Harley Davidson Triple S: tutto il carattere delle moto di Milwaukee in due giorni

Ospiti di Harley-Davidson per provare tutte le sfaccettature del mondo H-D, comprese la LiveWire e un'estemporanea gara di Hill Climb con una Street Rod molto speciale
21 febbraio 2020

Nel 2018 la gamma Harley-Davidson ha ricevuto uno scossone con l'azzeramento delle Dyna e delle V Rod per lasciare spazio alla piattaforma Softail; una rivoluzione che avrebbe potuto far nascere qualche riflessione sulla diluizione della differenza tra i modelli della stessa piattaforma e sulla capacità di esprimere concetti e personalità diverse su tutte le novità (ben 100 previste tra il 2018 e il 2028).

Il Triple S di Harley-Davidson, al quale abbiamo preso parte la settimana scorsa in Spagna, è uno di quegli eventi perfetti per sciogliere ogni interrogativo su questa faccenda, non la presentazione di nuovi modelli quanto mostrarne le sfaccettature e i particolari, un evento dove il carattere delle moto viene messo in piena luce con un programma decisamente niente male:

- cinque Softail in prova (Fat Bob, Street Bob, Low Rider S, Sport Glide, Heritage 114)

- una gara di Hill Climb su una Street 750 modificata e battezzata XG Scrambler

- la prova della LiveWire elettrica per toccare con mano il livello della loro - diabolica - capacità ingegneristica.

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Si può ottenere dallo stesso, o quasi, telaio un ventaglio di proposte che riescono ad avere ognuna un proprio carattere, forte e distinguibile?

Arrivati a Malaga, il briefing serale con la splendida compagnia dei colleghi italiani ha spianato la strada ad una riflessione che si poggia su un fatto a volte poco sottolineato: Harley-Davidson ha fondato la sua vita sul mito, sui sogni di ragazzetti che oggi sono giovani adulti e possono permettersi quelle moto cui tutta l'iconografia del ribelle, della libertà e dello stare in moto come gesto di passione per la vita on the road, ha fatto riferimento negli ultimi sessant'anni; abbiamo assorbito ed elaborato questo racconto e abbiamo posto le bicilindriche americane su un piedistallo a rappresentarne la sineddoche di un motociclismo che in quanto americano era - ed è - felice, gentilmente rissoso, a tratti pieno di iperbolici eccessi, indissolubilmente ancorato alle tradizioni nonostante pensare all'America voglia dire riferirsi ad un continente giovane e per questo proiettato in avanti.

L'America viene percepita come un gigantesco teatro e le sue moto riflettono questa prospettiva sommando a volte alla loro funzione un carattere di puro oggetto. Pochi marchi sono insostituibili nel panorama culturale motociclistico come Harley-Davidson: le sue moto prescindono dai modelli e il nome basta a delineare una categoria, uno stile, un tipo di motociclista, fino a poco tempo fa pure un rumore e quindi la risposta alla domanda iniziale potrebbe essere che forse il cliente Harley-Davidson è insensibile alla piattaforma e molto più alle emozioni e al contesto.

Forse però questo è profondamente ingiusto nel senso che sminuisce il superlativo lavoro di caratterizzazione di una gamma di modelli che più diversi non si può, ammetto di esserci cascato anch'io, ma siamo qui per questo: il Triple S event (dove le tre S stanno per Sotftail, Sportster e Scramble) è il momento scelto dalla Casa di Milwakee per capire che la tavolozza di emozioni e di possibilità offerta dalla gamma H-D è molto ampia e che a dispetto dello schema motoristico uguale da sempre le loro moto hanno una poliedricità, quasi un eclettismo, che è possibile capire soltanto guidandole in rapida successione, salendo e scendendo dall'una all'altra per un test che non è una vera prova ma soltanto un modo per assaporare le declinazioni del mondo Harley e capirne al volo le differenze, a prima vista tutt'altro che scontate. Nel video trovate tutto!

Il primo giorno passa tra le colline andaluse in sella alle Softail più dinamiche.

Faccio subito conoscenza con la Street Bob e il suo manubrio altissimo, folle, duro e puro, insensato secondo le logiche comuni ma forse in qualche modo responsabile di una manegevolezza incredibile resa ancora più intrigante da un equilibrio di comportamento sulle curve che stupisce, a dispetto di una massa importante (286 kg) ma solo sulla carta: motore da 107 pollici cubi, prezzo tra i più abbordabili del listino con i suoi 15.250 euro, cui rimprovereremmo soltanto un freno anteriore a corto di potenza nelle frenate più impegnative.

Giù dalla Street Bob, col sorriso largo, e su verso la Fat Bob: il ruotone anteriore da 16 pollici calzato con uno pneumatico Dunlop da 150/80 ci fa storcere il naso. Invece, se temevamo che la moto si comportasse in modo incoerente tra avantreno e retrotreno (gommato 180/70) ci smentiamo subito: a parte essere stata una delle preferite di molti colleghi, abbiamo trovato molto confortante l'appoggio in curva e assente qualsiasi forma di inerzia dovuta alle dimensioni esagerate della gomma anteriore. La Fat Bob si guida con un piacere disarmante, appoggiatissima sulle coperture e con sospensioni (Showa) controllate. Collegato la manopola del gas c'è il Milwaukee Eight da 114 pollici, spinge e strattona la Fat Bob ad ogni minima apertura con un vigore che solo un bicilindrico di quasi 1900 cc può regalare. La posizione di guida è tra le più comode in assoluto, manubrio largo e non troppo alto, pedane avanzate ma non in posizione irrazionale e un doppio disco anteriore che frena forte. Mezzo ideale per giocare - tra le curve fino a 80/90 km/h - un brutto scherzo a qualche possessore di naked in cerca di delusioni.

La terza protagonista del primo giorno è la Low Rider S che avevamo già provato in anteprima: resta la nostra Softail "sportiva" preferita, e anche quella più vicina per comportamento ad una moto europea: quote ciclistiche, misure pneumatici, spinta del motore - anche qui il 114 pollici cubi - concorrono a definire una cruiser dalla spiccata attitudine alla bella guida sulle strade movimentate e mai come in questo caso vorremmo qualche grado in più di inclinazione statica. Continua a non farci impazzire l'altezza del manubrio ma di qui a dire che sia un problema per la guida ne passa. Sopratutto colpisce come la Low Rider S dissimuli i suoi quasi 300 kg e sappia rendere omogenea e sicura ogni manovra, comprese le inversioni ad u. Il prezzo di 20.300 (lo stesso della Fat Bob con il motore da 114 pollici cubi) ne fa una moto che vale tanto oro quanto pesa, con la quale si arriva alla pausa pranzo senza indolenzimenti.

Il pranzo è una scusa.

In realtà si fa strada il sospetto che Harley-Davidson stia svolgendo un esperimento sociale dove noi tester siamo le cavie: prendere una decina di motociclisti, lasciarli guidare a briglia sciolta tutta la mattina, far nascere tra di loro affiatamento, renderli sodali, cementare un certo spirito di gruppo. Poi riunirli attorno ad un tavolo per il pranzo e annunciare che tra poco sarà data loro una moto per un'informale gara di Hill Climb: saranno presi i tempi ma "just for fun". Come no.

È un attimo: gente che fino a prima si buttava pacche sulle spalle ora passa ad una distante cortesia di maniera, qualcuno sparisce per andare a verificare il percorso senza essere notato, la moto viene studiata nei particolari, ognuno si tiene per sé le proprie riflessioni e tutti siamo sicuri di possedere la vittoria in tasca, guardando in cagnesco quello che si pensa possa essere l'avversario più motivato. Ah, dite che era "just for fun", giusto.

Beh, la gara si svolge così: su una salita sterrata di settanta metri scarsi ci si deve lanciare al massimo fino percorrere l'unica curva, dove è fissata la fotocellula, quattro stint di prova, due per realizzare il miglior tempo possibile.

Le XG 750 Scrambler preparate da IDP Moto Limited per la gara rispettano in tutto e per tutto la filosofia dell' Hill Climbing: non sono altro che delle Street con l'avantreno della Street Rod, trasmissione a catena, private del silenziatore, equipaggiate con pedane da cross, protezioni, gomme Continental TKC80 e ammortizzatori posteriori Öhlins. Tutto il resto di serie nel perfetto rispetto della storia dell'Hill Climb, una categoria nata da amatori che con poche ed economiche modifiche provano il brivido della gara domenicale.

Inutile dirvi che la competizione è stata così accesa da rischiare di sfociare in un conflitto: io, che non sono un fuoristradista né un professionista dell'Hole Shot mi piazzo a metà classifica e porto a casa l'onore intatto. Vittoria per Stefano e divertimento a mille per tutti, ma voglio la rivincita.

 

Il secondo giorno si apre con la prospettiva di un giro un po' meno movimentato, in sella alle Sport Glide e alla Heritage 114.

La prima è una bagger convertibile: cupolino e borse si installano (e si rimuovono) in meno di due minuti con una semplicità disarmante trasformando la Sport Glide in una custom nuda. A parere personale, esteticamente è la più affascinante di tutte, specie in livrea nera, per il magico contrasto tra i cerchi in alluminio e le parti verniciate. Ci piacciono la posizione di guida che ispira veramente controllo e il carattere del motore da 107 pollici, meno la frenata sulla ruota anteriore che per avere il massimo dei voti dovrebbe aggiungere un disco in più. Il carattere è decisamente più touring rispetto alle moto provate il giorno prima, accentuato dal cupolino che protegge davvero pur non avendo volumi importanti come altre proposte Harley-Davidson. Costa 18.900 euro, al netto di tutti gli accessori.

La Heritage 114 è un tuffo nel passato, ma solo alla vista: poi ci si accomoda sul comodissimo sedile e si pensa cosa chiedere di più se non benzina e asfalto. Sul look anni '60 è stata costruita una moto modernissima e ansiosa di percorrere quanta più strada possibile senza fermarsi, grazie anche al cruise control la sensazione di relax e confort è totale; il protettivo cupolino fissato al manubrio riesce nella magia di non essere un ostacolo alla visibilità e non costituire una vela a velocità autostradali che potrebbero diventare "interessanti" grazie alla spinta del bicilindrico da 114 pollici cubi anche in sesta marcia. 24.800 euro per sentirsi in piena epoca surf.

Concluso il tour sulle cinque Softail, e apprezzate le differenze di feeling tra l'una e l'altra, ci aspetta il premio: un breve test sulla LiveWire elettrica.

Il filo logico seguito da Harley-Davidson è chiaro: dopo averci mostrato quanta personalità è possibile declinare in una sola piattaforma, la Softail, ora ci invoglia ad assaporare uno dei possibili scenari futuri della motocicletta. Niente preconcetti, solo due ruote e un motore, qualunque esso sia.

Vi dico subito che la LiveWire è la moto che rappresenta la vetta di tutta la gamma H-D in termini di comportamento dinamico e l'emozione è fortissima non appena si sale in sella e si "attiva" il motore elettrico. Se il peso di 249 kg può sembrare elevato, bisogna ammettere che sparisce anche soltanto spingendo a mano la motocicletta e non incute nessun tipo di timore: le sospensioni Showa, regolabili e con un'idraulica tendente al rigido, unite ad un baricentro azzeccato rendono la moto gestibilissima anche nelle curve strette dove l'elettronica fa la sua parte a contenere le derapate di potenza in uscita dalle curve.

Il motore è il protagonista indiscusso della LiveWire: sarebbero 107 cavalli e 116 Nm, sembrano almeno 150 cv e 200 Nm. In mappatura sport (la più aggressiva, ma sempre configurabile dall'utente nella risposta alla manopola e nel freno motore) l'accelerazione è entusiasmante e immediata, con i numeri sul TFT che crescono velocissimi. La connessione tra comando dell'acceleratore e ruota posteriore è perfetta, si riesce sempre a capire lo stato della trazione e ad erogare la potenza che si ha in mente, mentre quando si spalanca tutto la moto schizza in avanti con una forza che richiede un minimo di adattamento e molta attenzione a non superare i limiti di velocità.

Purtroppo il test si è svolto su strade piuttosto polverose e il feeling con le Michelin Scorcher appositamente progettate per la LiveWire non è stato il massimo, tuttavia abbiamo potuto saggiare non solo l'agilità nei cambi di direzione ma anche la potenza e la modulabilità dell'impianto Brembo al momento di frenare. A proposito di freni: la modalità rigenerativa del motore può esprimere, a scelta, da un lieve ad un deciso freno motore che però non mette mai in crisi.

Il rumore, il sibilo, della power unit è qualcosa di surreale, sopratutto se unito alla velocità alla quale la LiveWire è capace di portarti in meno di 5 secondi di gas (?) aperto e può forse anche essere uno dei tratti distintivi più personali di questa - lo ammetto senza vergogna - entusiasmante motocicletta che mi ha sorpreso ed emozionato come poche altre.

È presto per capire se questo sia veramente il futuro della mobilità: ci limitiamo ad affermare che tolta la benzina, il rumore, il feeling personale e diverso che ogni motore endotermico sa esprimere, il carattere e gli odori, Harley-Davidson nella LiveWire ha aggiunto divertimento e fascino tecnologico, coniando un carattere a se stante per la sua moto elettrica con la quale ha certamente centrato l'obiettivo di una moto facile da comprendere e da guidare. Elevato il prezzo (34.200 euro), ma ne vale la pena.

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