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Acerbis nel 2013 farà 40 anni, come arrivate a questo traguardo?
«Compiamo 40 anni e vogliamo confermarci come un’azienda specializzata nello sport. Partiamo dalle moto, in origine solo il fuoristrada. Oggi guardiamo anche agli scooter e alle moto da turismo, con i prodotti della linea Urban e di quella Dual Road. Realizziamo anche caschi e stivali. Non ci sono solo le moto però. Una delle nostre nuove scommesse è il calcio, siamo partiti dai parastinchi in plastica e in carbonio e oggi produciamo tutte le protezioni necessarie ai calciatori».
Avete anche importanti business extra settore.
«Sì, ci siamo specializzati nella produzione di particolari che necessitano di un’alta tecnicità, come i serbatoi delle moto di serie, stradali e non. Non facciamo mai lavori banali».
Quali sono le aree in cui operate?
«Siamo presenti nel design, con la linea di prodotti per arredo esterno Design of love. Sono oggetti in termoplastico con un design esasperato, molto forte e barocco, difficili da produrre. Hanno avuto un successo incredibile. Abbiamo venduto a Disney Land di Los Angeles, a catene di alberghi importanti. Siamo riconosciuti. E riconoscilibili».
Se guardi indietro cosa vedi?
«Vedo l’azienda creata da mio padre, Franco. Oggi ci sono io. Siamo Acerbis e l’azienda porta il nostro nome. Guardando indietro vedo un’evoluzione portata avanti ogni anno con naturalezza. Oggi accontentiamo tutti con una linea di abbigliamento completa, i caschi, i ricambi per le moto. Oggi presentiamo il nostro concetto di shop Acerbis: che sia negozio monomarca o meno, vogliamo dedicare uno spazio unico, escluisvo ai nostri prodotti. Un’unica immagine Acerbis in tutto il mondo».
Acerbis ha sempre spinto molto sull’innovazione. Dapprima coi parafanghi in plastica, poi di recente con la sella in un pezzo unico senza tessuto. Siete ancora capaci di stupire i motociclisti?
«Nelle moto ci siamo concentrati molto sulle protezioni, sia pettorine che ginocchiere. Sono tutti prodotti omologati. Inoltre la nostra ultima ginocchiera è davvero innovativa: a contatto col corpo, col calore prende la forma delle tibia grazie al materiale speciale utilizzato. Dà un grande comfort anche dopo 7, 8 ore. Non crea abrasioni, la protezione non si muove».
La crisi economica è evidente. Come reagite?
«La nostra reazione alla crisi è stata quella di diventare più competitivi sui mercati europei nel rapporto prezzo/qualità, per restare vicini ai nostri clienti che da anni ci conoscono e ci apprezzano. Siamo nati in Europa e vogliamo rimanere ben presenti qui, come in America. Dall’altro versante abbiamo studiato con attenzione i mercati emergenti e abbiamo realizzato dei prodotti specifici per loro, con un’ottica internazionale. Abbiamo seguito il Sud America, il Sud Africa e l’Indonesia e realizzato prodotti ad hoc per loro».
E com’è andata?
«Il mercato apprezza un’azienda dinamica che investe nel prodotto con un’attenzione alle richieste dei diversi paesi. Siamo felici di com'è andata in questi ultimi anni all'estero».
Avere un’attività in Italia è premiante. Come capacità umane non siamo secondi a nessuno. Il cuneo fiscale è però troppo pesante, dobbiamo lavorare di più e fare più fatica per avere gli stessi risultati degli altri
L’Italia come risponde?
«L’Italia ha risposto bene nella prima parte del 2012. Negli ultimi mesi c’è stato un rallentamento. Noi vogliamo comunque restare vicini ai nostri clienti, perché il mercato italiano ci ha sempre dato tanto. Per tradizione, per passione e per riconoscenza vogliamo continuare a investire nel nostro paese».
Da imprenditore italiano che ancora opera in Italia, che giudizio dai al nostro sistema economico?
«Avere un’attività in Italia è premiante. Come capacità umane non siamo secondi a nessuno. Il cuneo fiscale è però troppo pesante, dobbiamo lavorare di più e fare più fatica per avere gli stessi risultati degli altri europei. I dipendenti sono troppo danneggiati dalla tassazione italiana, che fa da deterrente anche all’ingresso di nuovi investitori dall’estero. La nostra capacità di lavorare con passione è unica, noi italiani sposiamo il nostro lavoro, ce lo abbiamo dentro. Lo stato però deve ridurre la tassazione».