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Da anni nei motori di prestazioni più elevate la distribuzione è invariabilmente bialbero, con le camme che agiscono su punterie a bicchiere o su bilancieri a dito. Questa soluzione è la più adatta quando si devono raggiungere regimi di rotazione molto elevati, dato che le parti in moto alterno hanno un peso ridotto e che vi è un solo componente, tra ciascuna valvola e la camma. Il sistema di comando ha quindi la massima rigidezza, cosa di importanza tutt’altro che trascurabile quando si cercano le massime prestazioni.
In molti modelli destinati a un impiego meno esasperato si adotta una distribuzione con unico albero a camme in testa, per ragioni di semplicità costruttiva e/o di compattezza. Questa soluzione, che nella maggior parte dei casi si ritrova in motori a due valvole per cilindro, offre anche vantaggi di ordine economico. Le masse in moto alterno sono però maggiori e la rigidezza del sistema di comando è minore. Si tratta quindi di uno schema che non è indicato per le moto da competizione e per le supersportive, ma che va benissimo negli altri casi (naked non estreme, tourer, custom, sport tourer, etc…).
Le distribuzioni ad aste e bilancieri sono diventate ormai da tempo una rarità, impiegata in pratica solo da moto di impostazione classicheggiante o old style. Spiccano qui le Harley-Davidson a due valvole e alcune Guzzi.
Il percorso che ha portato alla situazione attuale è stato però lungo. Nel corso degli anni non sono mancate alcune soluzioni di notevole interesse, ideate per superare problemi di ingombro o legati alla mancanza di tendicatena veramente alla altezza della situazione, o adottate per migliorare le prestazioni senza aumentare la complessità costruttiva (fino a non tantissimo tempo fa i motori bialbero venivano spesso considerati costosi e di realizzazione impegnativa e questo ha ritardato notevolmente la loro adozione sui modelli di serie).
Quando la scena era dominata dalle moto con distribuzione ad aste e bilancieri, per ridurre l’entità delle masse in moto alterno c’è stato chi ha pensato di piazzare l’albero a camme più in alto possibile, in modo da far diminuire la lunghezza delle aste. Due esempi interessanti di motori a camma rialzata (come si diceva all’epoca) sono stati forniti dalla Vincent con i suoi splendidi bicilindrici di 1000 cm3 e dalla Velocette con il suo 500 Venom. In questi casi da un lato il basamento si prolungava verso l’alto, onde poter disporre gli alberi a camme quanto più vicino possibile alla testa.
La nostra Parilla si è spinta ancora più avanti, lungo questa strada. Senza arrivare ad adottare un autentico schema monoalbero, per la sua famosa 175 (della quale all’inizio degli anni Sessanta è stata anche realizzata una versione 250, destinata al mercato USA) il progettista William Soncini ha dotato il basamento e il coperchio laterale sinistro del motore di un “prolungamento” parallelo al cilindro, realizzando una cartella nella quale trovavano posto la catena di distribuzione e, nella parte superiore, l’albero a camme. Quest’ultimo era dotato di un unico eccentrico, che azionava entrambe le valvole, inclinate tra loro di 90°, per mezzo di punterie, puntalini e bilancieri particolarmente leggeri. La catena di distribuzione aveva una lunghezza notevolmente inferiore a quella che avrebbe avuto se fosse stato adottato uno schema monoalbero, e questo non solo grazie alla posizione dell’albero a camme (che si veniva a trovare in corrispondenza della parte inferiore della testa) ma anche perché non prendeva il moto direttamente dall’albero a gomito. La cosa aveva la sua importanza, in un’epoca nella quale realizzare efficaci tenditori appariva assai problematico (in molti casi non si usavano neanche, con i risultati che si possono immaginare). Questa distribuzione di tipo inconsueto funzionava decisamente bene, come dimostrato dal fatto che una Parilla 175 MSDS si è imposta nel Motogiro del 1957 e che una 250 è arrivata seconda nel Gran Premio degli USA del 1964, svoltosi sulla velocissima pista di Daytona. Un risultato straordinario, per quella che era fondamentalmente una moto di serie ottimamente preparata (dallo specialista Orin Hall).
Nei motori con due cilindri a V fino a non molti anni fa le distribuzioni ad aste e bilancieri, con l’albero a camme collocato nella parte superiore del basamento (al centro della V), erano largamente impiegate. La Honda, quando sul finire degli anni Settanta ha realizzato la non dimenticata CX 500, per azionare le quattro valvole alloggiate in ciascuna testa ha adottato questa soluzione. L’albero a camme, collocato in posizione molto rialzata, azionava le aste tubolari (a parete sottile, del diametro di 11 millimetri) agendo non su punterie ma su bilancieri a dito. Questo motore, che aveva un alesaggio di 78 mm e una corsa di 52 mm, erogava 50 cavalli a 9000 giri/min e poteva girare fino a 9.800 giri. Niente male per un modello di serie ad aste e bilancieri e con una cilindrata unitaria di 250 cm3!
Nel 1935 la BMW ha schierato una moto da competizione, azionata da un bicilindrico boxer sovralimentato di 500 cm3, destinata a fare epoca. Il suo motore M 255 aveva una distribuzione di tipo innovativo, realizzata secondo uno schema che è stato definito “monoalbero sdoppiato”. L’architettura a cilindri contrapposti rendeva necessario l’impiego di teste molto compatte, il che aveva fatto scartare la soluzione bialbero. D’altro canto, utilizzare lunghe aste per azionare i bilancieri era fuori discussione, per una moto destinata alle competizioni ai massimi livelli. Si era quindi stabilito di adottare lo schema monoalbero.
L’albero a gomiti era necessariamente dotato di due perni di manovella disposti a 180° e di conseguenza i due cilindri non erano coassiali: quello sinistro era leggermente più avanti di quello destro. Per comandare la distribuzione era logico impiegare il compatto sistema con coppie coniche e un alberello per ogni cilindro. Nella parte superiore del basamento c’era un albero ausiliario con un unico ingranaggio conico che provvedeva a muovere entrambi gli alberelli in questione, che non arrivavano proprio al centro delle teste (quello di sinistra un poco indietro, rispetto alla mezzeria, e quello di destra un poco avanti). Di conseguenza era stato adottato uno schema innovativo, che prevedeva in ogni testa due alberi con una camma ciascuno, vicinissimi e in presa tra loro per mezzo di due ingranaggi cilindrici a denti dritti, uno dei quali direttamente collegato all’alberello e dalla relativa coppia conica. Nella testa sinistra si trattava dell’albero a camme di aspirazione e in quella destra dell’albero a camme di scarico. Le valvole, sensibilmente inclinate tra loro, erano azionate mediante normali bilancieri a due bracci.
Negli anni Cinquanta, dopo i grandi successi ottenuti nell’anteguerra con i suoi boxer sovralimentati, la casa bavarese ha realizzato un nuovo bicilindrico da competizione (M 253), adottando una distribuzione dello stesso tipo. La moto sciolta, sulla quale è stata anche utilizzata l’alimentazione a iniezione, pur comportandosi molto bene non è riuscita a superare le formidabili 500 quadricilindriche italiane, mentre il motore ha conquistato ben 19 campionati mondiali sidecar, tra il 1954 e il 1974.
Una distribuzione di tipo analogo è stata utilizzata nel 1955 dalla Morini per la prima versione del suo eccellente Rebello, della cilindrata di 175 cm3, che si è imposto trionfalmente tanto nel Motogiro quanto nella Milano-Taranto di quello stesso anno. In questo caso l’albero a camme di aspirazione, in presa con quello di scarico per mezzo di una coppia di ruote dentate, veniva comandato da una catena. La testa era compatta e i bilancieri avevano un peso solo lievemente inferiore di quello che avrebbero avuto se la distribuzione fosse stata una normale monoalbero; questo fa sorgere dei dubbi sui vantaggi che in questo caso tale soluzione effettivamente poteva comportare. Per le due successive versioni del Rebello (l’ultima delle quali aveva una cilindrata di 250 cm3) la casa bolognese ha adottato una classica distribuzione bialbero… Una distribuzione realizzata con uno schema simile, ma che prevedeva un alberello con due coppie coniche al posto della catena, è stata adottata anche dalla Bianchi alla fine degli anni Cinquanta per la sua monocilindrica da competizione di 250 cm3 (tipo “Locarno”) e per le sue eccellenti moto da cross.