Dieci anni fa ci lasciava Claudio Castiglioni

Dieci anni fa ci lasciava Claudio Castiglioni
Sono già passati dieci anni. Claudio Castiglioni si spense mercoledì 17 agosto 2011 in una clinica di Varese, dopo una lunga malattia. Aveva soltanto 63 anni
17 agosto 2021

Claudio Castiglioni non aveva ancora compiuto 64 anni, era nato a Varese il 22 novembre 1947, quando si spense in una clinica della sua città il 17 agosto di dieci anni fa.

I funerali si tennero due giorni dopo, il 19, nella chiesa della Brunella, con una gran folla di motociclisti commossi, numerosi personaggi e il classico rombo delle moto al passaggio del feretro.

Al fondatore della Cagiva e presidente della MV Agusta, nonché protagonista del rilancio della Ducati e figura centrale del motociclismo italiano, quel giorno dedicammo un lungo articolo, raccogliendo le toccanti testimonianze di due persone molto vicine a Claudio: Giacomo Agostini e Massimo Tamburini, che purtroppo ci ha lasciato tre anni dopo.
E con i pezzi di Nico Cereghini, Giovanni Zamagni e Maurizio Tanca.

Ecco qui sotto i testi di allora: Ciao Claudio, sei sempre nei nostri cuori!

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Nico Cereghini
Claudio Castiglioni era un artista, uno che riusciva a vedere come sarebbe stata la “sua” moto prima ancora di iniziare il lavoro con i progettisti. Una specie di Michelangelo Buonarroti, che dicono fosse capace di vedere la sua opera finita ancor prima di toccare con lo scalpello il blocco del marmo bianco di Carrara.
Travolgente Claudio, esuberante, qualche volta anche sopra le righe ma sempre generoso, sincero, contagioso nel suo naturale ottimismo. Uno di quelli che “se una cosa la vuoi veramente allora puoi ottenerla”.

Le moto più belle, quelle che fanno ancora venire i brividi a molti di noi, sono quelle che ha fatto lui con Tamburini: dalla Cagiva Mito alla Ducati 916 alla MV F4 e alla Brutale. Moto perfette, che parlano direttamente al cuore dei motociclisti. Eppure io credo che amasse più le sue gare che le sue moto. Le moto, certo, era bello farle, era bello e appassionante; ma poi si passava subito alla successiva. Invece le gare non finivano mai di far tremare i polsi. Cross, velocità, soprattutto Parigi-Dakar.

Alla Dakar Claudio non veniva, lasciava fare al bravo Roberto Azzalin. Con Auriol la Cagiva Elefant aveva già sfiorata la vittoria, e nel ‘90 arrivò il trionfo con Edi Orioli. Il primo, il più bello. Ebbene, quella volta vidi davvero Claudio Castiglioni perfettamente felice, capace di condividere la sua immensa soddisfazione, di premiare tutti i suoi piloti nello stesso modo, di abbracciare anche noi giornalisti, che dall’Africa avevamo raccontato l’impresa, in una premiazione bellissima, a Varese. Puro, e appassionato.

Se la Ducati oggi è diventata quello che è, a Claudio deve andare tutta la nostra riconoscenza. Non fosse stato per lui e per il fratello Gianfranco, alla loro passione e alla loro grande tenacia, oggi a Borgo Panigale farebbero dei motori diesel per la nautica e l’agricoltura. La moto sarebbe sparita da Bologna, il cuore pulsante del made in Italy non esisterebbe nemmeno. Per dire una cosa tra le più importanti che ha realizzato. E ne ha fatte tante.

Claudio Castiglioni ci mancherà. Un amico se n’è andato. Lo avevo sentito due mesi fa, era all’aeroporto, stava partendo per uno dei suoi viaggi negli Usa per curarsi. Era ancora pieno di ottimismo, la voce era entusiasta: “sei lì a Schiranna con Giovanni? Bravo, fate un bel lavoro che la MV se lo merita”.

Giacomo Agostini
Manca un amico, uno che sentivo molto vicino. In comune avevamo soprattutto la passione per le due ruote. Claudio ha sempre amato la moto. “Sta in forma - mi raccomandava - che abbiamo ancora un sacco di cose da fare insieme!“. Era trascinante, e poi anche molto bravo perché era lui che dava l’ok sui progetti esecutivi: dunque aveva grandi idee ed era innovativo. E anche negli ultimi mesi aveva la stessa tenacia di sempre, era innamorato delle nuove moto che stanno nascendo a Schiranna e pieno di progetti per il futuro.

Se mi chiedete un aneddoto particolare, allora ricordo quando con tutto il team l’abbiamo fatto piangere a Budapest nel ‘92. La prima vittoria della Cagiva 500 con Eddie Lawson, la scelta della gomma giusta sulla linea di partenza, il lungo inseguimento al primo, fino alla vittoria. Dodici luglio 1992. Claudio era lì al muretto e mi abbracciava, piangeva, saltava, non riusciva più a fermarsi. Dopo dieci anni di gare, finalmente la 500 batteva i giapponesi. Era un sogno che diventava realtà, e lui le corse le aveva nel sangue.

Di questo parlavamo ancora due mesi fa. Mi diceva: dai Mino, torniamo a correre con la MV, facciamo ancora qualcosa di veramente grande! Adesso non c’è più. Per il funerale andremo tutti là con le moto e lo accompagneremo fino al cimitero con la musica che amava di più.

Massimo Tamburini
Per me è una grande perdita, e io credo proprio che lo sia per tutti: lui ha trasformato l’industria italiana da cenerentola a principessa. Prima con il fratello Gianfranco, poi da solo, impiegando i capitali personali in ciò che sognava. Oggi l’industria nazionale sarebbe un’altra cosa e di questo gli sarò riconoscente per tutta la vita.

Lo conoscevo dagli anni Settanta, lo incrociavo sulle piste, la sua passione si vedeva da lontano. Poi nel febbraio dell’85 ecco l’occasione che ci unì: ero uscito dalla Bimota già da due anni, e l’anno prima, 1984, avevo fondato con Roberto Gallina un piccolo centro ricerche.
Claudio lo acquistò e da lì sarebbe nato il Centro Ricerche Cagiva. Dall’85 al 2008, una collaborazione di ventitre anni; poi gli americani (che in quel periodo rilevarono la MV Agusta, ndr) mi chiesero un impegno troppo gravoso e allora, in accordo con Claudio, lasciai.

Claudio era un grande. Difetti ne aveva, certo, si entusiasmava anche troppo facilmente e qualche volta tendeva a fidarsi delle persone sbagliate. Ma nessuno è perfetto e poi da lui ho imparato molto, moltissimo. Era come un fratello, per me. Se abbiamo creato insieme delle cose belle è grazie a lui e alla libertà che mi ha sempre concesso. La 916 è la moto che tutti giudicano la più bella tra quelle che abbiamo fatto insieme, ma io dico MV F4, che poi avrebbe dovuto essere una Cagiva.

Perché era la fine dell’89 ed eravamo al mare, al ristorante, e io gli dissi “le 125 sono belle, ma facciamo qualcosa di più importante, facciamo una 750!”. Lì per lì mi sembrò convinto a metà, ma poi venni a sapere che aveva già dato l’incarico di progettare il motore a Piero Ferrari. E poi ci fu l’acquisizione del marchio MV Agusta e allora la F4 fu MV; e la cambiammo un bel po’, perché il progetto era già avanzato sulla filosofia della Cagiva 500 da GP, telaio d’alluminio e carbonio. E invece, per essere più fedeli alla storia della MV, passammo alle soluzioni attuali.
Ora Claudio non c’è più ed è come se mi mancasse un pezzo.
 

Giovanni Zamagni
Ricordo come se fosse oggi la prima volta che incontrai Claudio Castiglioni. Eravamo a Laguna Seca: io ero un ragazzino che cercava in ogni modo di entrare nel Motomondiale, lui era Claudio Castiglioni, proprietario della Cagiva. Come dire che io ero nessuno e lui uno dei massimi esponenti dello sport che amavo e che amo tutt’ora.

Mi aveva colpito subito, per il suo modo di fare e per il rispetto che aveva anche per me, nonostante non sapesse neppure chi fossi. Incontrarlo ai GP era sempre qualcosa di speciale ed elettrizzante, perché dentro al box Cagiva si viveva tutta la passione per le corse di Claudio Castiglioni, esplosivo e geniale allo stesso tempo. Qualche anno dopo, allo Spielberg di Brno, uno dei ristoranti più belli e famosi della Repubblica Ceca, ero casualmente seduto al suo fianco in una cena organizzata da Castiglioni per i giornalisti: spettacolo puro.

Così come assolutamente divertente era stata la presentazione alla stampa, in un freddissimo giorno di dicembre, di John Kocinski, che si era esibito in un ristorante del centro di Milano in pantaloncini corti, perché appena sbarcato dalla California. “Io questo lo caccio via a pedate nel sedere” aveva scherzato Castiglioni con il suo modo di fare, già però invaghito di quel pilota che riuscì a portare la Cagiva a livelli da brividi, in una sfida per certi versi ancora più difficile di quella di oggi della Ducati ai colossi giapponesi.

Quando la Cagiva si ritirò dalle corse, i miei contatti con lui diventarono, purtroppo, sempre più saltuari e negli ultimi tempi lo incontravo solo a Milano, in occasione della Fiera del Motociclo. Il rituale era sempre lo stesso e sempre emozionante: ci abbracciavamo e gli dicevo: “Quando torni nelle corse, il motomondiale senza di te si sta intristendo”.

E lui rispondeva: “Stiamo preparando una “bomba”: faremo impazzire tutti”. Entrambi sapevamo che non era vero, ma era bello, per un momento, illudersi che lo fosse. Non sono un nostalgico, mi piace vivere il presente di ogni cosa senza guardare troppo al passato, ma il motociclismo di Claudio Castiglioni mi mancherà da impazzire. Un abbraccio, presidente.


Maurizio Tanca
Era la fine dello scorso maggio quando Nico Cereghini ed io andammo in Cagiva per intervistare Giovanni Castiglioni, figlio di Claudio e amministratore delegato di MV Agusta, e l’ingegner Massimo Bordi, già a fianco dei Castiglioni negli anni del rilancio della Ducati, e oggi Vice Presidente della Casa varesina. Speravamo che ci sarebbe stato anche Claudio, il Presidente, ma proprio quella mattina partì per gli Stati Uniti, dove aveva iniziato un ciclo di cure per combattere quel maledetto male che invece, purtroppo, alla fine se l’è portato via.

Lo ha portato via a tutti i suoi cari, ma anche a tutti coloro che – per lavoro e/o per passione - amano le moto e il motociclismo. Un ambiente dove il Presidente giganteggiava per passione e competenza, e dove aveva tanti amici, e probabilmente (come tutti, del resto) anche qualche nemico. Personalmente mi onoro di figurare tra i primi.
Ora non starò certo ad elencare tutto quanto Claudio Castiglioni ha fatto per la sua Azienda e per il motociclismo in generale: tutto è già stato scritto, in questo stesso contesto, e da personaggi decisamente di rilievo.

Vorrei solo ricordare l’amico Claudio come una delle persone al top di questo ambiente che mi sono state più care. L’altra era Carlo Talamo, altro genio della moto, scomparso 9 anni fa in un incidente in sella ad una delle sue Triumph. Due personaggi che tra l’altro a suo tempo furono in un certo qual modo legati: quando acquisì l’Aermacchi Harley-Davidson (che poi divenne Cagiva), Castiglioni di fatto diede a Talamo la facoltà di importare le Harley in Italia. E Talamo, per un breve periodo, fu anche importatore delle Husqvarna, fino a quando lo stesso Castiglioni ne acquisì il marchio.
Con questi due uomini mi trovavo proprio bene, perché erano persone semplici, molto alla mano, ed enormemente appassionate di moto. Due eterni ragazzi, insomma, un po’ come mi sento io ancora oggi, pur essendo di tre anni più “piccolo” di Claudio.

Era un piacere parlare con lui, ogni volta che andavo in Cagiva/MV magari a ritirare o a riportare una moto in prova. Quante volte mi è capitato di tornare in fabbrica dopo un semplice test di una giornata, o dopo una prova più approfondita, e, mentre parcheggiavo la moto in questione davanti alla palazzina degli uffici, inevitabilmente si apriva una finestra al piano superiore e mentre mi toglievo il casco sentivo una voce che mi gridava: “Maurizio, come va la moto? Vieni su, che ne parliamo!” Magari erano le 7 di sera, ma chissenefrega: a una chiacchierata col capo non si rinuncia! Anzi, una sera, verso le 20, mi portò a visitare le nuove linee di montaggio delle Husqvarna, a Cassinetta di Biandronno, dall’altra parte del lago di Varese: andavamo in giro per lo stabilimento deserto, e Claudio accendeva personalmente le luci dei vari reparti con l’entusiasmo di un bambino...

Ricordo perfettamente quando riportai a Schiranna una Cagiva Navigator 1000, che peraltro mi era piaciuta parecchio: Claudio comparve come sempre alla finestra e mi convocò nel suo ufficio, dove c’era anche Massimo Tamburini: gli brillavano gli occhi quando gli raccontai della moto, sottolineando che era comoda, però che avrei rialzato un pochino le pedane, mostrandogli gli stivaletti completamente consumati.

Mi ricordo anche che chiesi a Tamburini se fosse piaciuta anche a lui, la Navigator. Ecco la risposta: “So che i miei ragazzi si sono divertiti molto anche a Misano, ma io su quelle “cose” col manubrio alto non ci salgo. La moto per me deve avere i mezzi manubri!”.
E quante volte Claudio Castiglioni mi ha confidato di avere in testa mille idee fantastiche, ma purtroppo bisogna esser capaci di identificare quelle giuste da realizzare. L’ultima di queste era la futura MV F3.

Durante l’ultima visita in MV, ovvero il giorno dell’intervista, Giovanni Castiglioni ci aveva un po’ rassicurato, anzi, ci aveva infuso speranza, riguardo alle condizioni di salute di suo padre.
Oggi, dopo nemmeno tre mesi, mi ritrovo invece qui, assieme a tantissimi altri amici, a piangere la scomparsa di un vulcanico ragazzo di 63 anni, che oltre alla sua amicizia mi ha regalato tantissime emozioni: e cito per tutte la Ducati 916. Una persona alla quale il mondo del Motociclismo dovrebbe erigere un monumento.

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