre, il bCall (Breakdown Call) contatta autonomamente l'officina di riferimento qualora si verifichino problemi meccanici durante il viaggio, mentre iCall (Information Call) assicura informazioni preziose sul percorso, per esempio indirizzandoci al distributore di benzina più vicino quando la disponibilità di carburante nel serbatoio arriva troppo vicino alla zona rossa.
Certo, qualcuno potrebbe obiettare che con tali sistemi di controllo l’effetto “Grande Fratello“ sia assicurato.
Ma, al contrario, perché non sfruttare le poche righe in più di programmazione del software di bordo per viaggiare in modalità più sicura?