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Per lungo tempo i motori a quattro e più cilindri sono stati costruiti esclusivamente per le moto da competizione. Le splendide realizzazioni di case come Gilera, MV Agusta, Honda (che ha prodotto anche capolavori a cinque e a sei cilindri!), Benelli e Guzzi hanno fatto la storia. Tutte impiegavano alberi a gomiti compositi, che lavoravano interamente su cuscinetti a rotolamento e che erano formati da parti unite per forzamento. Fa eccezione solo la casa di Mandello del Lario, che ha utilizzato anche un albero monolitico e uno composito assemblato con sistema Hirth per le diverse versioni del suo V8.
Mettere insieme tanti pezzi e poi allinearli con la massima precisione onde ottenere la coassialità dei perni di banco (e il corretto posizionamento di quelli di biella) non è facile. I costruttori hanno utilizzato soluzioni differenti, ma l’unione tra le varie parti era sempre ottenuta per interferenza. Realizzare perni integrali con uno dei due bracci di manovella che costituiscono ciascun “gomito” dell’albero consentiva di ridurre il numero delle parti da unire; a questa soluzione hanno perciò fatto ricorso diversi tecnici. L’albero della Gilera 4 cilindri da Gran Premio (ultima versione) era formato da cinque soli pezzi, anche perché i quattro cuscinetti di banco centrali avevano l’anello esterno e la gabbia divisi in due parti. I rulli lavoravano quindi direttamente sui perni di banco (i due cuscinetti esterni invece venivano infilati sui perni).
Questo schema è stato impiegato anche nelle ultime MV 500, nelle quali però l’albero (che poggiava anche in tal caso su sei supporti di banco) era in un maggior numero di pezzi. La scelta di impiegare cuscinetti scomponibili (con anello esterno e gabbia in due parti) rendeva indubbiamente più semplice la realizzazione dell’albero, ma dal punto di vista tecnico costituiva un compromesso. Si trattava comunque di motori da competizione, ai cui componenti non era richiesta una grande durata.
Nella Benelli 250, progettata dall’ing. Savelli, l’albero a gomiti poggiava su ben otto supporti di banco (un autentico record, per un quadricilindrico in linea!). I cuscinetti non erano scomponibili (né gli anelli esterni né le gabbie erano scomponibili); essi venivano quindi inseriti sui perni dell’albero. Si trattava di una realizzazione raffinata dal punto di vista meccanico ma molto impegnativa sotto l’aspetto costruttivo.
La 500 della casa pesarese dei primi anni Settanta, disegnata da Piero Prampolini, adottava invece la stessa soluzione impiegata sui quadricilindrici da competizione Honda, con l’albero che poggiava su 6 cuscinetti di banco, inseriti sui perni unitamente ai loro supporti. Questi ultimi erano privi di cappello e venivano poi fissati al semibasamento superiore mediante viti.
All’inizio degli anni Settanta sono entrati prepotentemente in scena i quadricilindrici costruiti in gran serie. Mentre la Honda è passata subito agli alberi a gomiti in un sol pezzo, la Kawasaki ha dotato la sua famosa Z1 di 900 cm3 (poi portati a 1000) di un albero composito, che poggiava su 6 cuscinetti di banco a rotolamento ed era formato da 9 pezzi uniti per forzamento. Quando ha cominciato a costruire le sue moto bialbero a quattro cilindri, anche la Suzuki ha seguito inizialmente questa strada. Poi è passata, come del resto la Kawasaki, alla soluzione che prevede un albero monolitico lavorante su bronzine. Tuttavia, ancora nei primi anni Ottanta la GSX 1100 e la Katana di eguale cilindrata impiegavano motori a sedici valvole nei quali l’albero era di tipo composito (9 pezzi) e lavorava su cuscinetti a rotolamento.
Oggi i bicilindrici a quattro tempi con architettura in linea hanno tutti l’albero a gomiti in un sol pezzo. In passato le cose stavano però diversamente, in particolare per quanto riguarda le piccole cilindrate. La Honda sui suoi modelli degli anni Sessanta ha impiegato due schemi diversi. Quando la catena di distribuzione era laterale l’albero poggiava su due cuscinetti di banco ed era in quattro parti, con un unico perno di manovella che attraversava il grosso volano centrale e “serviva” due bielle. Quando invece la catena era centrale, l’albero poggiava su quattro cuscinetti di banco ed era in cinque parti. Questa stessa soluzione è stata impiegata dalla Laverda per le sue bicilindriche di 750 cm3 (e anche per la successiva 500 a otto valvole, nella quale le manovelle erano disposte a 180° invece che a 360°).
In quanto alle famose bicilindriche inglesi di una volta, impiegavano un albero a gomiti in tre parti (due semialberi che si univano al grosso volano centrale mediante flange e viti con dado) la Norton e la Triumph (fino a tutti gli anni Cinquanta); in entrambi i casi i cuscinetti di banco erano due soltanto.
I bicilindrici boxer BMW da fine 1969 sono stati dotati di un albero monolitico che lavorava su bronzine. Prima però avevano un albero composito, formato da cinque parti unite per forzamento, e cuscinetti di banco e di biella a rotolamento.
Un doveroso cenno meritano anche i bicilindrici paralleli a due tempi, per i quali i cuscinetti volventi e gli alberi compositi sono una necessità. Per realizzare questi ultimi, che di norma poggiano su quattro cuscinetti di banco (tra i due centrali viene piazzato un paraolio) e sono formati da 4,5 o 6 parti, i vari costruttori hanno impiegato differenti schemi. Il più semplice prevede che tutti i pezzi siano semplicemente uniti per interferenza. Per agevolare la fabbricazione e le riparazioni in svariati casi però si impiegano due alberi uguali a quelli dei monocilindrici, che vengono poi uniti centralmente da un manicotto con scanalature interne, o mediante un sistema a morsetto. Un’altra soluzione ancora prevede che i due perni di banco centrali, integrali con i relativi volantini, si uniscano entrando uno all’interno dell’altro.