Per inviarci segnalazioni, foto e video puoi contattarci su [email protected]
I grandi successi ottenuti dalla Honda nei primi anni Sessanta con motori plurifrazionati dotati di quattro valvole per cilindro non sono certo passati inosservati presso i tecnici del settore motoristico.
In campo auto si sono rapidamente visti motori da competizione che impiegavano distribuzioni di questo tipo: la Coventry-Climax ha iniziato le ricerche in questa direzione con il suo V8 di 1500 cm3, grazie al quale Jim Clark ha conquistato due titoli mondiali alla guida della Lotus.
La versione di questo motore del 1965 aveva appunto quattro valvole per cilindro (già sperimentate comunque l’anno precedente). Nel 1966 la cilindrata dei motori di F1 è stata portata a 3000 cm3 e al V12 Honda 273 si è aggiunto un altro motore con una distribuzione di tale tipo, il Weslake-Gurney. L’anno dopo, mentre anche la Ferrari adottava questa soluzione, è entrato in scena il Ford-Cosworth DFV e in Formula Uno è definitivamente iniziata l’era delle teste a quattro valvole.
Le case motociclistiche europee impegnate nel mondiale con motori a quattro tempi non sono state a guardare e ben presto hanno anche loro seguito la strada indicata dalla Honda. La MV Agusta la ha impiegata sulla nuova 350 a tre cilindri, rapidamente affiancata dalla versione di 500 cm3, a partire dal 1965. In effetti già l’anno precedente la casa di Cascina Costa aveva effettuato comunque delle prove su una “vecchia” 500 a quattro cilindri, dotandola di una testa bialbero a quattro valvole. Ben presto hanno adottato questa soluzione, in motori inizialmente sperimentali e in seguito anche utilizzati in gara, la Benelli, la Morini, la CZ e la Paton.
A questo punto è opportuno fare alcune considerazioni relative all’angolo tra le valvole e alla forma delle camere.
Nei motori Honda, che non a caso avevano la bancata dei cilindri sensibilmente inclinata in avanti, l’angolo in questione era molto elevato (oltre 70°) non solo per poter impiegare valvole molto grandi ma anche (anzi, soprattutto) per consentire all’aria di raggiungere agevolmente la zona della testa immediatamente sopra la parte centrale della camera, in modo da raffreddarla adeguatamente. Con le valvole così inclinate però per raggiungere un elevato rapporto di compressione era necessario adottare pistoni con un cielo fortemente bombato e le camere di combustione avevano quindi una forma sfavorevole ai fini del rendimento termico, con un rapporto superficie/volume decisamente alto.
Anche nei primi motori a quattro valvole per cilindro realizzati dagli altri costruttori di moto da competizione sono stati adottati angoli elevati. Nel caso della Morini e della Paton veniva mantenuto quello adottato nella testa a due valvole (80°), che in fondo nella versione a quattro risultava solo leggermente modificata.
Pure nella Benelli l’angolo in questione era invariato, con i suoi 63°; la testa, sempre in due parti, era stata ridisegnata ma, a parte il maggior numero di valvole e l’adozione di calotte in bronzo incorporanti le sedi, non presentava sensibili differenze rispetto alla precedente. In quanto alla MV Agusta, nel motore a tre cilindri, di progettazione completamente nuova, veniva adottato un angolo di 71°, assai inferiore a quello delle precedenti quadricilindriche a due valvole e piuttosto simile a quello impiegato nei motori Honda.
È interessante osservare che pure in campo auto, nonostante il raffreddamento ad acqua, inizialmente in alcuni motori sono stati adottati angoli tra le valvole piuttosto elevati: 60° nel Coventry-Climax del 1965, 75° nell’Honda RA 273 e 56° nel Matra del 1968 (entrambi questi ultimi avevano condotti di aspirazione downdraft, ossia verticali e piazzati al centro della testa).
All’inizio degli anni Settanta, mentre la Benelli sulle sue nuove 350 e 500 da GP, dotate di motori fortemente ispirati agli Honda di qualche tempo prima, ha adottato un angolo tra le valvole assai ampio (70°), la MV Agusta si è orientata in direzione opposta. Per le sue quadricilindriche di 350 e 500 cm3 ha infatti optato dapprima per un angolo di 45° e successivamente per uno ancora minore, dell’ordine di 35°.
Anche nel Ducati 500 bicilindrico da GP realizzato esternamente all’azienda dal tecnico Renato Armaroli nel 1972 l’angolo tra i due piani sui quali giacevano le quattro valvole di ogni cilindro era inferiore ai 40°.
La strada indicata dai motori da corsa per quanto riguarda la distribuzione è stata seguita dai modelli di serie con un notevole ritardo.
Nei primi anni Settanta avevano quattro valvole per cilindro solo il monocilindrico Honda XL 250 (monoalbero, apparso alla fine del 1972) e il bicilindrico Yamaha TX 500 (bialbero, presentato alla fine del 1973). In questo periodo anche la Ducati ha realizzato alcune teste sperimentali a quattro valvole, studiate per i modelli di serie sia mono che bicilindrici con comando della distribuzione ad alberello e coppie coniche. Nessuna è uscita dallo stadio di prototipo.
La vera diffusione delle teste a quattro valvole è iniziata verso la fine del decennio. Nel 1977 è entrata in scena la Laverda 500 bicilindrica bialbero (costruita anche in versione di 350 cm3) e al termine dello stesso anno è stata presentata la Honda CX 500 con raffreddamento ad acqua e distribuzione ad aste e bilancieri.
La grande casa giapponese però ha iniziato la sua grande offensiva sul finire dell’anno successivo con i motori quadricilindrici bialbero delle CB 750 (F e K) e CB 900F Bol d’Or, ai quali si è unito quello a sei cilindri della CBX, dotato di una distribuzione di identico schema. In questi tre modelli l’angolo tra le valvole era di 63°.
Nel 1979 è entrato in produzione il monocilindrico XL 500 e l’anno successivo sono state presentate le nuove quadricilindriche Suzuki GSX 750 e 1100, con un angolo di 40° tra i due piani sui quali giacevano le sedici valvole (nei precedenti GS a due valvole per cilindro era di 60°).
Ormai per le moto di prestazioni più elevate era iniziata l’era delle teste a quattro valvole e ben presto sarebbe cominciata anche quella del raffreddamento ad acqua, che avrebbe visto anche una progressiva riduzione degli angoli in questione accompagnata da una sempre maggiore compattezza delle camere di combustione.