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Varese – 71 anni, 15 titoli mondiali e due marchi nel cuore (MV Agusta e Yamaha) che ne hanno segnato il mito. Questi in breve i numeri di Giacomo Agostini, il pilota motociclistico più titolato di sempre che torna a raccontarsi in un libro grazie ad una serie di immagini (circa 280) che ne hanno segnato la storia.
Intitolato “Giacomo Agostini, immagini di una vita”, il libro dedicato al pluricampione motociclistico italiano - scritto da Mario Donnini ed editato da Giorgio Nada - è stato presentato presso lo Spazio Lavit di Varese. Davanti a un pubblico numeroso era presente anche il pilota bresciano insieme ad alcune delle moto che hanno contribuito a segnarne il mito o che l'hanno celebrato.
Un mito iniziato il 18 luglio del 1961, quando con la sua Morini Settebello prese parte alla gara in salita Trento-Bondone, che concluse al secondo posto alle spalle di Attilio Damiani, all'epoca Campione Italiano in carica e considerato uno specialista delle cronoscalate.
Un avvio che ci racconta lo stesso “Mino”. Giacomo, come è iniziata la leggenda che ti vede legato all'MV Agusta?
«Correvo già con la Morini e avevo vinto il campionato italiano. Lo avevo vinto proprio qui a Varese. Mi convocò il Conte Agusta, l'appuntamento era per le 4:30 del pomeriggio. Mi presentai puntuale e la segretaria mi fece accomodare dicendomi che il Conte era impegnato e che mi avrebbe ricevuto appena possibile. Alle 5:30 nessuno mi fece sapere più nulla, alle 6:30 idem. Continuai ad aspettare: arrivarono le 8:00 e poi le 9:00. A quel punto stavo per andare a casa, non avevo neanche mangiato ed ero agitato perché avevo varcato la “porta d'oro” di Cascina Costa quando, finalmente, alle 10:00 mi ricevette».
«Entrai in una stanza un po' buia. Lui era dietro ad una cattedra con una luce tenue. Non alzò gli occhi e io dissi: “Buonasera signor Conte”. Lui alzò lo sguardo verso di me e disse: “Ah, cosa vuoi?”. Replicai con un: “Vorrei correre con le sue moto”, al che lui disse: “Ma come correre con le mie moto? Ma tu sei capace di guidare le mie moto?”. Io lo invitai a provarmi e l'indomani effettuai un test a Monza e da lì nacque un rapporto che portò l'MV Agusta a vincere 13 titoli mondiali».
Il passaggio dall'MV alla Yamaha?
«Quanto nel '74 cambiai casacca fui classificato un po' come un traditore. Lasciavo l'MV Agusta per andare alla Yamaha. Erano anni che da Iwata mi corteggiavano, ma naturalmente non avevo mai preso sul serio la proposta perché stavo bene all'MV. Alla fine del 1973 vidi però che i motori 4 tempi erano arrivati alla fine. I meccanici lavoravano tutto l'inverno per avere un CV o due. I motori 2T stavano invece avanzando e fu questo il motivo che mi portò dall'Italia al Giappone. Se volevo tornare a vincere dovevo a malincuore prendere questa decisione e così fu. Mi dispiacque tantissimo. Non fu una decisione facile lasciare la mia seconda famiglia per andare in Giappone ad affrontare un mucchio di cose che non conoscevo. Fui però lungimirante perché vinsi ancora altri due titoli con la Yamaha e per vent'anni i motori 2 tempi segnarono un'epoca facendo scomparire il 4T».
Gli antagonisti di Agostini?
«All'inizio della mia carriera ho trovato uno dei più forti del mondo: Hailwood, che era molto forte e aveva più esperienza di me. La mia fortuna è stata anche avere questa moto (l'MV su cui era seduto, ndr), che era maneggevole e lui era invece abituato a moto più pesanti. Nella mia carriera ho incontrato tutti: Mike Hailwood, Kenny Roberts, Phil Read, Pasolini, Bergamonti, Lucchinelli, Sarineen. Tutti Campioni del Mondo. Li ho incontrati tutti e sono riuscito a batterli tutti».
Cosa si prova a smettere quando hai vinto tutto? E come vedi Valentino?
«Nel motociclismo si smette quando si è ancora giovani. Quando hai massimo 38 anni sei alla fine. Quando decidi di smettere è molto dura. Valentino ama ancora questo sport, ha tanta passione e vuole continuare ancora, anche se lui stesso sa che è molto difficile, perché ha contro dei ragazzi giovani che tengono aperto senza troppi pensieri. Quando hai 20 anni ragioni con la testa del ventenne. Valentino è un professionista ed è un uomo che ha vinto tutto quindi fare le cose che fa un ventenne adesso diventa difficile. Diventa difficile rischiare come quando hai 20 anni».
Hai qualche consiglio da dargli?
«E' difficile dare consigli a Valentino. E' un grande Campione e lui sa che questi ragazzi vanno forte e “non pensano tanto”. Per me Valentino non è finito come dicono tanti, è solo che probabilmente non riesce più a fare quello che faceva prima: quei 2 decimi che prima aveva per la sua classe, per la sua superiorità, purtroppo con gli anni sono spariti e poi sono arrivati questi ragazzi giovani e forti, quindi per lui è dura. Ha tanto coraggio a voler continuare e spera ancora di riuscire a vincere».
L'elettronica di oggi in moto?
«Io non sono molto d'accordo con tutta questa elettronica. Una volta era il pilota con il suo polso a sentire la moto e a regolarsela. Oggi si apre l'acceleratore e si trova una centralina che fa quello che prima faceva il polso. Si è tolto un po' al pilota, che una volta faceva tutto. Lui coi suoi meccanici controllava la moto e il motore, si apriva quest'ultimo. Oggi il meccanico non può aprire il motore, lo deve consegnare alla fabbrica e glie ne danno un altro nuovo. Detto questo però andando all'80% risulta essere più facile una moto moderna, ma se si va al 100% sono difficili entrambe.
MV in SBK nel 2014. Come la vedi?
«Bhé innanzitutto ci vuole un grande coraggio a tornare. Sanno anche loro che non è facile, però si deve in qualche modo incominciare. Senz'altro all'inizio sarà molto dura: ci sono avversari con molta esperienza e con reparti corse collaudati, però noi italiani sappiamo fare delle buone moto. L'MV ovviamente era abituata a vincere, però in questo momento forse dovremo aspettare un attimo. Non sarà facile ma bisogna provarci. Io sono convinto che – non subito, ma tra un po' di anni – MV dovrebbe tornare».
Alessandro Colombo