Dentro il Museo Yamaha

Dentro il Museo Yamaha
Un appassionato bolognese ha creato una collezione di moto da competizione della casa dei tre diapason. L’esposizione è stata inaugurata proprio di recente e ne abbiamo già parlato, ma un approfondimento non guasta davvero… | M. Clarke
27 giugno 2012

Sessanta Yamaha da competizione


I collezionisti non mancano certo
, in Italia, ma che uno di loro riesca a creare, spinto da una formidabile passione, uno splendido museo dedicato a una delle più grandi case giapponesi, ha dell’incredibile. Eppure è proprio quanto accaduto a Villanova di Castenaso, alle porte di Bologna, dove Pierluigi Poggi ha allestito quello che può davvero essere definito un luogo dello spirito, nel quale sono raccolte ben sessanta Yamaha da competizione. La cosa è talmente straordinaria che perfino la casa madre (che un museo del genere non ce l’ha) ha voluto contribuire, fornendo alcune recentissime motoGP, e anche un meraviglioso motore sciolto, perché venissero esposte assieme alle loro gloriose antenate.


La Yamaha, famosa per i suoi eccellenti strumenti musicali (campo nel quale è tuttora leader) è entrata nel settore motociclistico nel 1954, realizzando una copia della migliore 125 a due tempi all’epoca disponibile a livello mondiale, la DKW RT. In seguito, dati gli ottimi risultati commerciali e la forte crescita, ha deciso di salire di cilindrata e di costruire anche una bicilindrica; pure in questo caso l’ispirazione è arrivata, per quanto riguarda il motore, da quanto di meglio c’era in circolazione: la Adler MB 250. Il successo della nuova moto (la YD1, presentata nel 1957) è stato immediato e ben presto le bicilindriche Yamaha hanno cominciato a far parlare di sé anche all’estero, a cominciare dagli USA. I modelli stradali sono stati rapidamente seguiti di versioni da corsa e, successivamente, da moto progettate espressamente impiego agonistico. Quelle ufficiali, grandi protagoniste della scena mondiale a partire dagli anni Sessanta (il primo titolo iridato è arrivato nel 1964), sono state affiancate da modelli destinati ai piloti privati, settore nel quale la Casa dei tre diapason ha sempre primeggiato. Alcuni campionati mondiali sono addirittura stati conquistati in sella a moto in libero vendita, nei periodi nei quali la Yamaha non era impegnata ufficialmente. La bicilindrica 350 ha fatto scalpore quando si è imposta nella 200 miglia di Daytona davanti alle 750 a quattro tempi all’inizio degli anni Settanta. E successivamente il trofeo FIM Formula 750 è diventato un vero e proprio monomarca, dominato a loro piacimento dalle formidabili TZ quadricilindriche.


Le moto più significative


Descrivere in dettaglio tutte le moto esposte nel museo di Poggi è impossibile; ci vorrebbe un libro. In più riprese però, possiamo parlare di alcune tra le più significative.  Nella sala adiacente a quella dedicata alla Yamaha, tra altri modelli di grande interesse (parleremo anche di loro, in futuro), è esposta una Adler M 250, che si è poi evoluta nella MB 250. Giusto tributo alla moto dal cui motore è direttamente
Adler M 250: da dove tutto ha avuto inizio!
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derivato quello della prima bicilindrica Yamaha. La Adler era una antica fabbrica di Francoforte che aveva prodotto moto tra il 1900 e il 1907 per concentrarsi poi sulle automobili. Alle due ruote era tornata dopo la seconda guerra mondiale, realizzando dapprima una 98 e poi una 125 di ottima fattura. Le bicilindriche (inizialmente di 200 cm3) sono arrivate nel 1951. Il progettista di queste eccellenti moto è stato Kurt Grassmann. La M 250 del 1953 erogava 12 CV a 5600 giri/min. La potenza è salita a 16 CV nella successiva MB 250 e a 18 nella “Sprinter”, prodotta nel 1956 e 1957, anno al termine del quale la casa ha posto fine alla sua attività motociclistica, per concentrarsi sulle macchine per ufficio. Lo stabilimento di Francoforte è così diventato proprietà della Grundig. Il motore bicilindrico Adler 250 aveva misure caratteristiche quadre (alesaggio e corsa = 54x54 mm) ed era caratterizzato dall’avere la frizione montata alla estremità dell’albero a gomiti (queste caratteristiche sono state mantenute a lungo nei motori Yamaha). Nella ciclistica spiccavano le ruote da 16 pollici e la sospensione anteriore a biscottini oscillanti.


La YDS 1 è una sportiva, derivata dalla YD1, che è entrata in produzione nel 1959. La variante da corsa, esposta al museo Poggi, era la YDS 1R, per la quale si parlava di 25 cavalli a 9000 giri/min. Queste moto hanno gareggiato principalmente negli USA, oltre che in patria. La TD1 è stata prodotta in più versioni, con potenze che andavano dagli iniziali 32 cavalli a quasi 40, tra il 1962 e il 1968. Quando è arrivata in Europa, è diventata rapidamente la migliore arma a disposizione dei piloti privati.  La TD2B è

TD 2B, 1971. Un autentico classico, con lo straordinario freno a tamburo a quattro ganasce. 250 cm3, anno 1971
TD 2B, 1971. Un autentico classico, con lo straordinario freno a tamburo a quattro ganasce. 250 cm3, anno 1971

stata prodotta nel 1971. Dotata di uno dei freni a tamburo più belli e più efficaci che siano mai stati realizzati, è che è stato impiegato anche sui modelli successivi, disponeva di circa 47 cavalli a 11000 giri/min.
Nel 1972 è comparsa la TD3, con la quale le bicilindriche Yamaha di 250 cm3 tornavano alle classiche misure di 54 x 54 mm, dopo avere avuto per svariati anni un alesaggio di 56 mm e una corsa di 50mm. Munita di un nuovo cambio a sei marce, questa moto disponeva di 49 cavalli.  Il passaggio al raffreddamento ad acqua è avvenuto nel 1973, con la comparsa dei modelli della serie TZ, prodotti tanto in versione 250 quanto in versione 350 (le Yamaha da corsa di questa seconda cilindrata erano apparse alla fine degli anni Sessanta). Nello stesso 1973 la TZ 350 ha tra l’altro trionfato a Daytona davanti a moto di cilindrata più che doppia, pilotata dall’indimenticabile Jarno Saarinen e ripetendo per la casa giapponese il successo dell’anno precedente di Don Emde (su una TD3). Aveva un alesaggio di 64 mm e una corsa di 54 mm e disponeva di 60 CV a 9500 giri/min.


Per diversi anni le Yamaha 500 a quattro cilindri sono state vendute in numeri considerevoli ai piloti privati. Al museo ce ne sono di varie versioni, tra le quali quella del 1982 che mostriamo nella foto (TZ

2005: motoGP con verniciatura Kenny Roberts replica
2005: motoGP con verniciatura Kenny Roberts replica

500 J). Passando a tempi assai più vicini a noi, ci sono ben quattro motoGP; spiccano un esemplare del 2004, la prima annata di Valentino Rossi presso la casa dei tre diapason, e uno del 2005, con verniciatura tipo Kenny Roberts.  E, per concludere questa prima panoramica, un motore M1 ultima versione di 800cm3, debitamente “piombato”. Che si tratti di un autentico capolavoro di meccanica è evidente anche al solo esame estetico. È ultracompatto, con ben visibile (posteriormente al blocco cilindri) l’alloggiamento della cascata degli ingranaggi di comando della distribuzione, che prende il moto dall’albero ausiliario, e con lo straordinario basamento interamente ottenuto dal pieno mediante chissà quante ore di lavorazione alle macchine utensili a controllo numerico…