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Alcune case hanno legato indissolubilmente il loro nome ad alcuni modelli famosi. In genere si tratta di due o tre e talvolta anche uno soltanto.
Ad esempio, quando si parla di Guzzi vengono subito in mente il Falcone o il V7. Per la Morini i nomi che balzano subito alla ribalta sono Corsaro e 3 ½ o magari Settebello.
Nel caso della Ducati, se si parla di monocilindrici, vengono in mente subito l’indimenticabile Scrambler, cioè il modello che ha avuto maggiore diffusione, e la Marianna, che ha dato inizio alla gloriosa stirpe dei monoalbero con comando della distribuzione ad alberello e coppie coniche.
Queste moto ormai quasi leggendarie hanno davvero segnato un’epoca grazie alla loro tecnica raffinata, alle ottime prestazioni e a un’estetica che talvolta, come nel caso degli Scrambler, è stata straordinariamente azzeccata.
Il numero dei modelli realizzati dalla casa bolognese è assai cospicuo e in questo servizio è possibile fare solo una sintesi di quelli più significativi.
La storia delle Ducati con distribuzione monoalbero progettate dall’ing. Taglioni, è cominciata con la 100 Gran Sport (GS), più nota come Marianna.
Il grande tecnico romagnolo aveva avuto incarico di realizzare delle moto in grado di affermarsi nelle maratone stradali (Milano-Taranto e Motogiro), popolarissime all’epoca, e di dare poi origine a una serie di modelli stradali da esse derivati. La Marianna 100 ha sbaragliato la concorrenza fin dalla sua comparsa, nel 1955, ed è stata rapidamente seguita dalle versioni di 125 e di 175 cm3 (quest’ultima costruita in pochi esemplari soltanto).
Aveva il cavalletto e l’impianto di illuminazione e poteva essere targata per circolare su strada ma quasi tutti gli esemplari prodotti sono stati adibiti ad impiego agonistico.
La prima vera Ducati monoalbero costruita in gran serie e destinata all’uso di tutti i giorni è stata la 175, presentata verso il termine del 1956. Alla fine dell’anno successivo è stata affiancata dalla 175 Sport, dalla 125 e dalla 100.
Lo schema costruttivo era identico a quello adottato sulle GS. L’unica vera differenza era costituita dalla testa, di nuovo disegno e con le molle coperte. Le due valvole, sempre inclinate di 80°, erano azionate da un unico albero a camme che muoveva due bilancieri ed era comandato da un alberello parallelo al cilindro e da due coppie di ingranaggi conici. Il cilindro in lega di alluminio era dotato di una canna in ghisa, munita di bordino superiore, che veniva installata con interferenza.
Le misure caratteristiche erano 55,3 x 52 mm per la 125 e 62 x 57,8 per la 175.
Nel 1958 Berliner è diventato importatore della casa bolognese per gli USA e ha rapidamente iniziato ad influenzare le scelte estetiche e commerciali della Ducati. Diversi modelli sono nati proprio per il mercato americano e su sue specifiche richieste.
La prima 200, derivata dalla 175 tramite aumento dell’alesaggio, è stata la Elite, apparsa nel 1959. Due anni dopo è entrata in scena la prima 250, realizzata in versioni turismo e sport (Monza e Diana). L’alesaggio è passato a 74 mm mentre la corsa è rimasta di 57,8 mm.
Queste misure sono le stesse adottate da Taglioni alla fine degli anni Settanta per la bicilindrica Pantah.
Il primo modello chiamato Scrambler, destinato al mercato USA, è comparso nel 1962.
Nel 1964 è stata la volta della 250 Mach 1, dalle prestazioni superlative e dotata del nuovo cambio a cinque marce. L’anno successivo ha fatto il suo esordio il primo modello di 350 cm3 (alesaggio e corsa = 76 x 75 mm). Si chiamava Sebring e da noi è stato venduto in un numeri molto modesto di esemplari; la produzione era destinata quasi esclusivamente all’estero.
Nello stesso periodo ha esordito la seconda versione dello Scrambler, notevolmente riveduta a livello estetico.
Il 1967 ha visto il 250 Mark 3 prendere il posto del Mach 1 e, evento di importanza epocale, ha anche visto la presentazione del primo modello dotato di un motore della nuova serie a carter larghi. Ciò è avvenuto al salone di Colonia, ove la Ducati ha presentato il 350 Mark 3.
I nuovi motori, che dalla primavera avanzata del 1968 hanno sostituito i precedenti della serie a carter stretti, mantenevano lo stesso schema costruttivo di questi ultimi ma erano frutto di una profonda rivisitazione. Esteriormente si distinguevano dai loro predecessori principalmente a livello di basamento.
Gli attacchi posteriori erano molto più distanziati e la coppa dell’olio si prolungava all’indietro fino alla estremità del basamento stesso. Anche il telaio era di nuova progettazione, con gli elementi tubolari posteriori ben distanziati trasversalmente.
Alle versioni di 250 e di 350 cm3 l’anno successivo si è aggiunta quella di 450 cm3, ottenuta con un alesaggio di 86 mm e una corsa di 75 mm.
La comparsa, per la prima volta al mondo su motori di serie, della distribuzione desmodromica è avvenuta nell’autunno del 1968. La impiegavano i Mark 3 D, costruiti (come gli Scrambler) nelle tre versioni: 250, 350 e 450.
Nel 1971 questi modelli sono stati sostituiti da quelli denominati semplicemente Desmo (costruiti nelle tre solite cilindrate) dotati di un’estetica completamente riveduta, nella quale spiccavano la sella monoposto con codino e la verniciatura in argento “pagliuzzato”.
Gli appassionati inglesi li hanno subito soprannominati “Silver Shotguns”, ovvero carabine argentate. Nel 1973 è apparsa la seconda serie di queste splendide sportive, con il portatarga incorporato nel codino e una tipica verniciatura giallo ocra.
La produzione delle Ducati monocilindriche monoalbero è terminata alla fine del 1974. Le linee di produzione sono state smantellate nei primi mesi dell’anno successivo perché dovevano essere allestite quelle dei bicilindrici paralleli e delle 125 a due tempi da regolarità, cosa che richiedeva molto tempo.
Nello stabilimento di Borgo Panigale erano però rimasti importanti lotti di moto invendute (principalmente Scrambler) e di conseguenza tali modelli sono rimasti in listino fino al 1976. I numeri di vendita di questi “resti di magazzino” sono stati di qualche centinaio soltanto. Cifre ridicole in confronto al periodo d’oro degli Scrambler, quando si parlava di numerose migliaia l’anno.
Qualche decina di esemplari è stata assemblata nel 1977, su richiesta di alcuni concessionari, utilizzando parti prelevate dal magazzino ricambi.
A questo punto la storia dei monocilindrici Ducati sembrava definitivamente conclusa; in effetti però non è stato proprio così, come vedremo nella seconda parte di questo servizio.