Dainese, il Trauma Team di Niguarda e il primo studio in Italia sui motociclisti

Dainese, il Trauma Team di Niguarda e il primo studio in Italia sui motociclisti
Dainese, il Trauma Team dell’Ospedale Niguarda e Nico Cereghini hanno presentato la prima casistica sugli incidenti stradali in città, utile a migliorare l'abbigliamento tecnico. Presenti anche Agostini e Checco Bagnaia del Team VR46
5 dicembre 2013

  È operativa dal 2011 la collaborazione tra il Trauma Team dell’Ospedale Milanese di Niguarda Cà Granda, e la Dainese S.p.A., che fin dalla sua fondazione, nel 1972, è in prima linea nella ricerca della massima protezione per noi motociclisti, presto estesa anche ad altri sport, vedi sci, snowboard, mountain bike ed equitazione.
Una sinergia, quella tra l’azienda vicentina e il Niguarda, che si basa sulla più ampia ed importante casistica mai stilata in Italia, estrapolata dagli specialisti dell’importante struttura ospedaliera milanese esaminando 928 incidenti che hanno coinvolto motociclisti nell’area urbana. Il tutto con l’evidente scopo di studiare e realizzare sistemi di protezione sempre più efficaci e, soprattutto, mirati alle più importanti parti del corpo. L’ultimo prodotto Dainese validato, dal punto di vista medico, dal dottor Osvaldo Chiara, Direttore del Trauma Team, è il sofisticato gilet D-Air Street, la versione per uso stradale del dispositivo incorporato nelle tute in pelle di alta gamma, che in questo caso è indossabile sopra una giacca o un giubbotto.

Per divulgare questo importantissimo e interessante lavoro di ricerca congiunta, è stata organizzata una conferenza stampa proprio al Niguarda, preceduta da un istruttivo meeting multimediale a beneficio di oltre 300 studenti del Liceo Scientifico Bertrand Russell, con il nostro Nico Cereghini in veste di presentatore. In cattedra, assieme al Direttore Sanitario, professor Giuseppe Genduso e al dottor Chiara, sedevano gli esperti della Dainese - Vittorio Cafaggi e Marcello Bencini (design manager safety equipment del D-Tec vicentino) - e il giovanissimo Francesco Bagnaia, che assieme a Romano Fenati correrà il mondiale Moto3 con il neonato team VR46 di Valentino Rossi.
La successiva conferenza stampa ha avuto poi come ospiti anche Lino Dainese e Giacomo Agostini.

Il Trauma Center di Niguarda


I Trauma Center sono strutture deputate alla cura di trauma gravi seguendo un modello di continuità assistenziale che spazia dalla pre alla post-ospedalizzazione. Il sistema dell’emergenza territoriale riconosce già sulla scena dell’incidente le vittime dei cosiddetti “traumi maggiori”, centralizzandole nel più breve tempo possibile presso il trauma center. Si tratta di un modello organizzativo nato negli anni 80 negli Stati Uniti per far fronte all’elevato indice di mortalità causato dall’uso delle armi nei maggiori centri urbani, per poi estendersi a livello globale per curare i grandi traumi in generale. In quest’ambito opera il Trauma Team dell’Ospedale di Niguarda: un’equipe completamente dedicata alle urgenze 24 ore su 24, che in una decina di anni di attività ha consentito praticamente di azzerare la mortalità evitabile per trauma (calata da 43% al 3%), e dimezzare i decessi per sanguinamento.

Osvaldo Chiara, Giacomo Agostini e medici Trauma Team
Osvaldo Chiara, Giacomo Agostini e medici Trauma Team
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Il lavoro del Trauma Team, infatti, non prevede più il trasporto del traumatizzato grave all’ospedale più vicino (sprecando minuti preziosissimi), ma in quello più adatto al caso specifico. Durante il trasporto, il team effettua strada facendo un’assistenza continua al soggetto infortunato fino al Trauma Center, dove il soggetto verrà preso in consegna dal personale pre-allertato, in grado di stabilizzarne le funzioni vitali e trattarne le lesioni. Il tutto dovrebbe possibilmente avvenire nell’arco di un’ora dall’avvenuto incidente: la cosiddetta “golden hour”, quell’ora “d’oro” che potrebbe fare la differenza tra la vita e la morte, giusto per sottolinearne il livello di importanza.

Le ricerche del professor Chiara


Nel 2012 sono stati ben 500 i traumi maggiori seguiti dall’equipe guidata dal professor Osvaldo Chiara, lui stesso motociclista praticante come buona parte dei suoi collaboratori, che negli anni ’80 e ’90 ha avuto modo di effettuare 11 stage di formazione in chirurgia del trauma presso l’R Adams Cowley Shock Trauma Center di Baltimora (Maryland), al fine di apprendere le problematiche organizzative e tecnico-professionali necessarie a istituire un servizio ospedaliero di questo genere. Sempre in collaborazione con il centro di Baltimora, alla fine degli anni ’90 il dottor Chiara ha effettuato uno studio relativo ai decessi per trauma nell’area urbana milanese nell’arco di un anno: la ricerca, analizzata dalla commissione qualità del centro traumi statunitense, ha stabilito che ben il 43% di quei decessi sarebbero stati evitabili utilizzando il loro percorso assistenziale. Lo studio di Chiara, pubblicato sulla rivista specializzata Injury, indusse l’allora nostro Ministro della Salute, il professor Girolamo Sirchia, a redigere con la collaborazione dello stesso dottor Chiara le linee guida Ministeriali per l’organizzazione presso le regioni dei Sistemi Integrati per l’Assistenza al Trauma.

Naturalmente, il prezioso lavoro di ricerca non si è certo fermato, anzi: «da esso sono emersi e continuano ad emergere dati preziosi per noi» asserisce il dottor Chiara «ma soprattutto per la messa a punto di nuove piattaforme protettive come il D-Air Street (in grado di assorbire fino all’80% dell’energia d’urto) che possano incrementare la sicurezza di quelle parti che il nostro studio ha indicato come più sensibili: tra queste il torace e la zona addominale, dove organi come fegato, milza e reni spesso riportano gravi conseguenze».
«Attualmente stiamo portando avanti la seconda fase dello studio: gli incidenti motociclistici vengono infatti analizzati con sofisticate tecniche di rilevazione biomeccanica. Grazie alla cooperazione tra forze dell’ordine, primi soccorritori e medici, la scena dell’incidente viene ricostruita analizzandone la dinamica: andiamo così ad analizzare contro quale ostacolo e in che punto ha impattato il motociclista, con quale traiettoria e se ci sono stati scontri secondari contro altre strutture. Al momento abbiamo preso in esame 213 casi (l’obiettivo è di arrivare ad almeno un migliaio di casi, per una statistica più precisa ed esaustiva), rilevando che 138 di essi riguardano l’impatto con un altro veicolo. Ma spesso la situazione più pericolosa per chi va in moto si verifica quando un altro veicolo effettua un cambio di direzione repentino, tipo svolta a sinistra in un incrocio a raso oppure per un’immissione nel flusso del traffico».
Le ore critiche della giornata
Le ore critiche della giornata

«I dati messici a disposizione» dice Marcello Bencini, design manager safety equipment del D-Tec, al lavoro sul DARP (Dainese Advanced Research Program) «se da un lato forniscono ulteriori conferme di come gli impatti contro la parte anteriore e laterale del torace siano la prima causa di infortuni (18% del totale), dall’altro ci aiutano a migliorare le protezioni di altre parti del corpo, come nel caso degli arti inferiori, in cui da proteggere non c’è solo il ginocchio (17% delle lesioni di arto inferiore) ma anche l’area frontale ed esterna della gamba, che rappresenta il 22% delle lesioni. Il maggior numero di informazioni possibile sulle conseguenze di impatti su più punti diversi del corpo non possono che aiutarci a studiare dei rimedi: per esempio, è diverso proteggere una gamba da urto piuttosto che da una caduta, magari da fermo, in cui la gamba rimanga schiacciata sotto la moto. Oppure proteggere il bacino dall’impatto contro serbatoi spesso grossi e spigolosi».

Lino Dainese e un'idea fissa


Fin dall’inizio della sua attività, la “mission” di Lino Dainese, Presidente di Dainese S.pA. e anch’esso motociclista praticante da sempre, è sempre stata inequivocabile: «Proteggere l’uomo dalla testa ai piedi nella pratica di sport dinamici». E nei primissimi anni ’70, dopo un viaggio in Inghilterra per studiare il motociclismo inglese e soprattutto le tute dei piloti britannici (che erano un po’ più pesanti e dotate di rinforzi sui punti strategici del corpo, rispetto a quelle degli italiani, che ricercavano soprattutto la massima leggerezza (come del resto ha confermato lo stesso Giacomo Agostini: «negli anni sessanta avevo una tuta che pesava solo un chilo: un giorno sono volato via, e mi sono ritrovato praticamente nudo!») decise che qualcosa doveva cambiare nell’abbigliamento tecnico per i motociclisti. A partire dalla visibilità: basta con le tute nere, bisognava lavorare sui colori, soprattutto per farsi vedere meglio, oltre che – diciamolo - per dare un tocco freschezza e di italica eleganza anche al nostro abbigliamento da moto. Poi Lino iniziò a contattare i piloti del mondiale, fornendo la prima tuta Dainese ad uno spilungone tedesco di nome Dieter Braun, che in barba al suo metro e novanta e passa nel 1970 aveva vinto il Mondiale della 125 con la Suzuki bicilindrica, e nel ’73 fece il bis nella 250 con la Yamaha RD. 

Giacomo Agostini: «negli anni sessanta avevo una tuta che pesava solo un chilo: un giorno sono volato via, e mi sono ritrovato praticamente nudo!»

Poi arrivò Agostini, subito dotato di tuta bianca e rossa con inserti tricolore, e via così, passando per l’importantissimo paraschiena, gli “knee slider”, gli inserti protettivi esterni in fibra di carbonio e/o kevlar su tute, capi tecnici, guanti e stivali, il concetto di “protezione totale” e l’arrivo della “tecnologia dell’aria”, ovvero lo sviluppo dell’air-bag, la cui più recente evoluzione è, appunto, il gilet D-air Street. A proposito del paraschiena, Dainese ci ha ricordato un giovane e promettente pilota australiano, Ray Quincey, che nella seconda metà degli anni ’70, vinti i campionati australiani della 250 e 350 su Yamaha, arrivò in Italia in cerca di fortuna. Lino gli fornì una sua tuta, ma appena due giorni dopo Ray purtroppo cadde rompendosi la schiena contro un palo, e rimase paraplegico. Fu proprio allora che Lino decise di occuparsi massicciamente dello sviluppo del paraschiena.

«Le rilevazioni effettuate dal Dott. Chiara – ha dichiarato Dainese in conferenza stampa - sono state preziosissime per progettare il nostro D-air, e continueranno ad esserlo per le prossime evoluzioni. È questo un esempio positivo e concreto di collaborazione efficace tra istituzioni ed impresa che da più protezione a chi usa le due ruote in città e nel tempo libero, in tutto il mondo» .
Alla inevitabile domanda sui costi non indifferenti che un motociclista dovrebbe affrontare per comprare uno, se non due, gilet D-air, Dainese sottolinea che bisognerebbe chiedersi se dare la priorità ad un prodotto in grado di salvarci la vita o, quantomeno, la mobilità, piuttosto che ad altri, parimenti costosi, destinati fondamentalmente ad abbellire la nostra moto.

E in merito al recente accordo di cooperazione con BMW per il lancio congiunto del D-air Street come primo equipaggiamento sulle moto tedesche, ha sottolineato che la collaborazione con i grandi costruttori di moto non può che ridurre i costi di produzione della tecnologia D-air, che notoriamente è gestita elettronicamente, e per funzionare necessita logicamente di cablaggi particolari da montare sulla moto. Cablaggi che comprendono un piccolo display e svariati sensori, il cui costo (circa 500 euro) incide parecchio su un totale di 1.400 euro, 900 dei quali, quindi riguardano solo il gilet. Chiaro che acquistando una moto già predisposta per interagire col dispositivo air-bag il costo del prodotto, pur rimanendo sostanzioso, si ridurrebbe molto. Così come è chiaro che se la “tecnologia dell’aria” iniziasse a diffondersi tra i motociclisti, come pian piano sta accadendo per l’Abs (o come per la stessa elettronica di consumo), i prezzi diventerebbero certamente molto più abbordabili: l’obiettivo è di arrivare a un terzo dei costi attuali.

La casistica del Trauma Center di Niguarda


Gli studi del dottor Chiara e del suo staff ci riportano che gli incidenti che riguardano i motociclisti sono nettamente i più frequenti, rappresentando circa il 30% delle richieste di intervento presso il Trauma Center. Apprendiamo inoltre che il picco massimo di incidentalità, manco a dirlo, si verifica nelle ore di punta delle giornate lavorative, più o meno tra le 8 e le 10 e tra le 18 e le 20 (e le corsie preferenziali ne sono frequentissimamente teatro, nda). Quanto alle età dei soggetti coinvolti, per il 9,9% si tratta di ragazzi minorenni, per l’83% di persone tra i 18 e i 54 anni, e per il 6% di over 54. Questi ultimi, peraltro, vengono ritenuti senza dubbi i più esposti a rischio dall’equipe del Niguarda: chiamando ancora in causa il dottor Chiara, infatti, apprendiamo che «il 4,4% di decessi ha riguardato minori, il 6,5% soggetti di età compresa tra 18 e 54 anni, mentre il 15,5% erano ultra 54enni, dato che ne denota una mortalità più che doppia rispetto ai più giovani». Passato il mezzo secolo di vita, insomma, è necessario prestare molta più attenzione alla guida. Ma questo deve valere anche per gli automobilisti, vien da dire.
Incidenza nei mesi dell'anno
Incidenza nei mesi dell'anno

Soffermandosi sui tipi di lesione riscontrati in generale, nonostante la presenza del casco (che peraltro è integrale solo nel 40% dei casi…) per il 27% ha riguardato la testa. Ma la zona più esposta è risultata quella toracica, coinvolta nel 30% dei casi, con rischio decisamente più elevato per i “soliti” ultra 54enni. Sono meno del 5%, invece, le lesioni che interessano la colonna vertebrale.
Giudicato buono l’indice di utilizzo del casco, indossato dal 94% dei soggetti esaminati: francamente, tuttavia, ci inquieta abbastanza quel 6% di individui che il casco non lo indossavano.
Quanto all’abbigliamento tecnico, 83 soggetti (ovvero il 39% dei casi esaminati) non indossava alcun indumento specifico per la protezione del corpo.

Nella nostra gallery potete consultare alcuni grafici piuttosto dettagliati - ovviamente alquanto inquietanti, ma anche molto esplicativi: vale la pena di esaminarli - sulla casistica che riguarda gli incidenti che hanno coinvolto motociclisti nell’area di una città decisamente caotica come Milano. Per la precisione, l’acronimo “AIS” seguito da un numero, che troverete in qualche grafico, indica l’entità di un danno fisico in una scala da 1 a 6.