Dall'Australia una ricerca che migliora il rapporto tra auto a guida autonoma e utenti vulnerabili

Dall'Australia una ricerca che migliora il rapporto tra auto a guida autonoma e utenti vulnerabili
L'utilizzo dei messaggi di percezione cooperativa potrebbe aiutare le vetture a guida autonoma a percepire pedoni e motociclisti anche quando non visibili
21 dicembre 2020

Tra le parole più abusate del 2020 c'è quasi certamente “ecosistema”, che vuol dire tante cose a seconda del contesto in cui la caliamo e, nel nostro caso di utenti della strada, indica che nessuno tra automobilisti, ciclisti, motociclisti, pedoni e così via è una monade che può permettersi il lusso di pensare che la propria sicurezza stradale sia indipendente dagli altri attori dell'ecosistema stradale.

La sicurezza dei motociclisti, ad esempio, è strettamente correlata anche con il livello di attenzione ed esperienza degli automobilisti o, ancora, con la qualità delle strade, con la propria prudenza e potremmo continuare all'infinito.

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Questo per introdurre un argomento di cui si dibatte da alcuni anni e che riguarda le future evoluzioni della mobilità urbana: il rapporto tra guida autonoma di livello 3, 4 e - in un futuro meno prossimo - 5 e gli utenti della strada più vulnerabili. Già oggi le auto a guida assistita e parzialmente autonoma sono relativamente diffuse, mentre la tecnologia che supporta il V2X si scalda i muscoli a bordo campo.

Uno dei problemi da affrontare per avere il massimo della sicurezza è dotare queste vetture della capacità di percepire correttamente pedoni, ciclisti e motociclisti: piccoli, dal comportamento non sempre lineare e diffusi (e a questi potremmo anche aggiungere i monopattini). La stessa ACEM in un suo documento aveva messo in guardia l'industria automobilistica sulla necessità di disporre di sensori e di algoritmi che possano vedere e capire efficacemente una moto nelle vicinanze, prevederne le mosse e reagire adeguatamente, mentre l'esperimento della start-up Aurora ha ulteriormente stressato il concetto.

Adesso, si aggiunge – con un approccio diverso - la ricerca che parte dall'Australian Centre for Field Robotics dell'Università di Sydney e dedicata ad un progetto svolto insieme a Cohda Wireless e iMove Australia. In breve e senza scendere nei dettagli tecnici, gli studiosi hanno sviluppato un sistema di messaggi di percezione cooperativa (CPM) tra veicoli autonomi e stazioni stradali fisse per la condivisione di informazioni sulla percezione della presenza, direzione e velocità dei pedoni utilizzando la tecnologia V2X. Come funziona? Normalmente la vettura a guida autonoma “vede” gli ostacoli con i propri sensori (Radar, videocamer, Lidar, e così via) e reagisce di conseguenza frenando o sterzando per evitare impatti, ma nel caso di ostacoli improvvisi le reazioni possono essere più brusche oppure intempestive: in questo caso la possibilità di sapere in anticipo cosa c'è dietro l'incrocio cieco, per esempio, può fare nettamente la differenza.

La Damon Hypersport, una delle moto che punta molto sulla connettività e sul V2X
La Damon Hypersport, una delle moto che punta molto sulla connettività e sul V2X

 

I ricercatori australiani hanno condotto tre esperimenti, dimostrando che un veicolo a guida autonoma connesso e in grado di utilizzare le informazioni CPM provenienti da un'unità stradale fissa è in grado di vedere attraverso gli edifici e dietro gli angoli delle strade laterali per rilevare i pedoni nascosti alla sua vista, può ricreare mondi virtuali dettagliati per interagire in sicurezza con i pedoni che attraversano la strada e, ancora, riesce ad arrestarsi per far attraversare un pedone in corsa (pensiamo ad un runner) ma non ancora fisicamente entrato nell'area dell'incrocio.

I messaggi CPM vengono scambiati attraverso l'infrastruttura del V2X, generando quindi – potenzialmente – un'enorme quantità di dati da gestire e veicolare.

Gli stessi ricercatori hanno ammesso che se il sistema funziona con i pedoni non dovrebbe essere difficile applicarlo anche ai motociclisti, rendo così le vetture a guida autonoma più “coscienti” della presenza e del comportamento dinamico delle moto intorno a loro, con un guadagno per la sicurezza di tutti.

Potrà la percezione cooperativa migliorare decisamente il rapporto tra utenti deboli della strada e i futuri veicoli a guida autonoma? La risposta sta, come dicevamo, nell'ecosistema. Quando la tecnologia V2X sarà pienamente diffusa vorrà dire che molte delle sfide che ne regolano l'introduzione su larghissima scala saranno vinte: affidabilità delle reti, bassa latenza, capacità di gestire un volume impressionante di Big Data e, se su una automobile non è difficile immaginare una frenata autonoma che possa salvare il pedone o il motociclista incauto, forse in questi scenari sarà necessario immaginare altri e più efficaci modi di far interagire il V2X con la motocicletta.

Fonte iMove Australia

Foto di Adrian Malec da Pixabay

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