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Tra le parole più abusate del 2020 c'è quasi certamente “ecosistema”, che vuol dire tante cose a seconda del contesto in cui la caliamo e, nel nostro caso di utenti della strada, indica che nessuno tra automobilisti, ciclisti, motociclisti, pedoni e così via è una monade che può permettersi il lusso di pensare che la propria sicurezza stradale sia indipendente dagli altri attori dell'ecosistema stradale.
La sicurezza dei motociclisti, ad esempio, è strettamente correlata anche con il livello di attenzione ed esperienza degli automobilisti o, ancora, con la qualità delle strade, con la propria prudenza e potremmo continuare all'infinito.
Questo per introdurre un argomento di cui si dibatte da alcuni anni e che riguarda le future evoluzioni della mobilità urbana: il rapporto tra guida autonoma di livello 3, 4 e - in un futuro meno prossimo - 5 e gli utenti della strada più vulnerabili. Già oggi le auto a guida assistita e parzialmente autonoma sono relativamente diffuse, mentre la tecnologia che supporta il V2X si scalda i muscoli a bordo campo.
Uno dei problemi da affrontare per avere il massimo della sicurezza è dotare queste vetture della capacità di percepire correttamente pedoni, ciclisti e motociclisti: piccoli, dal comportamento non sempre lineare e diffusi (e a questi potremmo anche aggiungere i monopattini). La stessa ACEM in un suo documento aveva messo in guardia l'industria automobilistica sulla necessità di disporre di sensori e di algoritmi che possano vedere e capire efficacemente una moto nelle vicinanze, prevederne le mosse e reagire adeguatamente, mentre l'esperimento della start-up Aurora ha ulteriormente stressato il concetto.
Adesso, si aggiunge – con un approccio diverso - la ricerca che parte dall'Australian Centre for Field Robotics dell'Università di Sydney e dedicata ad un progetto svolto insieme a Cohda Wireless e iMove Australia. In breve e senza scendere nei dettagli tecnici, gli studiosi hanno sviluppato un sistema di messaggi di percezione cooperativa (CPM) tra veicoli autonomi e stazioni stradali fisse per la condivisione di informazioni sulla percezione della presenza, direzione e velocità dei pedoni utilizzando la tecnologia V2X. Come funziona? Normalmente la vettura a guida autonoma “vede” gli ostacoli con i propri sensori (Radar, videocamer, Lidar, e così via) e reagisce di conseguenza frenando o sterzando per evitare impatti, ma nel caso di ostacoli improvvisi le reazioni possono essere più brusche oppure intempestive: in questo caso la possibilità di sapere in anticipo cosa c'è dietro l'incrocio cieco, per esempio, può fare nettamente la differenza.
I ricercatori australiani hanno condotto tre esperimenti, dimostrando che un veicolo a guida autonoma connesso e in grado di utilizzare le informazioni CPM provenienti da un'unità stradale fissa è in grado di vedere attraverso gli edifici e dietro gli angoli delle strade laterali per rilevare i pedoni nascosti alla sua vista, può ricreare mondi virtuali dettagliati per interagire in sicurezza con i pedoni che attraversano la strada e, ancora, riesce ad arrestarsi per far attraversare un pedone in corsa (pensiamo ad un runner) ma non ancora fisicamente entrato nell'area dell'incrocio.
I messaggi CPM vengono scambiati attraverso l'infrastruttura del V2X, generando quindi – potenzialmente – un'enorme quantità di dati da gestire e veicolare.
Gli stessi ricercatori hanno ammesso che se il sistema funziona con i pedoni non dovrebbe essere difficile applicarlo anche ai motociclisti, rendo così le vetture a guida autonoma più “coscienti” della presenza e del comportamento dinamico delle moto intorno a loro, con un guadagno per la sicurezza di tutti.
Potrà la percezione cooperativa migliorare decisamente il rapporto tra utenti deboli della strada e i futuri veicoli a guida autonoma? La risposta sta, come dicevamo, nell'ecosistema. Quando la tecnologia V2X sarà pienamente diffusa vorrà dire che molte delle sfide che ne regolano l'introduzione su larghissima scala saranno vinte: affidabilità delle reti, bassa latenza, capacità di gestire un volume impressionante di Big Data e, se su una automobile non è difficile immaginare una frenata autonoma che possa salvare il pedone o il motociclista incauto, forse in questi scenari sarà necessario immaginare altri e più efficaci modi di far interagire il V2X con la motocicletta.
Fonte iMove Australia
Foto di Adrian Malec da Pixabay