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È operativa dal 2011 la collaborazione tra il Trauma Team dell’Ospedale Milanese di Niguarda Cà Granda, e la Dainese S.p.A., che fin dalla sua fondazione, nel 1972, è in prima linea nella ricerca della massima protezione per noi motociclisti, presto estesa anche ad altri sport, vedi sci, snowboard, mountain bike ed equitazione.
Una sinergia, quella tra l’azienda vicentina e il Niguarda, che si basa sulla più ampia ed importante casistica mai stilata in Italia, estrapolata dagli specialisti dell’importante struttura ospedaliera milanese esaminando 928 incidenti che hanno coinvolto motociclisti nell’area urbana. Il tutto con l’evidente scopo di studiare e realizzare sistemi di protezione sempre più efficaci e, soprattutto, mirati alle più importanti parti del corpo. L’ultimo prodotto Dainese validato, dal punto di vista medico, dal dottor Osvaldo Chiara, Direttore del Trauma Team, è il sofisticato gilet D-Air Street, la versione per uso stradale del dispositivo incorporato nelle tute in pelle di alta gamma, che in questo caso è indossabile sopra una giacca o un giubbotto.
Per divulgare questo importantissimo e interessante lavoro di ricerca congiunta, è stata organizzata una conferenza stampa proprio al Niguarda, preceduta da un istruttivo meeting multimediale a beneficio di oltre 300 studenti del Liceo Scientifico Bertrand Russell, con il nostro Nico Cereghini in veste di presentatore. In cattedra, assieme al Direttore Sanitario, professor Giuseppe Genduso e al dottor Chiara, sedevano gli esperti della Dainese - Vittorio Cafaggi e Marcello Bencini (design manager safety equipment del D-Tec vicentino) - e il giovanissimo Francesco Bagnaia, che assieme a Romano Fenati correrà il mondiale Moto3 con il neonato team VR46 di Valentino Rossi.
La successiva conferenza stampa ha avuto poi come ospiti anche Lino Dainese e Giacomo Agostini.
Il lavoro del Trauma Team, infatti, non prevede più il trasporto del traumatizzato grave all’ospedale più vicino (sprecando minuti preziosissimi), ma in quello più adatto al caso specifico. Durante il trasporto, il team effettua strada facendo un’assistenza continua al soggetto infortunato fino al Trauma Center, dove il soggetto verrà preso in consegna dal personale pre-allertato, in grado di stabilizzarne le funzioni vitali e trattarne le lesioni. Il tutto dovrebbe possibilmente avvenire nell’arco di un’ora dall’avvenuto incidente: la cosiddetta “golden hour”, quell’ora “d’oro” che potrebbe fare la differenza tra la vita e la morte, giusto per sottolinearne il livello di importanza.
«I dati messici a disposizione» dice Marcello Bencini, design manager safety equipment del D-Tec, al lavoro sul DARP (Dainese Advanced Research Program) «se da un lato forniscono ulteriori conferme di come gli impatti contro la parte anteriore e laterale del torace siano la prima causa di infortuni (18% del totale), dall’altro ci aiutano a migliorare le protezioni di altre parti del corpo, come nel caso degli arti inferiori, in cui da proteggere non c’è solo il ginocchio (17% delle lesioni di arto inferiore) ma anche l’area frontale ed esterna della gamba, che rappresenta il 22% delle lesioni. Il maggior numero di informazioni possibile sulle conseguenze di impatti su più punti diversi del corpo non possono che aiutarci a studiare dei rimedi: per esempio, è diverso proteggere una gamba da urto piuttosto che da una caduta, magari da fermo, in cui la gamba rimanga schiacciata sotto la moto. Oppure proteggere il bacino dall’impatto contro serbatoi spesso grossi e spigolosi».
Giacomo Agostini: «negli anni sessanta avevo una tuta che pesava solo un chilo: un giorno sono volato via, e mi sono ritrovato praticamente nudo!»
Poi arrivò Agostini, subito dotato di tuta bianca e rossa con inserti tricolore, e via così, passando per l’importantissimo paraschiena, gli “knee slider”, gli inserti protettivi esterni in fibra di carbonio e/o kevlar su tute, capi tecnici, guanti e stivali, il concetto di “protezione totale” e l’arrivo della “tecnologia dell’aria”, ovvero lo sviluppo dell’air-bag, la cui più recente evoluzione è, appunto, il gilet D-air Street. A proposito del paraschiena, Dainese ci ha ricordato un giovane e promettente pilota australiano, Ray Quincey, che nella seconda metà degli anni ’70, vinti i campionati australiani della 250 e 350 su Yamaha, arrivò in Italia in cerca di fortuna. Lino gli fornì una sua tuta, ma appena due giorni dopo Ray purtroppo cadde rompendosi la schiena contro un palo, e rimase paraplegico. Fu proprio allora che Lino decise di occuparsi massicciamente dello sviluppo del paraschiena.
«Le rilevazioni effettuate dal Dott. Chiara – ha dichiarato Dainese in conferenza stampa - sono state preziosissime per progettare il nostro D-air, e continueranno ad esserlo per le prossime evoluzioni. È questo un esempio positivo e concreto di collaborazione efficace tra istituzioni ed impresa che da più protezione a chi usa le due ruote in città e nel tempo libero, in tutto il mondo» .
Alla inevitabile domanda sui costi non indifferenti che un motociclista dovrebbe affrontare per comprare uno, se non due, gilet D-air, Dainese sottolinea che bisognerebbe chiedersi se dare la priorità ad un prodotto in grado di salvarci la vita o, quantomeno, la mobilità, piuttosto che ad altri, parimenti costosi, destinati fondamentalmente ad abbellire la nostra moto.
E in merito al recente accordo di cooperazione con BMW per il lancio congiunto del D-air Street come primo equipaggiamento sulle moto tedesche, ha sottolineato che la collaborazione con i grandi costruttori di moto non può che ridurre i costi di produzione della tecnologia D-air, che notoriamente è gestita elettronicamente, e per funzionare necessita logicamente di cablaggi particolari da montare sulla moto. Cablaggi che comprendono un piccolo display e svariati sensori, il cui costo (circa 500 euro) incide parecchio su un totale di 1.400 euro, 900 dei quali, quindi riguardano solo il gilet. Chiaro che acquistando una moto già predisposta per interagire col dispositivo air-bag il costo del prodotto, pur rimanendo sostanzioso, si ridurrebbe molto. Così come è chiaro che se la “tecnologia dell’aria” iniziasse a diffondersi tra i motociclisti, come pian piano sta accadendo per l’Abs (o come per la stessa elettronica di consumo), i prezzi diventerebbero certamente molto più abbordabili: l’obiettivo è di arrivare a un terzo dei costi attuali.
Soffermandosi sui tipi di lesione riscontrati in generale, nonostante la presenza del casco (che peraltro è integrale solo nel 40% dei casi…) per il 27% ha riguardato la testa. Ma la zona più esposta è risultata quella toracica, coinvolta nel 30% dei casi, con rischio decisamente più elevato per i “soliti” ultra 54enni. Sono meno del 5%, invece, le lesioni che interessano la colonna vertebrale.
Giudicato buono l’indice di utilizzo del casco, indossato dal 94% dei soggetti esaminati: francamente, tuttavia, ci inquieta abbastanza quel 6% di individui che il casco non lo indossavano.
Quanto all’abbigliamento tecnico, 83 soggetti (ovvero il 39% dei casi esaminati) non indossava alcun indumento specifico per la protezione del corpo.
Nella nostra gallery potete consultare alcuni grafici piuttosto dettagliati - ovviamente alquanto inquietanti, ma anche molto esplicativi: vale la pena di esaminarli - sulla casistica che riguarda gli incidenti che hanno coinvolto motociclisti nell’area di una città decisamente caotica come Milano. Per la precisione, l’acronimo “AIS” seguito da un numero, che troverete in qualche grafico, indica l’entità di un danno fisico in una scala da 1 a 6.