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Alla fine degli anni '90 Emmebicappanitro era un mantra recitato da molti ragazzini; anche se oggi può sembrare strano, c'è stata un'epoca nemmeno troppo remota in cui i quattordicenni sognavano di possedere una motocicletta e il passaggio quasi obbligato era quello di iniziare dal cinquantino, costi quel che costi. Parallelamente, il buddismo faceva apostolato di ascesi e risoluzione dei conflitti presso i genitori che attraverso la meditazione tentavano di respingere l'assedio intonando Nam myo ho renghe kyo: in realtà furono ben pochi i papà capaci di resistere alle suppliche dei figli e molti finirono per ritrovarsi in sol colpo un adolescente invasato in casa e uno scooter ronzante in garage; ma, dove non arrivarono i padri biologici, in alcuni casi – rari, ma statisticamente rilevanti – fu il destino a dare una mano o, per chi ha fede, fu un altro e più autorevole Padre a porre rimedio forse perché tutte quelle voci di ragazzini imploranti indussero una certa insofferenza e portarono allo sfinimento pure l'Eterno.
Nel caso di Gabriele Arena, il fato agì tramite suo cugino che stava sfrattando dal garage il proprio MBK Nitro grippato; senza troppi rimpianti lo trasferì nelle mani avide e ancora linde di un ragazzino che fino ad allora avevano smontato tuttalpiù i modellini di moto per mischiarne i pezzi e realizzare così magnifici ed irripetibili falsi storici. Del resto a dodici anni, a Palermo, o inizi così la tua carriera di meccanico da corsa o finisci rapidamente per concludere che il futuro ti riserva un posto in un'officina di quartiere a riparare gli scooter degli altri.
Ma lasciamoci alle spalle un rottame cui nessuno ha dedicato una lacrima al momento di separarsene e andiamo avanti di diciassette anni.
È in una mattina piuttosto fresca che varco le porte della sede Ducati di Borgo Panigale, appiccicando un adesivo sull'obiettivo del telefono e rimanendo per un po' a guardare Capirossi e Bayliss ritratti sui murales, come un fan qualunque. Sulle scale della palazzina del museo mi sento uno dei grandi comprimari della storia (Watson, Paperoga, Mauro Repetto o Mick Grant, la scelta è vasta...) lambito dagli eventi quasi per caso, nulla più di un cronista eccitato o di quello spettatore scelto dal prestigiatore per salire sul palco e recitare la parte – sempre un po' ridicola – dell'oggetto di scena. Gabriele arriva in un paio di minuti, ha la voce calma, modi gentili e la faccia sorridente mi sembra conosciuta o forse è che trovare un conterraneo ad guidarmi fino al Reparto Corse con gentilezza e quasi con familiarità, mi rassicura. Superiamo un ufficio dal quale i vetri trasparenti lasciano vedere i cupolini di Hayden, Pirro, Stoner appesi sopra gli armadi, giusto di fronte alcuni telai della V4R Superbike e venti passi più avanti di una serie di motori della GP19: terribilmente minuscoli, lucidi, danno l'impressione di essere più alti che larghi e mi spingono a pensare all'ennesima riprova della legge sul rapporto inverso tra dimensioni ed efficacia. Ci sediamo all'interno di un ufficio trasparente con vista sul reparto corse, ad una scrivania che non è certo quella di Gabriele perché il suo posto di lavoro è il banco dell'officina o il ponte dove si lavora sulla Desmosedici, mentre entra per andare alla sua scrivania - e forse pure per controllare che l'intruso non faccia troppi danni - il capo dell'ufficio Marco Palmerini - Responsabile Sviluppo Veicolo MotoGp; altri loro colleghi lavorano in silenzio oltre il vetro lasciando ai rumori degli attrezzi tutto lo spazio sonoro. Alle pareti sembra sia rimasto appiccicato l'odore delle vittorie insieme alle tute dei piloti del team ufficiale e le foto storiche delle Ducati da corsa degli anni '60 e '70; non chiedetemi di vederle perché le foto, col contagocce.
Gabriele ha 29 anni e da tre lavora in Ducati Corse come meccanico veicolo MotoGp, nel Test Team che cura le moto di Michele Pirro, il collaudatore ufficiale Ducati. Non ci è arrivato per caso: da Palermo fino a qui, senza amici nell'ambiente, senza essere figlio d'arte, senza grandi capitali o rendite alle spalle capaci di supportare sine die una passione ancora prima che una strada professionale incerta e impegnativa. Io voglio sapere come ha fatto perché, nella prospettiva di un siciliano, tutto quello che accade oltre lo stretto è insolito, oltre Napoli è straniero, superata Roma è mito. E del mito ha l'irraggiungibilità, l'asintoto, l'alone di leggenda, la proiezione per cui si tende, molto spesso, a rassegnarsi a voli più modesti e ad obiettivi per i quali non si teme il fallimento o per i quali il fallimento fa meno male.
Questa storia inizia facendo rumore di ferraglia: con gli attrezzi e le chiavi ricevuti in regalo per Natale e per i compleanni dal dodicesimo in poi (“invece di farmi dei regali stupidi”), Gabriele inizia a smontare tutto quello che può a partire dall'MBK Nitro grippato del cugino, usando il garage e il giardino dei nonni come palestra:
“Alla fine erano tutti contenti che io avessi questa passione”: sempre meglio che avere i genitori contro.
“Ho frequentato l'istituto tecnico industriale ad indirizzo informatico, anche se non mi piaceva... era troppo poco manuale e col senno di poi avrei scelto l'indirizzo meccanico: sfruttavo il quarto d'ora della ricreazione per andare poco distante, nell'officina di Valerio che faceva prevalentemente moto da corsa e Ducati; ero incuriosito e alla fine dell'anno scolastico gli chiesi se nel periodo estivo avessi potuto dargli una mano, con l'assenso dei miei genitori.
Genitori qualunque, speciali come i nostri.
“Sai, sono figlio unico e mia madre è sempre stata molto protettiva; nonostante tutto a 16 anni sono riuscito a farmi regalare la mia prima moto, una Cagiva Raptor 125, un Monster in miniatura, ed è stata una svolta: la moto con le marce, il 125... i miei orizzonti si ampliavano molto di più perché riuscivo a spostarmi fuori da Palermo; poi iniziai a modificarla: pistone monofascia, testa ad alta compressione, Mikuni TM35, l'unica cosa che non riuscii a trovare fu un cambio a sette marce”.
Palermo, dieci anni fa.
“Così, la sera o durate il tempo libero ci chiudevamo nel box a casa con i miei amici a fare dei lavori sulle moto e nel frattempo continuavo a lavorare in officina, portavo anche le moto al banco prova per ottimizzare le mappature con i moduli aggiuntivi ma nonostante io fossi un programmatore informatico la cosa non mi soddisfaceva al 100%: a me piace fare le cose manuali, meccaniche”.
Come sei arrivato al Reparto Corse Ducati?
“Finita la scuola volevo avvicinarmi al mondo delle gare e ho cercato su internet un corso di specializzazione per meccanici. In Italia ce n'erano pochi ma erano comunque dei corsi di formazione base, mi avrebbero insegnato tutte cose che sapevo già. L'unica che effettivamente sembrava offrire quello che cercavo era la Motorschool Technical Sport, a Monza. Avevo visto sul loro sito che uno dei loro insegnanti era Marco Ventura, in precedenza capotecnico di Iannone, poi di Lorenzo e ora di Petrucci; ma c'era una selezione da fare, il corso durava cinque mesi, bisognava trasferirsi lì e comunque le domande erano tante e le possibilità di essere selezionato poche. Decisi di provare: era la prima volta che mi spostavo per una ragione lavorativa, il viaggio da Palermo fino a Monza fu laborioso, ero spaesato. Al primo colloquio mi chiesero cose che effettivamente già sapevo, mi venne quasi facile ma non mi aspettai nulla anche perché molti dei candidati erano professionisti; invece, una volta rientrato a Palermo, ricevo la telefonata di Marco Ventura... ero emozionato, quasi non ci credevo: mi avevano ammesso. Lo raccontai ai miei genitori, loro all'inizio furono entusiasti. Dopo, un po' meno”.
Si trattava di cambiare, di investire molto sul tuo futuro.
“Esattamente: a parte i costi della scuola, c'erano da sostenere anche quelli relativi al mio alloggio per cinque mesi, fu una fatica anche economica ma partii in fretta e furia perché si iniziava praticamente il giorno dopo. Finito il corso, Marco Ventura mi dice che c'è la possibilità di uno stage in Ducati: accettiamo solo in tre, i costi per rimanere fuori casa sono alti, non tutti possono permetterseli e io stavo usando i soldi che avevo messo da parte durante la mia attività di meccanico a Palermo. Dopo questo stage le spese continuavano a crescere e i miei due colleghi di corso rinunciarono alla possibilità di continuare con un ulteriore tirocinio – stavolta retribuito - di sei mesi. Ma a me piaceva quello che facevo, mi trovavo bene con i colleghi e decisi di restare qui al Reparto Corse, stringendo i denti”.
Traguardo raggiunto? Gabriele tira un respiro più forte e me la racconta così:
“I primi compiti che mi furono assegnati erano banali: lavavo i pezzi che sarebbero stati montati sulla GP, forse una mansione poco gratificante ma considerando che al al Test Team si arriva in genere solo dopo molti anni di permanenza in azienda essere io, il novellino, lo stagista, già al Reparto Corse mi fece accettare bene fare il mio periodo di gavetta”.
Traduco: hai dieci anni di pratica meccanica in un'officina dove passano le più affascinanti Ducati da pista, ti specializzi con un autorevole corso per meccanici da corsa, fai tre mesi di stage al reparto corse Ducati e quando decidono che ci sai fare e inizi a vedere la possibilità di restare a cavallo del tuo sogno il tuo compito diventa quello di lavare i pezzi.
La mia espressione deve essere stata eloquente, perché Marco Palmerini – con mio grandissimo piacere – alza gli occhi dal pc, si gira verso di noi e aggiunge:
“Secondo me i meccanici la vedono dal punto di vista sbagliato. In tutte le squadre il meccanico che inizia a lavorare pensa che lavare i pezzi sia la cosa più umile e da sguattero che si possa fare: sbagliato”.
Marco è in Ducati da nove anni: da Stoner a Rossi e Hayden, ha lavorato fianco a fianco con i più leggendari piloti della MotoGp; prima era in Derbi e in Aprilia, sempre nei reparti corse con ruoli apicali. Il suo punto di vista è oro. Mi ripeto di essere soltanto un cronista, un comprimario anonimo, anzi: un ricercatore che tra le pieghe delle sue indagini trova un documento inaspettato e decisivo, qualcosa delle migliaia di pagine del libro di storia moderna delle corse che Marco potrebbe tranquillamente scrivere. Del resto so che ama le belle letture e non gli mancherebbero i buoni consigli. Pensaci, Marco.
Riprende, quasi sottovoce ma con una presenza tonale poderosa.
“Fare lavare i pezzi ai meccanici, serve a mettergli i pezzi nelle mani e dargli modo di vederli tutti senza dargli la responsabilità della vita del pilota. È parte di un percorso che inizia a farti capire com'è fatta una moto da corsa; i meccanici, dal loro punta di vista, pensano di avere già fatto e finito il percorso e molti il periodo di stage lo vivono male, non capiscono e non hanno la pazienza di continuare: pazienza invece che ha avuto Gabriele. Tra i suoi meriti principali c'è sapersi inserire, il sapersi integrare e il suo atteggiamento nei confronti dei colleghi che fanno questo mestiere da un sacco di anni”.
Detta così sembra quasi una promessa. Dove Vedi Gabriele tra 5 anni?
Gabriele non avrebbe avuto nessuna difficoltà ad inserirsi in altre squadre ufficiali – anche quella di Marquez che ha base in Spagna, per esempio - ma non in un test team interno giapponese, molto più chiusi. Lì, per esempio, non si ha notizia di tecnici di alto livello che siano passati a lavorare a case europee o viceversa. Gabriele sta crescendo, tra cinque anni potrebbe trovarsi nel Race Team, potrebbe andare in un altro reparto corse, dipende da lui: per fare parte di un gruppo di lavoro ad alto livello devi innanzitutto saperti inserire; la preparazione tecnica da sola non è sufficiente ma lui quello che fa lo fa bene: ha lavorato con Casey (Marco lo dice come fosse l'imprimatur quasi definitivo n.d.r.); Stoner è una persona particolare e ovviamente la prima cosa che ha fatto quando è tornato qui è stato valutarci, tutti. E al di là di valutare me o gli atri ingegneri, lui spendeva molto tempo nel box a far finta di bighellonare ma in realtà guardava i meccanici; dopo qualche tempo mi ha detto di esser molto contento di noi, di trovarsi a proprio agio. Te ne rendi conto perché lui è un ragazzo particolare e quando abbiamo fatto test con lui era sempre sereno, tranquillo. Ci ha dato una mano enorme.
se fossi rimasto a Palermo sarei in qualche piccola officina a riparare scooter o moto stradali
Siamo tre appassionati ad un tavolo. Gabriele è forse quello più misurato di tutti, oltre che certamente il più giovane:
“Quello che mi gratifica di più è fare il lavoro che ho sempre sognato, un'altra è viaggiare: si viaggia molto. E poi le tre gare l'anno alle quali partecipiamo con Michele (Pirro n.d.r.) sono una grande soddisfazione. Mi piacerebbe fare parte del Race Team ma se andassi in un team di un'altra Casa non sarebbe lo stesso. Dovrei reinserirmi, riconquistare fiducia... dovrei rivalutare tutto anche perché vivo più tempo con il mio team che con i miei genitori e sarebbe veramente difficile ricominciare. Ma non tornerei mai indietro: se fossi rimasto a Palermo sarei in qualche piccola officina a riparare scooter o moto stradali; al sud non avrei potuto certo scegliere di lavorare solo con le Ducati o le moto da corsa, non puoi permetterti di fare le cose per passione. Sono stato molto fortunato: quando sono arrivato qui serviva una persona come me perché un meccanico era andato via per motivi personali. Ma la mia fortuna non deve illudere chi volesse fare il mio percorso: bisogna crederci, avere pazienza, non è tutto facile come sembra”.
Questa storia era iniziata con un MBK Nitro grippato che magari ora è ruggine e lacrime di ossido sotto la pioggia nello spiazzo di uno sfasciacarrozze; era iniziata con i regali utili, con i sogni di un bambino che al mare di Mondello ci andava in piedi sulla pedana della Vespa del papà e l'orizzonte segnato dal manubrio; era continuata con un diploma mezzo sbagliato, con la ricerca di un cambio a sette marce e le mani sporche di grasso nel garage dei nonni con gli amici, col viaggio fino a Monza che sembrava interminabile; magari fosse sempre così. Ora, tre anni dopo, ci sono tre appassionati intorno a un tavolo, tre apprendisti in mestieri dove nessuno diventa mai maestro, dove c'è sempre da imparare perché se l'inizio di questa storia era un MBK Nitro l'epilogo – semplicemente – non c'è. Marco è già un fuoriclasse ma diventerà ancora più esperto ed enciclopedico, Gabriele e la sua consapevolezza faranno tanta altra strada lontano da Palermo; io, seriamente, continuerò a provarci.