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La 50esima edizione dell’EICMA milanese si tenne dal 21 al 29 novembre del 1987, nei padiglioni della vecchia Fiera di Milano, in alternanza biennale con l’altrettanto importante IFMA di Colonia. Ma in quegli anni si tenevano anche altri importanti Saloni/eventi internazionali di una certa importanza, dove i vari costruttori giudicavano fondamentale presentare novità di spessore: e quell’anno toccò al NEC di Birmingham l’onore di iniziare la saga dei Saloni autunnali, sfoggiando alcune importanti new entry giapponesi, mentre le case italiane erano praticamente assenti.
E prima di Milano arrivarono anche Tokio e Parigi a togliere un po’ di suspence a quello che si sarebbe visto al nostro EICMA, a sua volta seguito il mese successivo da quella che allora era una formidabile kermesse motoristica, ovvero il Motor Show bolognese.
Il Salone milanese tuttavia fece ancora valere la sua importanza, con i suoi 32.000 mq di superficie espositiva che lo confermavano come la più importante vetrina motociclistica internazionale dell’anno, che si teneva in 5 padiglioni con almeno 1000 espositori in rappresentanza di 23 Paesi, Italia compresa. Il tutto accompagnato da numerose iniziative ed eventi collaterali. Andando a spulciare i notiziari di allora, troviamo che i biglietti costavano 10.000 lire (che scendevano a sole 4.000 lire per le comitive).
Ma le vere novità dell’effervescente Aprilia erano altre, a partire dalle due piccole ed eleganti custom Red Rose, la 50 e la 125 – quest’ultima con ruota posteriore lenticolare – entrambe monocilindriche a 2 tempi, con aspirazione lamellare e valvola Rave allo scarico. La 125 aveva ben 26 cv, superava i 130 orari e costava 4.600.000 lire (3.290.000 la 50 con avviamento elettrico).
Salendo di cilindrata, ecco le ambiziose gemelle Tuareg Wind 350 e 600, comode, potenti e veloci monocilindriche prettamente rally-style, con motori Rotax da 33 e 46 cv, ruote da 21” e 17” davanti e dietro, e forcelle a steli rovesciati.
Il compianto Diego Bosis (uno dei nostri migliori trialisti di sempre, purtroppo scomparso nel febbraio 2012), nell’87 fu campione italiano e vice-campione iridato con l’Aprilia TXR 312. Moto dalla quale ovviamente vennero trasferiti sul modello di serie gli interventi alla ciclistica (ma in parte anche al motore e al design) che Diego aveva voluto per la sua moto, creando di fatto la nuova TXR312M: 83,5 kg di stazza e 4.790.000 lire dal concessionario.
Era una racer ideata dallo stesso ingegner Martini attorno al motore a 5 valvole per cilindro della Yamaha FZ750, dotato però di iniezione elettronica Bimota/Weber, e con 135 cv effettivi. Un titolo che non aveva valenza iridata bensì europea (il vero mondiale Superbike iniziò proprio l’anno seguente), ma che Virginio si aggiudicò battendo nientemeno che il leggendario Joey Dunlop (vincitore dei precedenti 5 titoli consecutivi), sulla formidabile Honda RVF750. Ecco dunque che al Salone milanese debuttò la versione stradale della YB4 i.e., 121 cv dichiarati, prezzo di 28.500.000 lire, contro i 38.500.000 della versione R da competizione.
Alla 750 venne però affiancata anche la YB6 1000, motorizzata FZR da 998 cc, con 140 cv per 180 kg a secco dichiarati, per una velocità di 270 km/h. Prezzo: 24.346.000 lire.
La Ducati 851 venne presentata in due versioni, con l’inconfondibile livrea tricolore: la stradale - che vantava 105 cv a 9.000 giri e 8,7 kgm di coppia a 8.000 - montava cerchi da 16” e sarebbe costata circa 19.800.000 lire; mentre per la versione Kit, che invece montava entrambi i cerchi da 17”, si parlava di quasi 23.500.000 lire.
Nuova, anche se certamente molto meno eclatante, anche la sportiva 750 F1 Santamonica, nuova versione della F1 dopo la costosa e rara Montjuic dell’86 (creata per celebrare la vittoria ottenuta nella 24 Ore del Montjuic nel 1983) e la Laguna Seca, stavolta celebrativa della vittoria di Lucchinelli, nel 1986, nella Battle of The Twins, sul mitico circuito californiano, e costruita in soli 200 esemplari. Idem per la Santamonica, a sua volta celebrativa della vittoria di Lucky, guarda caso, sull’omonimo circuito della riviera romagnola, oggi intitolato a Marco Simoncelli. Anche in questo caso, dunque, si parla del noto bicilindrico Desmo raffreddato ad aria, alimentato da una coppia di carburatori Dell’Orto da 40 mm, con telaio a traliccio e ruote da 16 pollici. La Ducati F1 Santamonica costava poco meno di 14.500.000 lire.
Anch’esso inglobato nel Cagiva Group, anche l’altro celebre Marchio bolognese, Moto Morini, mostrava alcune inedite novità. A partire dalla New York 500, una bella custom bicilindrica: derivata dalla Excalibur (350 e 501), e naturalmente spinta dall’ottimo V di 72°, la nuova custom bolognese montava una ruota anteriore a raggi da 19” e una posteriore lenticolare da 16”. Chiaramente ispirata alle Harley Softail Custom, pesava però solo 165 kg.
Ma c’era anche una nuova, interessante sportiva Moto Morini, ad attirare l’attenzione degli appassionati al mega-stand del Cagiva Group: si chiamava Dart 350, e attorno ad una ciclistica inedita che ingabbiava il celebre motore Morini V2 ad aste e bilancieri, sfoggiava una carrozzeria già nota: quella della Cagiva Freccia C9, la mitica 125 a due tempi, con la ruota anteriore quasi completamente coperta da un parafango decisamente molto aerodinamico. Il prezzo della interessante Dart sarebbe stato di circa 6.500.000 lire.
Passando al mondo del semi-tassellato, ecco anche le nuove Coguaro, anche in questo caso versioni improntate alla moda Rally delle precedenti Kanguro 350 e Camel 501, con motori rispettivamente da 35,5 e 43 cv e velocità massime di 145 e 165 km/h.
Pochi gli esemplari arrivati in Italia il primo anno, e naturalmente subito andati a ruba, nonostante il prezzo di circa 20 milioni di lire. Quanto all’ottima sorellina VFR750F, la seconda serie fu oggetto di un discreto restyling e acquisì le ruote da 17” (anziché 16 davanti e 18 dietro) e sospensioni con tarature modificate.
Ma in Honda quell’anno non tralasciarono nulla per stupire gli appassionati, offrendo altre nuove proposte di notevole rilievo. A partire dalla già leggendaria ammiraglia Gold Wing, della quale comparì la stupefacente, faraonica versione GLX con motore boxer da 1.500 di cilindrata, con un centinaio di cavalli, frenata integrale, cruise control, retromarcia e svariati altri gadget per la gioia dei superturisti facoltosi. Prezzo: sui 23.500.000 lire. Ecco inoltre, l’inedita custom VT Shadow 1100C con motore V2 di 45°, cambio a 4 marce e trasmissione finale ad albero. Ma anche l’interessante NTV650 (nota anche come Revere), una bella naked bicilindrica col noto motore (di derivazione Transalp) V2 a 52° da 650 cc raffreddato a liquido, con 3 valvole per cilindro e doppia accensione, trasmissione ad albero, e telaio perimetrale a doppia culla aperta. Il prezzo sarebbe stato di poco inferiore agli 8 milioni di lire.
Altre due carte di gran peso, però con ruote moderatamente tassellate, apparvero a Milano in quel novembre di 26 anni fa. Furono la mitica, curatissima Africa Twin 650 (modello RD03) - con motore V2 a 52° e trasmissione a catena, ma con teste a tre valvole per cilindro e potenza di 57 cv, chiaramente ispirata alle velocissime NXR 750 ufficiali da Rally e destinata diventare un’altra leggenda, ancor oggi la si incontra frequentemente in giro per le strade, con gran soddisfazione dei numerosi proprietari. Anch’essa con una livrea di ispirazione HRC, l’RD03 aveva carena completa, paramotore in alluminio, sospensioni a lunga escursione. E costava parecchio: ben 9.300.000 lire.
L’altra novità on-off di buon successo fu la NX 650 Dominator, agile e divertentissima enduro stradale sportiva con motore monocilindrico a 4 valvole radiali e due freni a disco. Prezzo: 7.400.000 lire circa.
Honda Italia aveva invece preparato la piccante NSR125R, sigla importante (la stessa delle Honda da GP) per una snella naked sportiva che sfoggiava un notevole telaio composito in alluminio pressofuso, con sotto un compatto monocilindrico da 125 cc raffreddato a liquido, addirittura con valvola RC sullo scarico e ben 31 cv dichiarati. Il prezzo annunciato era di 4.300.000 lire.
E passando agli scooter, che dire del CN250? In Giappone esisteva l’ottimo Spacy di pari cilindrata, sofisticatissimo ma, chissà perché, mai importato ufficialmente in Italia. Ma quando Honda decise che era giunto il momento di stupire anche in quel segmento scooter che stava iniziando a diventare sempre più importante, ecco arrivare il CN, che curiosamente in Giappone venne però chiamato “Spazzio”, proprio con doppia Z!
Per questa sorta di confortevole sedia a sdraio su due ruote con ampio bagagliaio posteriore incorporato, cruscotto full-digital e motore automatico monocilindrico da 21 cv raffreddato a liquido, fu subito un successone, seppur con un prezzo di poco inferiore ai 6 milioni.
Ma la vera sorpresa fu una sportiva da 350 cc dall’estetica magari un po’ goffa, ma al passo con i tempi, ovvero con la carrozzeria quasi tutta “chiusa”, ma in questo caso a incorniciare i due cilindri sporgenti dalla carenatura. La moto si chiamava Falco 350, e montava una inedita versione con distribuzione monoalbero centrale a 4 valvole per cilindro azionate da cinghie dentate anteriori, del noto V2 trasversale “piccolo”, chiaramente sempre dotato di trasmissione finale ad albero. Proposta davvero interessante per quei tempi, la Falco montava ruote da 16” ed era accreditata di una velocità di 170 km/h, con un peso di 179 kg. Sebbene fossero stati perfino dichiarati prezzo e tempi di consegna ai concessionari (6.900.000 lire, consegne a maggio 1988), questa moto non ebbe futuro, se non al Museo Moto Guzzi di Mandello del Lario.
Quanto alla famiglia delle enduro stradali NTX, 350 e 650, ad EICMA 1987 si arricchì con la nuova 750, che rispetto alle altre era completamente carenata stile rally, con forcella Marzocchi, ammortizzatori idropneumatici e ruote da 21” davanti e 18” dietro. Il prezzo annunciato era di 7.800.000 lire.
Comunque sia, l’ex Vespa, che venne profondamente ristilizzata lavorando in galleria del vento, manteneva logicamente la scocca portante in lamiera e il vano per la ruota di scorta sotto la “chiappa” sinistra, aveva un nuovo cruscotto e sotto la sella nascondeva un inedito vano per ospitare un casco. Ma aveva anche molti particolari in plastica, forse per risparmiare sul prezzo finale, che comunque era alto rispetto alla concorrenza. Quanto all’impianto frenante, fermo restante il pedale sulla pedana destra, i due tamburi erano addirittura azionati idraulicamente e con azione combinata, con ripartitore di pressione tra anteriore e posteriore. Le gomme inoltre erano di maggior sezione. I motori – sempre a due tempi, da 125, 150 e 200 di cilindrata – erano stati oggetto di interventi alle curve di erogazione lavorando anche sulle camere di scoppio, e le candele erano state sistemate in modo da poterle raggiungere più facilmente. I prezzi andavano da 2.950.0000 a 3.650.000 lire, con avviamento elettrico e lubrificazione separata come optional. In molti arricciarono il naso, al cospetto della Cosa, più che altro per via del nuovo nome, decisamente infelice. Tuttavia, a fine ’88 il mercato premiò la nuova arrivata, che risultò lo scooter più venduto in tutte e tre le cilindrate nell’ordine. Fu un successo relativo, però, perché i vespisti doc non perdonarono quello che ritennero un vero tradimento. La Cosa, quindi, rimase in produzione solo per tre anni.
Proprio nel 1987, il Gruppo Piaggio aveva rilevato il famoso marchio austriaco Puch dai celebri fratelli bergamaschi Luigi e Piero Frigerio: una coppia di tecnici che ancor oggi è una vera istituzione nel mondo del fuoristrada, attivi come F.P.M. non solo a livello di restauro e ricambi originali di Puch e Gilera, ma anche al seguito di svariati campioncini del minicross. Dunque, proprio col marchio Puch-FPM, a Milano vennero presentate anche alcune nuove enduro, tutte con motori Rotax: la leggera 125 replay stile rally e le F7 125 e 250 da “regolarità”, tutte con motori a 2 tempi, e la nuova 350 Corsa con motore 4T.
Mentre col glorioso marchio Gilera, allora ancora piuttosto in auge, venne presentata una serie interessanti novità. A partire dalla bellissima Saturno Bialbero 500, monocilindrica sportiva semicarenata che in realtà era stata commissionata da una società giapponese per il mercato interno, molto ricettivo verso moto del genere. Rigorosamente tutta rossa, la Saturno era una monoposto da leccarsi i baffi, con un bel telaio in tubi d’acciaio che ospitava il motore dell’enduro stradale Dakota 500, con 44 cv. Per la Bialbero venivano dichiarati un peso a secco di soli 135 kg, ed una velocità massima di 180 km/h.
In quegli anni le 125 a due tempi erano ancora al top, sicché Gilera, dopo il trionfo delle KZ e KK, presentò a Milano la bellissima MX-1, moto completamente nuova, con telaio a doppio trave e forcellone in acciaio, e motore con nuova valvola APTS 2 sullo scarico e 28 cv all’attivo. Il tutto vestito con una bella carrozzeria di nuovo disegno, e col serbatoio carburante sotto la sella, mentre il finto serbatoio fungeva da vano portaoggetti, e poteva contenere un casco. Il prezzo era di 4.750.000 lire, avviamento elettrico a parte.
Ma anche in campo on-off l’allora Casa di Arcore sfoderò tre nuove chicche. In ordine decrescente, ecco la bella XRT600 enduro stradale decisamente più “rallistica” ed aggressiva delle note Dakota, con carenatura “beccuta” e con sotto un monocilindrico bialbero a 4 valvole da 570 con in corpo 47 cv, per una velocità massima di 165 km/h. Prezzo: 7.350.000 lire. La XRT 600 (più avanti seguita dalla gemella 350) aveva però anche una sorellina, praticamente identica ma con motore a 2 tempi da 125 cc da 27,5 cv e addirittura forcella a steli rovesciati (che la XRT non aveva): era la nuova XR-1, che costava 4.280.000 lire, anche qui con avviamento elettrico optional. Ma c’era anche la R1, altra elegante 125 “rally style” con strumentazione dotata anche di trip e, naturalmente, motore a 2 tempi (4.125.000, più avviamento elettrico).
E per i fan dei rally vissuti di persona, ecco l’interessante RC600, enduro specialistica praticamente gemella della R1 125, ma ovviamente del sopra citato motore da 570 cc effettivi, e un peso dichiarato di soli 140 kg. Da essa sarebbe poi nata la bella RC600 standard.
Suzuki
La nuova GSX1100F arrivò al Salone milanese dopo la presentazione dinamica alla stampa sul temibilissimo circuito di Salisburgo. Bella moto, per grandi viaggi comodi e veloci anche in coppia e a pieno carico, la nuova maxi Suzuki era definibile come “sport-tourer”, e spiccava per il suo inedito plexiglas regolabile elettricamente, azionato da una curiosa “catena” costituita da palline di plastica (non in vista, naturalmente). La GSX1100F aveva un nuovo telaio in acciaio, e godeva di generoso motorone “4 in linea” derivato dalla supersportiva 1100R, che contava su ben 136 cv, per una velocità massima dichiarata di circa 250 km/h. Il prezzo era di 13.000.000 di lire.
La sorpresa più gradita dagli smanettoni fu però la nuova GSX-R750, replica della dominatrice del Mondiale Endurance col mitico Team francese SERT, a tutt’oggi 13 volte iridato, 2013 compreso. Totalmente rivoluzionata rispetto alla progenitrice lanciata nell’85, la nuova race replica Suzuki aveva un telaio in alluminio riprogettata ex-novo, con ruote da 17”. Il 4 cilindri con raffreddamento SACS ad aria ed olio aveva una potenza salita a 112 cv a 11.000 giri. Il prezzo di questa appetitosa supersportiva era di 13.500.000 lire. Anche la GSX-R l’avevamo provata prima del Salone di Milano, sul velocissimo circuito privato di Ryuyo, assieme ad un’altra novità di minor cilindrata: era la sport-tourer GSX600F, anche in questo caso con carrozzeria completamente avvolgente (con due finestre laterali di sfogo per il calore). Anche il suo motore era un quadricilindrico a 16 valvole raffreddato ad aria e olio, con potenza di 86 cv per una velocità di circa 230 orari. Prezzo 9.800.000 lire.
Ma non era tutto: anche Suzuki sfoderò a Milano una proposta interessante per gli amanti dell’enduro stradale. Per la recisione, si trattava della monocilindrica più grossa del mondo, ovvero la mitica DR750 Big, che fu anche la prima moto – assieme alle Gilera XRT e XR1 - a sfoggiare un “becco” pronunciato sotto al faro anteriore. La nuova maxi DR (che due anni dopo divenne nominalmente “800” con cilindrata salita da 727 a 779 cc, mentre la potenza aumentò da 52 a 54 cv a 6.600 giri, e la coppia da 5,9 kgm/5.500 giri a 6,3 kgm/5.400 giri) derivava dalla magnifica racer DR-Z ufficiale che debuttò alla Parigi-Algeri-Dakar del 1988, piazzandosi ottava con Giampiero Findanno e nona con Gaston Rahier, mentre il belga Huynen ed il francese Boudou si ritirarono. Il prezzo della maxi enduro Suzuki fu fissato in 7.380.000 lire.
Yamaha
La Casa di Iwata non stupì certo il mondo con eclatanti novità super-prestazionali, ad EICMA ’87, dedicandosi principalmente alle medie e piccole cilindrate. A partire dalla carinissima Virago XV535, replica in minor della omologa 1000, dotata di un piacevole motore V-twin raffreddato ad aria da 48 cv a 7.500 giri, e con serbatoio sotto la sella, per la massima facilità di guida, anche perché oltretutto pesava solo 178 kg a secco. Il suo prezzo era di 6.700.000 lire. La piacevolissima custom Yamaha non fece faville nel 1988, anche perché i numeri di vendita delle custom (una per l’altra) in quel periodo erano ben lontani dall’essere a 4 cifre: pensate che la classifica delle prime 10 a fine anno vedeva in testa la Honda VT500C (468 esemplari immatricolati), seguita dalle Moto Guzzi V35 e V65 Florida, e dalla Moto Morini Excalibur 350. La XV535 figurava quinta con 266 unità vendute, seguita da Honda CMX450 e VF750C, Suzuki Intruder 750 e, fanalino di coda, Kawasaki LTD 450 (147). Il fenomeno Harley, evidentemente, stava ancora maturando.
A Milano Yamaha esordì anche nel segmento delle 125 sportive, anche se un pochino sottotono – anche a livello di dimensionamento - rispetto alle numerose concorrenti: la TRZ125, costruita in Spagna, montava un motore Minarelli con 27 cv dichiarati a 10.250 giri, con valvola YPVS sullo scarico e cambio a 6 marce, ma senza avviamento elettrico. Il telaio era tipo Deltabox in acciaio, con sospensione posteriore Monocross e freno a tamburo posteriore. Secondo la scheda tecnica, però, pesava solo 108 kg a secco. Prezzo: 4.200.000 lire. Decisamente più intrigante la inedita TDR250, brillantissima bicilindrica a 2 tempi fronte marcia col motore derivato dalla sportiva TZR! Con 45 cavallini in corpo, un peso di soli 135 kg a secco, un generoso disco anteriore da 320 mm e un’estetica da on-off stradale (due espansioni alte sotto al codino, ruote a raggi e gomme semi-tassellate da 18” e 17” davanti e dietro), la grintosa TDR costava poco più di 6.000.000, e ne sarebbero stati importati meno di 500 esemplari.
Quanto alla mitica XT600Z Ténéré, a Milano esordì la versione semicarenata e dotata di freno posteriore a disco, con il motore rivisitato nella parte termica e nella lubrificazione. Il prezzo era di 7.240.000 lire.
Guida dunque il gruppone l’Aprilia AF1, al comando con 5.069 immatricolazioni, ma con in scia la Cagiva Freccia (4.919). Terza fu la Honda NSR (che comunque era Made in Italy, 3.831).
Quarta e quinta erano invece due moto appartenenti ad un altro segmento molto trendy, ovvero quello delle entro-fuoristrada monocilindriche a 4 tempi: la Yamaha XT600 (3.686) e la nuova Honda Dominator (3.057). Altri tre mostriciattoli a 2 tempi - le “tassellate” Aprilia Wind ed ETX, accomunate nella stessa casella con 2.962 esemplari, e la sportiva Gilera MX1 (2.863) - precedevano la mitica Yamaha Ténéré e la Suzuki DR600 Djebel, rispettivamente con 2.808 e 2.319 pezzi venduti. Decima figurava l’endurina Cagiva 125 Cruiser (nome un po’ fuorviante per una enduro stradale…), con 2.167 vendite al suo attivo.
Per sveltire la chiacchierata, diciamo che la seconda decade di moto più vendute nel 1987 inizia con i 2.144 esemplari venduti delle Honda XL600 (RM ed LM) e termina con i 1.419 del piccolo missile sportivo Gilera 125 KZ e KK. Tra di esse troviamo la mitica Honda Africa Twin 650, l’apprezzatissima sorellina Transalp 600, un’altra quadriglia di “125” - Gilera RX1, Honda MTX, Gilera R1 e la stradale Honda NS – e poi la leggendaria Honda VFR750, le Kawasaki KLR 600/650.
Il terzo scaglione di preferenze dei motociclisti italici inizia e termina con due Suzuki: l’ambiziosa maxi-enduro Suzuki DR750 Big, con 1.218 pezzi immatricolati, e la supersportiva GSX-R750 (776). Tra di esse troviamo Honda CBR600, Aprilia Tuareg Rally 125 e Wind/ETX 340 4T, Yamaha DT125, KTM250 D/AI, Fantic Motor Trial 240, Honda XR600R, e le BMW R80/R100 GS accomunate in un’unica casella.
La Gilera Arizona/RX200 (761) e la sportiva Honda CBR1000F (548) sono agli estremi della quarta decade di best seller del 1988. Tra di esse figurano Yamaha FZR1000, Honda XL125, BMW K100, Yamaha TT600, Kawasaki 1000 ZX-10, Beta trial 261 B3, KTM GS125 D/HI e Kawasaki GPX750. L’Hit Parade con le ultime dieci classificate nell’88 è costituita dall’interessante Honda Nighthawk 650 (531 moto immatricolate) seguita dalle BMW K75 e Kawasaki GPX600, dalla piccola cruiser Cagiva Blues 125, e dalle Honda VT500, Cagiva Aletta Oro125, Moto Guzzi V35 Florida, l’enduro Cagiva 350 T4, la Gilera Rally 125 e la custom Aprilia Red Rose 125 (437 esemplari immatricolati).
Scooter
Quanto ai “ruote basse” (allora la maggior parte degli scooter venduti in Italia lo erano), la classifica di fine anno glorificava nettamente la Piaggio, il cui modello più controverso di sempre, la neonata e famigerata Cosa, occupava comunque il podio di un mercato in forte fase di espansione con tutte e tre le cilindrate disponibili: capeggiava la 125, con ben 3.978 esemplari, seguita dalla 150 (3.012) e dalla 200 (1.739), davanti alle Vespa PX 125 (1.594) e PK 125 (665). Non abbiamo trovato un elenco completo di questo segmento, ma sappiamo che dell’allora fantascientifico Honda CN250 (destinato in seguito ad una ben più ampia diffusione) nel 1988 vennero venduti 360 pezzi, mentre furono venduti 108 Peugeot Metropolis SL80 e 76 Benelli 125.