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E’ la globalizzazione, baby. Direbbe così un personaggio di un noir americano commentando l’effetto provocato dal nome di un modello di moto che, portato all’altro capo del mondo, provoca ilarità o, peggio, imbarazzo. Di casi del genere se ne contano tantissimi, un po’ per ingenuità ma anche per l’oggettiva impossibilità di poter conoscere il significato di una parola in tutte le lingue e dialetti del mondo. Anche se ci si può attrezzare. Chi scrive ha lavorato a lungo per una multinazionale dotata di un ufficio apposito che si premurava di verificare se i nomi dei prodotti (ma anche gli elementi grafici: in alcuni Paesi il gesto del pollice alzato ha un significato molto diverso dall’approvazione attribuitagli da noi occidentali) non potessero creare imbarazzo quando non proprio danno alle filiali dei vari Paesi nei quali i prodotti avrebbero dovuto essere commercializzati.
Capita quindi spesso che certi nomi vengano scartati in origine. Leggenda vuole ad esempio che la prima Ducati Multistrada dovesse chiamarsi Futa, come il celebre passo appenninico, ma che il nome sia stato cassato dopo aver riscontrato un significato osceno in altra lingua. Una volta si era più spensierati: Kawasaki battezzò la sua storica sportiva 900 con la sigla KZ900, e con questo nome la vendette sul mercato interno e statunitense. Al momento di esportarla in Europa qualcuno fece notare come la sigla KZ indicasse, in tedesco, i campi di concentramento nazisti della Seconda Guerra Mondiale (Konzentrationslager) e ad Akashi si affrettarono a cambiare la sigla in Z900.
Altri nomi invece passano, magari per il semplice motivo che certi modelli non verranno mai esportati nei Paesi dove causerebbero imbarazzo, o perché magari l’effetto si limita a far sorridere. Suzuki ha una lunghissima tradizione in materia: chi ricorda la concept Falcorustyco vista al salone di Tokyo del 1984? In molti si sono chiesti cosa diavolo volesse significare il nome, arrivando ad ipotizzare che qualcuno, in quel di Hamamatsu, ci desse dentro con il saké. Ipotesi che prese prepotentemente quota quando, tre anni dopo, Suzuki presentò l’altra (stupenda) concept Nuda. Il nome di per sé non aveva nulla di filologicamente comico, non fosse che era stato appioppato ad una moto dotata di carenatura completamente sigillata.
Involontariamente comico restando in casa Suzuki lo scooter Bara (mai esportato fuori dal Giappone): la parola in giapponese significa Rosa, ma qui da noi avrebbe dato adito a gesti apotropaici. Concludiamo la carrellata di casa Suzuki con la Cappuccino, minuscola spider arrivata anche da noi grazie ai miracoli dell’importazione parallela. I giapponesi, per molte cose malati di esterofilia a livelli patologici, adorano i nomi dal suono straniero e data la struttura fonetica della loro lingua (che non prevede parole che terminino con una consonante) trovano più semplice pronunciare le parole italiane che non quelle di qualunque altra lingua.
Il mondo delle auto peraltro offre numerosi esempi di “incidenti diplomatici” causati da nomi quantomeno inadatti ad alcuni mercati. Balzano all’occhio Mazda LaPuta (che in spagnolo indica una prostituta, come quasi tutti sanno anche da noi) oppure Opel Ascona e Honda Fit (indicano entrambe gli organi genitali femminili rispettivamente in spagnolo e portoghese ed in svedese e norvegese). Anche noi italiani ci siamo difesi bene, con la FIAT Ritmo che in alcuni causava involontarie assonanze con il ciclo mestruale femminile. Ma come non ricordare la Volkswagen Jetta (avete presente chi è lo Jettatore, vero?) oppure, tornando a razzo ai nostri tempi, la SsangYong Musso, parola indicante l’asino in dialetto veneto?
Tornando alle due ruote, in tempi andati si sono fatti notare Yamaha Vino (chissà se era dotato di test etilometrico ), ma arrivando in casa Honda – quella che ha innescato il nostro articolo – non possiamo non citare gli scooter Giorno (vietato usarlo dopo il calare del sole), e Dio; quest’ultimo arrivava anche da noi, all’inizio di quell’ondata di scooter nipponici che quasi annichilì i costruttori nostrani, tramite importatori paralleli.
Questo articolo semiserio nasce dalla presenza sul mercato indonesiano di una moto leggera da 150 cc denominata Honda Verza. Non abbiamo idea di cosa significhi la parola, né da che lingua sia presa, ma tenderemmo categoricamente ad escludere l’italiano. Riteniamo molto difficile che a Tokyo abbiano voluto richiamare l’idea di un ortaggio nel battezzare una moto commercializzata in Indonesia come sport-tourer, i canoni là sono un po’ diversi dai nostri come avrete capito, ma non crediamo comunque che un nome del genere possa essere valorizzante.
E voi? Ricordate nomi strani, bizzarri, divertenti per mezzi di trasporto a due o quattro ruote? Fatecelo sapere attraverso i commenti…