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Una delle classiche discussioni fra appassionati quando si discute di moto che hanno aperto un'era, e che finisce inevitabilmente per mettere a confronto l'oggi con il passato, riguarda la qualità delle novità presentate. Quando scriviamo di un nuovo modello capita a volte di leggere dei commenti che non si limitano all'oggi ma ricordano con nostalgia altre moto che hanno suscitato parecchio scalpore quando vennero presentate.
Dato per scontato che le moto di oggi vanno meglio di quelle di ieri, resta il dubbio che non sempre riescano a trasmetterne certe emozioni allo stesso modo.
Visto che fra pochi giorni aprirà Eicma 2016, ci è sembrata l'occasione giusta per guardare nel retrovisore. Per questo vi proponiamo qui sotto l'articolo scritto dal nostro Maurizio Tanca qualche anno fa e che prendeva in esame il Salone di Milano numero 50, quello del 1987 che seguiva i saloni omologhi di Birmingham, Tokio e Parigi e nel quale furono molte e importanti le novità introdotte in vista del 1988.
La 50esima edizione dell’EICMA milanese si tenne dal 21 al 29 novembre del 1987, nei padiglioni della vecchia Fiera di Milano, in alternanza biennale con l’altrettanto importante IFMA di Colonia. Ma in quegli anni si tenevano anche altri importanti Saloni/eventi internazionali di una certa importanza, dove i vari costruttori giudicavano fondamentale presentare novità di spessore: e quell’anno toccò al NEC di Birmingham l’onore di iniziare la saga dei Saloni autunnali, sfoggiando alcune importanti new entry giapponesi, mentre le case italiane erano praticamente assenti.
E prima di Milano arrivarono anche Tokio e Parigi a togliere un po’ di suspence a quello che si sarebbe visto al nostro EICMA, a sua volta seguito il mese successivo da quella che allora era una formidabile kermesse motoristica, ovvero il Motor Show bolognese.
Il Salone milanese tuttavia fece ancora valere la sua importanza, con i suoi 32.000 mq di superficie espositiva che lo confermavano come la più importante vetrina motociclistica internazionale dell’anno, che si teneva in 5 padiglioni con almeno 1000 espositori in rappresentanza di 23 Paesi, Italia compresa. Il tutto accompagnato da numerose iniziative ed eventi collaterali. Andando a spulciare i notiziari di allora, troviamo che i biglietti costavano 10.000 lire (che scendevano a sole 4.000 lire per le comitive).
La seconda metà degli anni 80 non fu un periodo esaltante per il mercato motociclistico italiano, anche se certamente i costruttori oggi farebbero le classiche “carte false” per arrivare a fine 2013 ad immatricolare oltre 200.000 veicoli come fu nel 1985, che chiuse a quota 204.845 (ricordiamo che il bilancio a tutto settembre 2013 è di 132.755 immatricolazioni tra moto e scooter…). Tuttavia, il trend in quel periodo era in netta picchiata, tant’è che le immatricolazioni arrivarono progressivamente a dimezzarsi nell’arco di un triennio: 168.986 (145.206 moto e 59.639 scooter) nel 1986, 116.831 (133.026/35.960)nell’87, e soli 110.374 (97.049/13.325) nell’88. Interessante notare che, sempre nell’88, il mercato motociclistico era quasi equamente diviso tra strada (52,3%) e fuoristrada (47,7%), quest’ultimo ovviamente comprendente soprattutto le diffusissime enduro stradali. Il tutto con una percentuale del 51,1% a favore delle Case giapponesi, per il 43,4% per le italiane, ed il 5,5% composto da veicoli di altri Paesi.
Ma vediamo la situazione per marche, elencandone in ordine decrescente i numeri di vendita e la fetta di mercato relativo, sempre facendo riferimento al 1988 rispetto all’87.
1 – Honda: il maggiore costruttore giapponese capeggiava la classifica generale di vendite a tutto il 1988 con 24.315 moto immatricolate – ovvero 993 più dell’anno precedente (+2,5%) – corrispondenti dunque al 25% del venduto totale (22,5% l’anno prima).
2 –Yamaha: seconda, ben distanziata, nel 1988 vendette solo 147 moto in più (+1,1%, quindi), passando da 13.328 a 13.475, ma tuttavia portando la sua fetta di mercato dal 12,9 al 13,%.
3 – Aprilia: completò il podio virtuale (con 11.449 veicoli venduti, ben 2.982 meno dell’anno precedente, pari a -20,7%), nonostante avesse concluso il 1988 col segno meno” davanti.
Seguivano nell’ordine:
Cagiva:11.032 (+16,1%); Gilera:10.817 (-27,3%); Suzuki: 7.288 (+17,1%); Kawasaki: 4.580 (- 8,1%); Moto Guzzi: 2.639 (-28,5%); BMW: 2.215 (-16,4%); KTM: 2.107 (+8,3%); Fantic Motor: 1.684 (-7,3%); Betamotor: 878 (-1,2%); Ducati: 723 (-3,5%); Agrati-Garelli: 641 (-36,3%); Moto Morini: 582 (-17%); Husqvarna: 490 (-2,4%); Laverda: 447 (-44,5%); Montesa: 231 (-20,1%);TM: 227 (+62%); Benelli: 170 (+9,3%).
A dispetto del marcato in fase calante, tuttavia, la 50esima edizione dell’EICMA fu un vero brulicare di novità di ogni tipo e cilindrata, scooter e cinquantini compresi. Proposte, anche di gran rilievo, da tantissimi costruttori, molti dei quali purtroppo hanno chiuso i battenti più o meno recentemente. Difficile, in questa sede, parlare con dovizia di particolari di ognuna delle novità apparse in quel mese di novembre, ma che quantomeno meritano una citazione, non fosse altro che per risvegliare in qualche lettore un amarcord più o meno denso di significato verso un mezzo posseduto oltre vent’anni addietro. E, come sempre, partiamo da Aprilia.
A Noale si lavorava parecchio con le piccole cilindrate, negli anni 80. E nell’87 Loris Reggiani aveva corso un’eccellente stagione con la ancora giovane AF1 250 bicilindrica, quella col motore Rotax bicilindrico in tandem e distribuzione a dischi rotanti, sviluppato da Dolf Van Der Woude. Loris donò a patron Ivano Beggio la prima vittoria nel motomondiale, piazzandosi inoltre 2° in Austria, Jugoslavia ed Inghilterra, 3° in Svezia, 7° in Francia ed 8° in Brasile, e chiudendo la stagione con un ottimo 6° posto e 68 punti. Vien da sé che scattò l’inevitabile effetto replica, applicato alla piccola sportiva AF1 125 Project 108, colorata come la sorella maggiore da corsa, e commercializzata a 4.750.000 lire su strada, più altre 300.000 per l’avviamento elettrico opzionale.
Ma le vere novità dell’effervescente Aprilia erano altre, a partire dalle due piccole ed eleganti custom Red Rose, la 50 e la 125 – quest’ultima con ruota posteriore lenticolare – entrambe monocilindriche a 2 tempi, con aspirazione lamellare e valvola Rave allo scarico. La 125 aveva ben 26 cv, superava i 130 orari e costava 4.600.000 lire (3.290.000 la 50 con avviamento elettrico).
Salendo di cilindrata, ecco le ambiziose gemelle Tuareg Wind 350 e 600, comode, potenti e veloci monocilindriche prettamente rally-style, con motori Rotax da 33 e 46 cv, ruote da 21” e 17” davanti e dietro, e forcelle a steli rovesciati.
Il compianto Diego Bosis (uno dei nostri migliori trialisti di sempre, purtroppo scomparso nel febbraio 2012), nell’87 fu campione italiano e vice-campione iridato con l’Aprilia TXR 312. Moto dalla quale ovviamente vennero trasferiti sul modello di serie gli interventi alla ciclistica (ma in parte anche al motore e al design) che Diego aveva voluto per la sua moto, creando di fatto la nuova TXR312M: 83,5 kg di stazza e 4.790.000 lire dal concessionario.
La Casa pesarese presentò una bella sportiva con motore a 2 tempi da 125 cc. E le diede il nome di Jarno, da Jarno Saarinen, il leggendario pilota/ingegnere scomparso a Monza nel 1973 assieme a Renzo Pasolini. L’abbinamento della piccola Benelli con il grande campione finlandese non fu peraltro casuale: nel 1972, infatti, Jarno aveva partecipato al GP di Pesaro, allestito nella zona industriale di Villa Fastiggi, correndo in tre classi, e conquistando tre vittorie: con la sua Yamaha TD2B nella 250, e con le Benelli ufficiali 350 e 500 quadricilindriche (mai salito prima su una moto a 4 tempi…) provate per pochi giri solo qualche giorno prima a Modena, e battendo in entrambi i casi – tra l’altro con uno scarico rotto, nella 350 - Giacomo Agostini e le MV Agusta.
La Jarno 125, che sfoggiava una carrozzeria completamente chiusa, secondo la tendenza dell’epoca (Cagiva Freccia, Gilera MX1…), era accreditata di 26,5 cv a 9.000 giri. Prezzo indicativo: 4.600.000 lire. Ma a Pesaro si ragionava anche coi tasselli, sebbene moderati, visto che oltre alla Jarno apparve anche la BKX 125, enduro stradale abbondantemente carenata con motore (sempre 2T, naturalmente) da 24 cv. Prezzo: circa 4.400.000 lire.
All’EICMA ’87 la Casa riminese, allora guidata da Giuseppe Morri con la direzione tecnica di Federico Martini, era fresca del titolo della categoria F1 conquistato da Virginio Ferrari in sella alla bellissima YB4 i.e.
Era una racer ideata dallo stesso ingegner Martini attorno al motore a 5 valvole per cilindro della Yamaha FZ750, dotato però di iniezione elettronica Bimota/Weber, e con 135 cv effettivi. Un titolo che non aveva valenza iridata bensì europea (il vero mondiale Superbike iniziò proprio l’anno seguente), ma che Virginio si aggiudicò battendo nientemeno che il leggendario Joey Dunlop (vincitore dei precedenti 5 titoli consecutivi), sulla formidabile Honda RVF750. Ecco dunque che al Salone milanese debuttò la versione stradale della YB4 i.e., 121 cv dichiarati, prezzo di 28.500.000 lire, contro i 38.500.000 della versione R da competizione.
Alla 750 venne però affiancata anche la YB6 1000, motorizzata FZR da 998 cc, con 140 cv per 180 kg a secco dichiarati, per una velocità di 270 km/h. Prezzo: 24.346.000 lire.
Le due novità più piccanti della casa bavarese furono (guarda un po’…) le due nuove varianti della già gettonata R80G/S, che veniva sostituita dalle R80 ed R100 GS (senza più la barretta di divisione tra la G e la S). Nuovo motore per la 1000, dunque, sebbene volutamente linitato a 60 cv, e per entrambe telaio rinforzato, ma soprattutto l’avvento dell’inedito monobraccio Paralever, per limitare il classico beccheggio in accelerazione e rilascio. Ma anche nuove forcelle realizzate con la Marzocchi, con funzioni idrauliche (compressione ed estensione) suddivise sui due steli, e i famosi, allora inediti cerchi tubeless a raggi tangenziali. Prezzi: 10.300.000 lire per la R80, e 12.000.000 per la R100 GS.
Quanto alla gamma K, 75 e 100, fu oggetto di svariati ritocchi agli assetti e ai pesi, alleggerendo e ribassando le selle specialmente sulle versioni nude.
Il marchio varesino all’EICMA dell’87 campeggiava solo su un paio di novità: la WMX 250 da cross, dotata del nuovo motore da quasi 50 cv sviluppato durante l’anno nel mondiale da Pekka Vehkonen, e una fuoristrada un filino meno aggressiva, ma molto allettante per i giovanissimi: la Lucky Explorer 50, evidentemente ispirata alle sorellone carenate da Rally, e spinta da un sofisticato propulsore raffreddato a liquido, con tanto di forcella a steli rovesciati e sospensione posteriore progressiva monoammortizzatore. Prezzo indicativo: circa 3.000.000 di lire.
Il marchio Ducati sfoderava a Milano un vero asso nella manica, ovvero la prima nuova Ducati della gestione Castiglioni, destinata a confrontarsi più o meno ad armi pari con le pluricilindriche giapponesi: era la superba superbike stradale 851, derivata dalla moto con motore da 120 cv con cui Marco Lucchinelli pochi mesi prima aveva vinto la Battle Of The Twins a Daytona, secondo italiano (dopo Agostini nel ’74, con la Yamaha TZ700 a 4 cilindri 2T) a trionfare sul celebre ovale della Florida. Il nuovo bicilindrico ad L da 851 cc, con teste desmodromiche a 4 valvole e alimentazione a iniezione elettronica a doppio iniettore, rigorosamente montato in un bel telaio a traliccio, venne sviluppato dall’ingegner Massimo Bordi con la collaborazione della Cosworth, e con esso, dopo un paio d’anni di rodaggio (ma senza comunque sfigurare: Lucchinelli finì quinto nell’88 e Roche terzo l’anno seguente), dal 1990 iniziò un dominio, solo saltuariamente ininterrotto, di Ducati nel mondiale per derivate di serie, fino ad arrivare al titolo di Checa del 2011.
La Ducati 851 venne presentata in due versioni, con l’inconfondibile livrea tricolore: la stradale - che vantava 105 cv a 9.000 giri e 8,7 kgm di coppia a 8.000 - montava cerchi da 16” e sarebbe costata circa 19.800.000 lire; mentre per la versione Kit, che invece montava entrambi i cerchi da 17”, si parlava di quasi 23.500.000 lire.
Nuova, anche se certamente molto meno eclatante, anche la sportiva 750 F1 Santamonica, nuova versione della F1 dopo la costosa e rara Montjuic dell’86 (creata per celebrare la vittoria ottenuta nella 24 Ore del Montjuic nel 1983) e la Laguna Seca, stavolta celebrativa della vittoria di Lucchinelli, nel 1986, nella Battle of The Twins, sul mitico circuito californiano, e costruita in soli 200 esemplari. Idem per la Santamonica, a sua volta celebrativa della vittoria di Lucky, guarda caso, sull’omonimo circuito della riviera romagnola, oggi intitolato a Marco Simoncelli. Anche in questo caso, dunque, si parla del noto bicilindrico Desmo raffreddato ad aria, alimentato da una coppia di carburatori Dell’Orto da 40 mm, con telaio a traliccio e ruote da 16 pollici. La Ducati F1 Santamonica costava poco meno di 14.500.000 lire.
Anch’esso inglobato nel Cagiva Group, anche l’altro celebre Marchio bolognese, Moto Morini, mostrava alcune inedite novità. A partire dalla New York 500, una bella custom bicilindrica: derivata dalla Excalibur (350 e 501), e naturalmente spinta dall’ottimo V di 72°, la nuova custom bolognese montava una ruota anteriore a raggi da 19” e una posteriore lenticolare da 16”. Chiaramente ispirata alle Harley Softail Custom, pesava però solo 165 kg.
Ma c’era anche una nuova, interessante sportiva Moto Morini, ad attirare l’attenzione degli appassionati al mega-stand del Cagiva Group: si chiamava Dart 350, e attorno ad una ciclistica inedita che ingabbiava il celebre motore Morini V2 ad aste e bilancieri, sfoggiava una carrozzeria già nota: quella della Cagiva Freccia C9, la mitica 125 a due tempi, con la ruota anteriore quasi completamente coperta da un parafango decisamente molto aerodinamico. Il prezzo della interessante Dart sarebbe stato di circa 6.500.000 lire.
Passando al mondo del semi-tassellato, ecco anche le nuove Coguaro, anche in questo caso versioni improntate alla moda Rally delle precedenti Kanguro 350 e Camel 501, con motori rispettivamente da 35,5 e 43 cv e velocità massime di 145 e 165 km/h.
Il compianto Carlo Talamo stava lavorando sodo come importatore Harley, ufficialmente dal 29 giugno del 1984, quando venne inaugurata la sua concessionaria Numero Uno, a Milano. Pian piano le moto americane iniziarono a vedersi in giro, e nel novembre del 1987, al Salone di Milano, la novità era una Sportster. Nella fattispecie, la XLH1100 diventava 1200, cilindrata che la più “grossa” delle Sportster mantiene ancor oggi. Il suo prezzo era di 15.500.000 lire.
VFR750R, altrimenti nota come RC30. Alzi la mano chi non conosce la magnifica creatura che la Casa di Tokio fece progettare e addirittura costruire direttamente dall’HRC (della quale portava i colori) appositamente per vincere il Mondiale Superbike, cosa che peraltro riuscì subito, al primo e secondo anno (quindi nell’88 e nell’89), grazie al californiano Fred Merkel, che in F1 correva con la VFR750F... Eh sì, assieme alla Ducati 851, fu questa la moto che ipnotizzò letteralmente il pubblico dell’EICMA 1987: una raffinatissima supersportiva ispirata alla RVF fresca iridata nell’Endurance, quindi con forcellone monobraccio Pro-Arm “linkato” ad un telaio perimetrale in alluminio; e col motore V4 derivato da quello della VFR750F - con distribuzione a ingranaggi ma con bielle in titanio - con potenza di 112 cv a 11.000 giri, e con due kit eventualmente disponibili per raggiungere i 130 e 140 cv.
Pochi gli esemplari arrivati in Italia il primo anno, e naturalmente subito andati a ruba, nonostante il prezzo di circa 20 milioni di lire. Quanto all’ottima sorellina VFR750F, la seconda serie fu oggetto di un discreto restyling e acquisì le ruote da 17” (anziché 16 davanti e 18 dietro) e sospensioni con tarature modificate.
Ma in Honda quell’anno non tralasciarono nulla per stupire gli appassionati, offrendo altre nuove proposte di notevole rilievo. A partire dalla già leggendaria ammiraglia Gold Wing, della quale comparì la stupefacente, faraonica versione GLX con motore boxer da 1.500 di cilindrata, con un centinaio di cavalli, frenata integrale, cruise control, retromarcia e svariati altri gadget per la gioia dei superturisti facoltosi. Prezzo: sui 23.500.000 lire. Ecco inoltre, l’inedita custom VT Shadow 1100C con motore V2 di 45°, cambio a 4 marce e trasmissione finale ad albero. Ma anche l’interessante NTV650 (nota anche come Revere), una bella naked bicilindrica col noto motore (di derivazione Transalp) V2 a 52° da 650 cc raffreddato a liquido, con 3 valvole per cilindro e doppia accensione, trasmissione ad albero, e telaio perimetrale a doppia culla aperta. Il prezzo sarebbe stato di poco inferiore agli 8 milioni di lire.
Altre due carte di gran peso, però con ruote moderatamente tassellate, apparvero a Milano in quel novembre di 26 anni fa. Furono la mitica, curatissima Africa Twin 650 (modello RD03) - con motore V2 a 52° e trasmissione a catena, ma con teste a tre valvole per cilindro e potenza di 57 cv, chiaramente ispirata alle velocissime NXR 750 ufficiali da Rally e destinata diventare un’altra leggenda, ancor oggi la si incontra frequentemente in giro per le strade, con gran soddisfazione dei numerosi proprietari. Anch’essa con una livrea di ispirazione HRC, l’RD03 aveva carena completa, paramotore in alluminio, sospensioni a lunga escursione. E costava parecchio: ben 9.300.000 lire.
L’altra novità on-off di buon successo fu la NX 650 Dominator, agile e divertentissima enduro stradale sportiva con motore monocilindrico a 4 valvole radiali e due freni a disco. Prezzo: 7.400.000 lire circa.
Honda Italia aveva invece preparato la piccante NSR125R, sigla importante (la stessa delle Honda da GP) per una snella naked sportiva che sfoggiava un notevole telaio composito in alluminio pressofuso, con sotto un compatto monocilindrico da 125 cc raffreddato a liquido, addirittura con valvola RC sullo scarico e ben 31 cv dichiarati. Il prezzo annunciato era di 4.300.000 lire.
E passando agli scooter, che dire del CN250? In Giappone esisteva l’ottimo Spacy di pari cilindrata, sofisticatissimo ma, chissà perché, mai importato ufficialmente in Italia. Ma quando Honda decise che era giunto il momento di stupire anche in quel segmento scooter che stava iniziando a diventare sempre più importante, ecco arrivare il CN, che curiosamente in Giappone venne però chiamato “Spazzio”, proprio con doppia Z!
Per questa sorta di confortevole sedia a sdraio su due ruote con ampio bagagliaio posteriore incorporato, cruscotto full-digital e motore automatico monocilindrico da 21 cv raffreddato a liquido, fu subito un successone, seppur con un prezzo di poco inferiore ai 6 milioni.
Da Akashi, ecco piombare a Milano la nuova ZX-10, evoluzione della già formidabile quadricilindrica GPZ1000RX che allora risultava essere la 1000 di serie più veloce del mondo. La nuova ZX-10R, che negli USA si chiamava Tomcat, come il famoso caccia Grumman F-14, era più snella e aerodinamica, ed era accreditata di superare i 270 km/h effettivi, grazie ai 137 cv a 10.000 giri (contro i precedenti 113 a 9.500) dichiarati.
Con la sigla GPX, ecco invece la nuova 600R, altro modello sportivo (con relativo Trofeo Monomarca già previsto) con motore e telaio completamente celati dalla carrozzeria, e una potenza di 85 cv e una velocità massima di circa 230 orari.
Da Mattighofen arrivava la nuova ER600, enduro monocilindrica equipaggiata col “4 tempi” raffreddato a liquido da 552,6 cc forte di 52 cv a 8.500 giri (presentata con tanto di bauletto da viaggio sul portapacchi) e soli 118 kg di peso a secco. Rispetto alla fresca vincitrice del campionato europeo enduro, la nuova ER godeva di un telaio in acciaio al CrMo completamente ridisegnato, con parte posteriore smontabile, e di un altrettanto nuovo forcellone in lega d’alluminio. Prezzo: 8.050.000 lire. Numerosi interventi tecnici ed estetici, inoltre, erano state apportate all’enduro GS125 2T e all’enduro-rally 350, altra “2 tempi” raffreddata a liquido e con aspirazione lamellare, con ben 53 cv dichiarati.
Da Mandello arrivò la nuova, sontuosa California III, naturalmente equipaggiata col tetragono motore V2 a 90° da 948 cc, con 2 valvole per cilindro e trasmissione ad albero, ma qui alimentato tramite iniezione elettronica Weber-Marelli: la potenza dichiarata era di di 67 cv a 6.700 giri, mentre la coppia massima ammontava a 7,7 kgm a 5.200 giri. Classica e confortevole granturismo completamente carenata, dotata di moto valigie e baule posteriore, frenata integrale e ruote in lega tubeless, la nuova California a iniezione costava 14.350.000 lire.
Novità anche nella gamma intermedia, con l’avvento della V65 in versione GT, oggetto di vari ritocchi e anch’essa dotata di frenata integrale (prezzo circa 7 milioni).
Ma la vera sorpresa fu una sportiva da 350 cc dall’estetica magari un po’ goffa, ma al passo con i tempi, ovvero con la carrozzeria quasi tutta “chiusa”, ma in questo caso a incorniciare i due cilindri sporgenti dalla carenatura. La moto si chiamava Falco 350, e montava una inedita versione con distribuzione monoalbero centrale a 4 valvole per cilindro azionate da cinghie dentate anteriori, del noto V2 trasversale “piccolo”, chiaramente sempre dotato di trasmissione finale ad albero. Proposta davvero interessante per quei tempi, la Falco montava ruote da 16” ed era accreditata di una velocità di 170 km/h, con un peso di 179 kg. Sebbene fossero stati perfino dichiarati prezzo e tempi di consegna ai concessionari (6.900.000 lire, consegne a maggio 1988), questa moto non ebbe futuro, se non al Museo Moto Guzzi di Mandello del Lario.
Quanto alla famiglia delle enduro stradali NTX, 350 e 650, ad EICMA 1987 si arricchì con la nuova 750, che rispetto alle altre era completamente carenata stile rally, con forcella Marzocchi, ammortizzatori idropneumatici e ruote da 21” davanti e 18” dietro. Il prezzo annunciato era di 7.800.000 lire.
Per il 1998, inspiegabilmente il marketing di Piaggio decise che era ora di mandare in pensione la leggendaria Vespa. O quantomeno il suo nome. “Cosa” avrebbe sostituito lo scooter che in 41 anni di vita aveva invaso il mondo con una decina di milioni di pezzi? La nuova Cosa, appunto: ovvero una Vespa ridisegnata e con “importanti innovazioni tecniche ed estetiche, atte ad attrarre l’utenza giovanile”. Già, ma perché chiamarla Cosa anziché Vespa? Boh!
Comunque sia, l’ex Vespa, che venne profondamente ristilizzata lavorando in galleria del vento, manteneva logicamente la scocca portante in lamiera e il vano per la ruota di scorta sotto la “chiappa” sinistra, aveva un nuovo cruscotto e sotto la sella nascondeva un inedito vano per ospitare un casco. Ma aveva anche molti particolari in plastica, forse per risparmiare sul prezzo finale, che comunque era alto rispetto alla concorrenza. Quanto all’impianto frenante, fermo restante il pedale sulla pedana destra, i due tamburi erano addirittura azionati idraulicamente e con azione combinata, con ripartitore di pressione tra anteriore e posteriore. Le gomme inoltre erano di maggior sezione. I motori – sempre a due tempi, da 125, 150 e 200 di cilindrata – erano stati oggetto di interventi alle curve di erogazione lavorando anche sulle camere di scoppio, e le candele erano state sistemate in modo da poterle raggiungere più facilmente. I prezzi andavano da 2.950.0000 a 3.650.000 lire, con avviamento elettrico e lubrificazione separata come optional. In molti arricciarono il naso, al cospetto della Cosa, più che altro per via del nuovo nome, decisamente infelice. Tuttavia, a fine ’88 il mercato premiò la nuova arrivata, che risultò lo scooter più venduto in tutte e tre le cilindrate nell’ordine. Fu un successo relativo, però, perché i vespisti doc non perdonarono quello che ritennero un vero tradimento. La Cosa, quindi, rimase in produzione solo per tre anni.
Proprio nel 1987, il Gruppo Piaggio aveva rilevato il famoso marchio austriaco Puch dai celebri fratelli bergamaschi Luigi e Piero Frigerio: una coppia di tecnici che ancor oggi è una vera istituzione nel mondo del fuoristrada, attivi come F.P.M. non solo a livello di restauro e ricambi originali di Puch e Gilera, ma anche al seguito di svariati campioncini del minicross. Dunque, proprio col marchio Puch-FPM, a Milano vennero presentate anche alcune nuove enduro, tutte con motori Rotax: la leggera 125 replay stile rally e le F7 125 e 250 da “regolarità”, tutte con motori a 2 tempi, e la nuova 350 Corsa con motore 4T.
Mentre col glorioso marchio Gilera, allora ancora piuttosto in auge, venne presentata una serie interessanti novità. A partire dalla bellissima Saturno Bialbero 500, monocilindrica sportiva semicarenata che in realtà era stata commissionata da una società giapponese per il mercato interno, molto ricettivo verso moto del genere. Rigorosamente tutta rossa, la Saturno era una monoposto da leccarsi i baffi, con un bel telaio in tubi d’acciaio che ospitava il motore dell’enduro stradale Dakota 500, con 44 cv. Per la Bialbero venivano dichiarati un peso a secco di soli 135 kg, ed una velocità massima di 180 km/h.
In quegli anni le 125 a due tempi erano ancora al top, sicché Gilera, dopo il trionfo delle KZ e KK, presentò a Milano la bellissima MX-1, moto completamente nuova, con telaio a doppio trave e forcellone in acciaio, e motore con nuova valvola APTS 2 sullo scarico e 28 cv all’attivo. Il tutto vestito con una bella carrozzeria di nuovo disegno, e col serbatoio carburante sotto la sella, mentre il finto serbatoio fungeva da vano portaoggetti, e poteva contenere un casco. Il prezzo era di 4.750.000 lire, avviamento elettrico a parte.
Ma anche in campo on-off l’allora Casa di Arcore sfoderò tre nuove chicche. In ordine decrescente, ecco la bella XRT600 enduro stradale decisamente più “rallistica” ed aggressiva delle note Dakota, con carenatura “beccuta” e con sotto un monocilindrico bialbero a 4 valvole da 570 con in corpo 47 cv, per una velocità massima di 165 km/h. Prezzo: 7.350.000 lire. La XRT 600 (più avanti seguita dalla gemella 350) aveva però anche una sorellina, praticamente identica ma con motore a 2 tempi da 125 cc da 27,5 cv e addirittura forcella a steli rovesciati (che la XRT non aveva): era la nuova XR-1, che costava 4.280.000 lire, anche qui con avviamento elettrico optional. Ma c’era anche la R1, altra elegante 125 “rally style” con strumentazione dotata anche di trip e, naturalmente, motore a 2 tempi (4.125.000, più avviamento elettrico).
E per i fan dei rally vissuti di persona, ecco l’interessante RC600, enduro specialistica praticamente gemella della R1 125, ma ovviamente del sopra citato motore da 570 cc effettivi, e un peso dichiarato di soli 140 kg. Da essa sarebbe poi nata la bella RC600 standard.
La nuova GSX1100F arrivò al Salone milanese dopo la presentazione dinamica alla stampa sul temibilissimo circuito di Salisburgo. Bella moto, per grandi viaggi comodi e veloci anche in coppia e a pieno carico, la nuova maxi Suzuki era definibile come “sport-tourer”, e spiccava per il suo inedito plexiglas regolabile elettricamente, azionato da una curiosa “catena” costituita da palline di plastica (non in vista, naturalmente). La GSX1100F aveva un nuovo telaio in acciaio, e godeva di generoso motorone “4 in linea” derivato dalla supersportiva 1100R, che contava su ben 136 cv, per una velocità massima dichiarata di circa 250 km/h. Il prezzo era di 13.000.000 di lire.
La sorpresa più gradita dagli smanettoni fu però la nuova GSX-R750, replica della dominatrice del Mondiale Endurance col mitico Team francese SERT, a tutt’oggi 13 volte iridato, 2013 compreso. Totalmente rivoluzionata rispetto alla progenitrice lanciata nell’85, la nuova race replica Suzuki aveva un telaio in alluminio riprogettata ex-novo, con ruote da 17”. Il 4 cilindri con raffreddamento SACS ad aria ed olio aveva una potenza salita a 112 cv a 11.000 giri. Il prezzo di questa appetitosa supersportiva era di 13.500.000 lire. Anche la GSX-R l’avevamo provata prima del Salone di Milano, sul velocissimo circuito privato di Ryuyo, assieme ad un’altra novità di minor cilindrata: era la sport-tourer GSX600F, anche in questo caso con carrozzeria completamente avvolgente (con due finestre laterali di sfogo per il calore). Anche il suo motore era un quadricilindrico a 16 valvole raffreddato ad aria e olio, con potenza di 86 cv per una velocità di circa 230 orari. Prezzo 9.800.000 lire.
Ma non era tutto: anche Suzuki sfoderò a Milano una proposta interessante per gli amanti dell’enduro stradale. Per la recisione, si trattava della monocilindrica più grossa del mondo, ovvero la mitica DR750 Big, che fu anche la prima moto – assieme alle Gilera XRT e XR1 - a sfoggiare un “becco” pronunciato sotto al faro anteriore. La nuova maxi DR (che due anni dopo divenne nominalmente “800” con cilindrata salita da 727 a 779 cc, mentre la potenza aumentò da 52 a 54 cv a 6.600 giri, e la coppia da 5,9 kgm/5.500 giri a 6,3 kgm/5.400 giri) derivava dalla magnifica racer DR-Z ufficiale che debuttò alla Parigi-Algeri-Dakar del 1988, piazzandosi ottava con Giampiero Findanno e nona con Gaston Rahier, mentre il belga Huynen ed il francese Boudou si ritirarono. Il prezzo della maxi enduro Suzuki fu fissato in 7.380.000 lire.
La Casa di Iwata non stupì certo il mondo con eclatanti novità super-prestazionali, ad EICMA ’87, dedicandosi principalmente alle medie e piccole cilindrate. A partire dalla carinissima Virago XV535, replica in minor della omologa 1000, dotata di un piacevole motore V-twin raffreddato ad aria da 48 cv a 7.500 giri, e con serbatoio sotto la sella, per la massima facilità di guida, anche perché oltretutto pesava solo 178 kg a secco. Il suo prezzo era di 6.700.000 lire. La piacevolissima custom Yamaha non fece faville nel 1988, anche perché i numeri di vendita delle custom (una per l’altra) in quel periodo erano ben lontani dall’essere a 4 cifre: pensate che la classifica delle prime 10 a fine anno vedeva in testa la Honda VT500C (468 esemplari immatricolati), seguita dalle Moto Guzzi V35 e V65 Florida, e dalla Moto Morini Excalibur 350. La XV535 figurava quinta con 266 unità vendute, seguita da Honda CMX450 e VF750C, Suzuki Intruder 750 e, fanalino di coda, Kawasaki LTD 450 (147). Il fenomeno Harley, evidentemente, stava ancora maturando.
A Milano Yamaha esordì anche nel segmento delle 125 sportive, anche se un pochino sottotono – anche a livello di dimensionamento - rispetto alle numerose concorrenti: la TRZ125, costruita in Spagna, montava un motore Minarelli con 27 cv dichiarati a 10.250 giri, con valvola YPVS sullo scarico e cambio a 6 marce, ma senza avviamento elettrico. Il telaio era tipo Deltabox in acciaio, con sospensione posteriore Monocross e freno a tamburo posteriore. Secondo la scheda tecnica, però, pesava solo 108 kg a secco. Prezzo: 4.200.000 lire. Decisamente più intrigante la inedita TDR250, brillantissima bicilindrica a 2 tempi fronte marcia col motore derivato dalla sportiva TZR! Con 45 cavallini in corpo, un peso di soli 135 kg a secco, un generoso disco anteriore da 320 mm e un’estetica da on-off stradale (due espansioni alte sotto al codino, ruote a raggi e gomme semi-tassellate da 18” e 17” davanti e dietro), la grintosa TDR costava poco più di 6.000.000, e ne sarebbero stati importati meno di 500 esemplari.
Quanto alla mitica XT600Z Ténéré, a Milano esordì la versione semicarenata e dotata di freno posteriore a disco, con il motore rivisitato nella parte termica e nella lubrificazione. Il prezzo era di 7.240.000 lire.
Le novità per il 1998 presenti a Milano non finiscono qui, in particolare per quanto riguarda le cilindrate minori. Il settore enduro/rally contava anche sulle valide Kram-It 300 2T e TM80. E non mancavano le nuove cross di Benelli, Cagiva, Honda, KTM, Suzuki, Yamaha e del preparatore milanese Tresoldi. Idem per le novità trial di Aprilia, Beta, Fantic Motor e Montesa.
Ma soprattutto c’era da perdersi in un nugolo di altre belle motine destinate ai giovanissimi, a partire dai “cinquantini” di ogni tipo, oltre ai già citati precedentemente. Ecco dunque i “tuboni” Atala Master e Fantic Fast, i classici Garelli Sahel (allestito da “viaggio”) e Peugeot 103 SP, le piccole rally Fantic Oasis, Garelli Winter Team, Malaguti Dune ES, Malaguti MRX, Motron Ranger e Peripoli Oxford Wild.
Quando alle 125 cc, Laverda osava con una cruiser decisamente “spinta”, la CU125 Ride, e con l’aggressiva GSR, altra sportivissima 2T completamente “sigillata”, con telaio in tubi quadri a diamante. Idem per la rinata Mondial 125 Super Sport, realizzata in collaborazione con la bolognese Villa (Francesco e Walter Villa corsero a lungo, negli anni 60, con le Mondial del Conte Boselli), la produzione della quale del tuttavia si limitò ad una pre-serie di una ventina di esemplari.
E concludiamo con la rassegna delle 50 moto preferite dagli italiani nel 1988, seguita da quella, ancora decisamente meno ricca degli scooter. La prima ci mostra come le piccole “125” nostrane figurassero orgogliosamente al top di questa classifica, che, perlomeno nella prima metà, rappresentava una evidente alternanza di preferenze tra le moto da 125 cc, stradali od off-road che fossero, e le entro-fuoristrada a uno e due cilindri.
Guida dunque il gruppone l’Aprilia AF1, al comando con 5.069 immatricolazioni, ma con in scia la Cagiva Freccia (4.919). Terza fu la Honda NSR (che comunque era Made in Italy, 3.831).
Quarta e quinta erano invece due moto appartenenti ad un altro segmento molto trendy, ovvero quello delle entro-fuoristrada monocilindriche a 4 tempi: la Yamaha XT600 (3.686) e la nuova Honda Dominator (3.057). Altri tre mostriciattoli a 2 tempi - le “tassellate” Aprilia Wind ed ETX, accomunate nella stessa casella con 2.962 esemplari, e la sportiva Gilera MX1 (2.863) - precedevano la mitica Yamaha Ténéré e la Suzuki DR600 Djebel, rispettivamente con 2.808 e 2.319 pezzi venduti. Decima figurava l’endurina Cagiva 125 Cruiser (nome un po’ fuorviante per una enduro stradale…), con 2.167 vendite al suo attivo.
Per sveltire la chiacchierata, diciamo che la seconda decade di moto più vendute nel 1987 inizia con i 2.144 esemplari venduti delle Honda XL600 (RM ed LM) e termina con i 1.419 del piccolo missile sportivo Gilera 125 KZ e KK. Tra di esse troviamo la mitica Honda Africa Twin 650, l’apprezzatissima sorellina Transalp 600, un’altra quadriglia di “125” - Gilera RX1, Honda MTX, Gilera R1 e la stradale Honda NS – e poi la leggendaria Honda VFR750, le Kawasaki KLR 600/650.
Il terzo scaglione di preferenze dei motociclisti italici inizia e termina con due Suzuki: l’ambiziosa maxi-enduro Suzuki DR750 Big, con 1.218 pezzi immatricolati, e la supersportiva GSX-R750 (776). Tra di esse troviamo Honda CBR600, Aprilia Tuareg Rally 125 e Wind/ETX 340 4T, Yamaha DT125, KTM250 D/AI, Fantic Motor Trial 240, Honda XR600R, e le BMW R80/R100 GS accomunate in un’unica casella.
La Gilera Arizona/RX200 (761) e la sportiva Honda CBR1000F (548) sono agli estremi della quarta decade di best seller del 1988. Tra di esse figurano Yamaha FZR1000, Honda XL125, BMW K100, Yamaha TT600, Kawasaki 1000 ZX-10, Beta trial 261 B3, KTM GS125 D/HI e Kawasaki GPX750. L’Hit Parade con le ultime dieci classificate nell’88 è costituita dall’interessante Honda Nighthawk 650 (531 moto immatricolate) seguita dalle BMW K75 e Kawasaki GPX600, dalla piccola cruiser Cagiva Blues 125, e dalle Honda VT500, Cagiva Aletta Oro125, Moto Guzzi V35 Florida, l’enduro Cagiva 350 T4, la Gilera Rally 125 e la custom Aprilia Red Rose 125 (437 esemplari immatricolati).
Quanto ai “ruote basse” (allora la maggior parte degli scooter venduti in Italia lo erano), la classifica di fine anno glorificava nettamente la Piaggio, il cui modello più controverso di sempre, la neonata e famigerata Cosa, occupava comunque il podio di un mercato in forte fase di espansione con tutte e tre le cilindrate disponibili: capeggiava la 125, con ben 3.978 esemplari, seguita dalla 150 (3.012) e dalla 200 (1.739), davanti alle Vespa PX 125 (1.594) e PK 125 (665). Non abbiamo trovato un elenco completo di questo segmento, ma sappiamo che dell’allora fantascientifico Honda CN250 (destinato in seguito ad una ben più ampia diffusione) nel 1988 vennero venduti 360 pezzi, mentre furono venduti 108 Peugeot Metropolis SL80 e 76 Benelli 125.