E finalmente arrivò il raffreddamento ad acqua

Come e quando si è affermato definitivamente questo tipo di refrigerazione. Completiamo così la serie di articoli sul raffreddamento dei motori motociclistici
24 gennaio 2019

Qualunque sia il sistema di raffreddamento che si impiega, alla fine il calore viene sempre asportato dall’aria. Per questa ragione di quando in quando si parla di raffreddamento diretto e indiretto.

In questo secondo caso ci si riferisce ai sistemi nei quali le pareti della testa e del cilindro sono lambite da un liquido che quindi trasporta il calore asportato a uno scambiatore (il radiatore) ove viene infine ceduto all’aria.
Fin dagli albori del motorismo in campo automobilistico si è data la preferenza al raffreddamento ad acqua mentre in quello motociclistico si è affermato pressoché universalmente quello ad aria. In entrambi i casi non sono comunque mancate interessanti eccezioni.

Questi due diversi orientamenti dei tecnici erano logici in quanto sulle autovetture il motore era completamente racchiuso (e di spazio attorno ad esso ce ne era in abbondanza) mentre sulle moto, mezzi più semplici e per i quali era importante la leggerezza, esso era liberamente esposto al vento della corsa.
Per le auto le eccezioni, che adottavano il raffreddamento ad aria (ovviamente forzata mediante ventola), si chiamavano Franklin e, dalla fine degli anni Trenta, Volkswagen Maggiolino; per quanto riguarda invece i mezzi a due ruote di serie, tra i pochi che adottavano la refrigerazione ad acqua occorre ricordare almeno la Scott bicilindrica e diverse realizzazioni tedesche degli anni Venti (ARCO, Aristos, Bohme, Maurer), più qualche modello a due tempi realizzato dalla DKW.

 

Il primo quattro tempi di serie raffreddato ad acqua dell’era moderna (dopo gli anni Cinquanta, insomma) è stato il quadricilindrico boxer della Honda GL 1000, entrato in produzione nel 1975. A rendere necessario tale tipo di refrigerazione non era una elevata potenza specifica, ma l’architettura costruttiva
Il primo quattro tempi di serie raffreddato ad acqua dell’era moderna (dopo gli anni Cinquanta, insomma) è stato il quadricilindrico boxer della Honda GL 1000, entrato in produzione nel 1975. A rendere necessario tale tipo di refrigerazione non era una elevata potenza specifica, ma l’architettura costruttiva
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Dopo la seconda guerra sono apparse svariate auto di piccola cilindrata con raffreddamento ad aria, che hanno avuto una lunga vita e una grande popolarità. La Panhard Dyna, le Citroen 2 CV e Dyane, la NSU Prinz e la Fiat 500 non solo sono rimaste nella memoria di tanti, ma sono state di grande importanza nella storia dei veicoli a quattro ruote.
E naturalmente facevano capitolo a sé le formidabili Porsche boxer. A partire dagli anni Ottanta però il raffreddamento ad aria ha perso talmente favore da scomparire ben presto dalla scena.

Nelle moto la storia è andata diversamente; alla fine il raffreddamento ad acqua si è imposto, ma solo per le realizzazioni di potenza specifica elevata che da circa trent’anni dominano la scena. Numerose naked, classic style bikes e custom sono però tuttora raffreddate ad aria (sistema più semplice e meno costoso), per non parlare dei milioni di moto di piccola cilindrata costruite ogni anno in India e in Cina.

Tra i modelli di serie, negli anni Settanta hanno impiegato la refrigerazione ad acqua dapprima la Suzuki, per la sua tricilindrica 750 GT a due tempi, e quindi la Honda, per la GL 1000 Gold Wing dotata di motore a quattro cilindri contrapposti e successivamente per la bicilindrica CX 500.

Il decennio seguente ha visto l’affermazione definitiva, sui modelli più performanti, delle teste a quattro valvole per cilindro e del raffreddamento ad acqua (con l’unica eccezione delle Suzuki, che hanno impiegato un sistema misto aria-olio fino ai primi anni Novanta).
Pure nelle piccole cilindrate sportive, ove dominavano i due tempi, dopo qualche importante esempio di 125 con circolazione a termosifone (Zundapp), sui modelli di alta potenza specifica il raffreddamento ad acqua si è imposto definitivamente, con moderni circuiti dotati di pompa centrifuga.
Come avevano dimostrato le moto da competizione, grazie a questo tipo di refrigerazione i rischi di distorsioni venivano minimizzati e il grippaggio non costituiva più un pericolo; nell’impiego agonistico inoltre non si partiva più con una certa potenza per arrivare a fine gara con un’altra…

 

La Suzuki è stata l’ultima casa giapponese a passare al raffreddamento ad acqua (già da tempo adottato dagli altri costruttori) per le sue quadricilindriche di alte prestazioni. L’immagine si riferisce al GSX-R 750 W del 1992
La Suzuki è stata l’ultima casa giapponese a passare al raffreddamento ad acqua (già da tempo adottato dagli altri costruttori) per le sue quadricilindriche di alte prestazioni. L’immagine si riferisce al GSX-R 750 W del 1992

È interessante osservare che, dopo essersi affermato sui quadricilindrici (ove era anche vantaggioso ai fini della compattezza, in quanto consentiva l’adozione di interassi tra le canne molto ridotti), il raffreddamento ad acqua è stato adottato pure sui motori con due cilindri e perfino sui mono.
Oltre a consentire una riduzione delle temperature, esso permetteva una notevole uniformità nella loro distribuzione. Molto importante era il fatto che il liquido refrigerante poteva raggiungere direttamente certe zone critiche, nelle quali l’aria non sarebbe mai potuta arrivare.

Insomma, tanto al di sopra di una certa potenza specifica quanto in presenza di distribuzioni a quattro valvole per cilindro con angoli tra le valvole molto contenuti, la refrigerazione ad acqua diventava d’obbligo! Molto importante era poi la possibilità di ottenere un buon controllo termico del motore, indipendentemente dalle condizioni di impiego del veicolo. Non importava più infatti che si procedesse a velocità elevata o modesta, che si fosse nel traffico cittadino o in autostrada…

In contrapposizione a quello ad aria spesso si parla di raffreddamento a liquido. In questo secondo caso in effetti, se tralasciamo i pochi esempi di raffreddamento misto (o addirittura ad olio), il fluido che asporta il calore dalla testa e dal cilindro nei motori di serie è una miscela di acqua demineralizzata e glicol etilenico o propilenico (più piccole quantità di additivi anticorrosione).
Nei motori da corsa si impiega però solo acqua e ciò per due motivi. Il primo è legato alla sicurezza: in caso di caduta o di incidente, se avviene una perdita dal circuito di raffreddamento sull’asfalto finisce dell’acqua e non un liquido più “scivoloso”. Inoltre il miglior fluido che si può impiegare per ottenere una vigorosa asportazione di calore con successivo trasporto e infine con cessione all’aria (nel radiatore) è proprio l’acqua, che possiede un calore specifico, una conduttività, una densità e una viscosità ideali per questo tipo di utilizzazione.
 

Leggi anche:

Raffreddare i motori (Prima parte)

Via il calore: raffreddare i motori (Seconda parte)

Raffreddamento: asportare il calore (Terza parte)

Quali alette ci metto? Il raffreddamento (Quarta parte)

Un buon raffreddamento per tanti cavalli (Quinta parte)