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Al Salone di Colonia del settembre 1982 Honda presentò la VF750F, un’attraente sportiva semi-carenata che per un paio d’anni fu reginetta della recente gamma di modelli con motori V4 derivati dal formidabile prototipo RSW1000 da corsa da 150 cv. Una moto prestigiosa, la nuova VF, il cui motore però risultò afflitto da congeniti problemi agli alberi a camme. Un motore che però venne costantemente sviluppato, specialmente a livello sportivo: tant’è che nell’85 il famoso HRC (Honda Racing Corporation, nato nel 1982) sfornò la poderosa RVF750 per il Mondiale Endurance, che quello stesso anno si impose in due gare importantissime per i giapponesi: la 8 Ore di Suzuka e il Bol D’Or francese. Una moto sofisticatissima, l’RVF, dotata di un rinnovato V4 con albero motore fasato a 180° e della distribuzione azionata da cascata d’ingranaggi.
E proprio da quella moto nacque una sportiva stradale destinata a divenire una pietra miliare della storia del motociclismo, e che andava appunto a sostituire quella VF750F che aveva creato problemi di immagine per Honda. L’arrivo della nuova “arma” giapponese era dunque nell’aria, sicché alla sua prima presentazione statica, già nel settembre dell’85, un po’ tutti i presenti si attendevano una sorta di replica di quella bellissima racer che aveva già dimostrato in gara una grande affidabilità. Ma la nuova arrivata era diversa: sportiva si, ma senza connotazioni racing come le intendiamo oggi. Del resto, la sua sigla era un anagramma di quella della progenitrice: si chiamava VFR750F (ma per i più "impallinati" era la RC24, sigla ufficiale di mamma Honda, mentre per molti presto diventò affettivamente la “Vufer”), era snella, elegante e tutta bianca. E naturalmente durante quel press meeting non ci fu alcuna possibilità di farci almeno un giretto: il lancio ufficiale in pista, infatti, sarebbe avvenuto nel marzo dell'86, sulla nuovissima pista spagnola di Jerez de la Frontera. Uno dei numerosissimi presenti a St. Tropez, però, osò premere il pulsantino d’avviamento: il rumore che ne uscì era strano, un borbottio che somigliava quello di un bicilindrico fin troppo silenziato allo scarico, accompagnato da quello meccanico generato dagli ingranaggi della distribuzione.
Quel meeting in Costa Azzurra, insomma, fu un po’ una delusione, perlomeno dal lato "rumore". Almeno fino a quando (visto che al test spagnolo partecipò il collega Maurizio Gissi) qualche mese dopo presi parte al test del primo radiale posteriore realizzato da Dunlop, organizzato al Circuit Paul Ricard di Le Castellet. Tra le numerose moto in prova, infatti, c’era anche la VFR. Una sola VFR. Inutile dire che tutti i presenti cercarono di accaparrarsela, e a me fortunatamente riuscì abbastanza facilmente. Dopo 200 metri ne ero già invaghito, amavo già il V4 come se lo avessi sempre conosciuto, e tanto fu l’entusiasmo che già al primo giro affrontai piuttosto allegramente il veloce curvone di Signes, a metà del quale mi partì progressivamente il retrotreno: fortunatamente, l’istinto mi aiutò a evitare una figuraccia, mentre mentalmente mi prefiguravo il disastro e i costi dei ricambi; e poco vale dar la colpa ad una gomma posteriore non ancora ben in temperatura, e soprattutto gonfiata a 2,9 bar! (come da capitolato Dunlop). Comunque sia fu un mio errore, ma fortunatamente evitai la catastrofe, e relativa figura del babbeo. Quel test durato pochi giri, giusto per la cronaca, mi colpì al cuore, sicchè l’anno successivo la “ragazza” entrò nel mio box. E dopo pochi giorni fu equipaggiata con un leggerissimo - e non propriamente silenziosissimo - terminale di scarico americano Kerker.
Sappiamo tutti che la saga del V4 Honda generò svariate versioni di VFR750, 800, arrivando ultimamente a quota 1200 cc.
E sappiamo anche che la RC24 vinse a man bassa un po’ ovunque nelle gare per derivate di serie: notevole il suo debutto in una gara "baganata" del popolarissimo Transatlantic Challenge inglese dell’86, dove Ron "Rocket" Haslam ne portò al terzo posto un esemplare praticamente standard prelevato da un concessionario, in coda alle due VF750F preparate di Roger Burnett e Roger Marshall.
E nel Campionato AMA Superbike Fred Merkel, Wayne Rainey e Bubba Shobert vinsero un titolo ciascuno. Negli States, tra l'altro - com'era del resto era già accaduto per la VF - inizialmente arrivarono le versioni da 700 cc della VFR (che laggiù si chiamava Interceptor): una cilindrata oltre la quale le tasse di immatricolazione salivano parecchio, per meri motivi protezionistici a favore di Harley-Davidson. Nell’87, però, Honda si presentò alla 24 Ore di LeMans con un nuovo prototipo a pistoni ovali: era la NR750 Le Mans, appunto, bolide da ben 155 cv, quindi la moto più potente fino ad allora costruita dal colosso nipponico.
Di nuovo una racer sofisticatissima, insomma, destinata però a breve vita: in prova spiccò il secondo miglior tempo, ma in gara si ritirò per rottura dopo tre ore, poi vinse una gara in Australia, e stop.
Nella nostra fotogallery trovate un ritaglio della Gazzetta Dello Sport risalente a maggio 1987 con il test della NR 750 che corse a Le Mans, svolto dal collega Maurizio Gissi sul circuito francese Paul Ricard.
Alla 8 Ore di Suzuka del 1987 apparve invece la leggendaria RC30 (due volte iridata nell’88 e ’89 con Fred Merkel) che nel 1994 lasciò alla RC45 - che riacquisiva la sigla RVF - l’onore e l’onere di riprendersi il titolo iridato in Superbike, cosa che però accadde solamente nel ’97, grazie a John Kocinski. In Honda però il pallino dei pistoni ovali era duro a morire, e nel ’94 generò una stratosferica stradale realizzata in serie limitata: era la NR750 da ben 91 milioni di lire!
Di seguito potete dunque leggere la prova (completa di rilevamenti strumentali), realizzata nel 1986, della VFR750F RC24: una moto che ancor oggi può risultare molto piacevole da usare. E come regalo di fine anno vi alleghiamo anche i file pdf dei test in pista della RC30 e delle incredibili NR750 stradale e Le Mans. Sperando che il regalino vi sia gradito. Buona lettura!
“Dopo un periodo di relativa immobilità nella ricerca di superprestazioni, la Honda ha finalmente commercializzato l’attesissima VFR, che punta alla conquista dello scettro della sua categoria, finora gestito da Yamaha FZ e Suzuki GSX-R.
Ci riuscirà? Vediamolo assieme”.
Arriva la Honda VFR750F, forse la moto più attesa della stagione. Dopo il lancio ufficiale sulla nuovissima pista spagnola di Jerez, dove non si è potuto metterla veramente alla frusta a causa delle imperfette condizioni del manto asfaltato, tutti i giornalisti-tester del mondo, noi compresi, erano certamente con la bava alla bocca, ansiosi di verificare quello che realmente la nuova settemmezzo giapponese poteva offrire in termini di prestazioni globali. Ma prima, un po' di storia.
Il motore VFR è diretto discendente di quello presentato per la prima volta nell'ormai lontano 1982 sulla VF750S, e successivamente sulla prima sportiva della serie, la VF750F presentata a Colonia a fine settembre dello stesso anno: un V4 a 90° dunque, con quattro valvole per cilindro e raffreddamento a liquido, impiegato da allora con indiscutibile successo in tutto il mondo nelle gare della categoria production, superbike e nei campionati di durata, vero banco di prova per la produzione di serie. E dell'esperienza maturata in tutte queste corse il motore della VFR, come vedremo, è un vero concentrato. La Honda VFR750F nasce da una serie di approfonditi studi relativi alle richieste del mercato, che hanno portato a definire degli obiettivi ben precisi circa la realizzazione della moto che doveva rappresentare il top della sua categoria: una moto leggera ed affidabile, con un motore capace di fornire almeno 100 cavalli ed una erogazione il più favorevole possibile; inoltre la manutenzione doveva essere semplice e poco frequente. Per quanto concerneva la linea, i tecnici della Honda hanno saggiamente optato per un design non strettamente legato all’immagine di una “replica”, come per la VF1000R e la NS400R: la nuova 750 doveva essere sì una moto dalle superprestazioni globali, ma improntata decisamente all’eleganza ed alla razionalità delle forme, per poter soddisfare un maggior numero di possibili utenti, compresi quindi i non amanti delle esasperazioni di netto stampo sportivo.
Ma esaminiamolo assieme, questo notevole pezzo di meccanica facente parte, come i responsabili della Honda tengono a sottolineare, della "seconda generazione V4": una struttura tecnica alla quale casa Honda ha sempre creduto ciecamente (e i risultati ne sono testimoni): infatti, tale tipo di motorizzazione ha il medesimo ingombro laterale di un bicilindrico, quindi i carter sono notevolmente più stretti rispetto a quelli di un quattro-in-linea, consentendo angoli di inclinazione maggiori unitamente alla possibilità di essere montato più in basso nel telaio, a tutto vantaggio del baricentro della moto. Inoltre, lo stesso albero motore risulta ovviamente molto corto, e conseguentemente più rigido; minore è anche il numero di cuscinetti di banco utilizzati, con sensibile diminuzione delle masse in rotazione, degli attriti e relative perdite di potenza. Il tutto, unitamente all'adozione del raffreddamento a liquido, consente notevoli valori in termini di regimi rotazionali e di potenza massima, riducendo molto lo sforzo (da parte del motore) per ottenerli; senza scordare il miglioramento della coppia e della risposta in accelerazione. Tutti questi concetti sono stati affinati, arricchiti dal notevole bagaglio di esperienze derivanti dalle corse, e riversati nella progettazione del nuovo propulsore, completamente rinnovato e molto più leggero e compatto di quello della VF750F dell’83.
Ecco i risparmi in termini di pesi (in grammi) relativamente ai vari componenti: una biella 90 grammi; un bilanciere 6 gr; una valvola 0,5 gr (aspirazione) e 1,5 grammi (scarico); un pistone 5 grammi; una molla valvola 17 grammi. Le bielle ora vengono cementate, mentre fasce e segmenti raschiaolio sono più sottili dei precedenti. Altre migliorie riguardano i bilancieri: ora sono uno per ogni valvola, e la regolazione del gioco delle punterie avviene tramite perni filettati che si appoggiano inferiormente su sferette a basso attrito. Inoltre, gli alberi a camme, che nelle precedenti versioni hanno spesso sofferto di problemi di cementazione, sono stati completamente ristrutturati e alleggeriti. Profonda innovazione ha investito il sistema di distribuzione: come sulle moto da corsa e sulle VF1000R ed F, ora gli alberi a camme sono azionati da una serie di ingranaggi in cascata (quattro per ogni bancata) con una diminuzione degli attriti del 30% rispetto al sistema a catena. Un occhio di riguardo è stato volto anche all'aumento dell'efficienza combustiva: l'angolo compreso tra le due batterie di carburatori (che ora sono da 34 mm) è stato ridotto da 72 a 52 gradi, maggiorando il diametro delle valvole di aspirazione e ottenendo, grazie anche al compattamento delle teste, condotti molto rettilinei. Nuova anche la scatola filtro, dalla capacità di ben 7,2 litri.
Per quanto riguarda lo scarico, ora sono accoppiati tra loro i due cilindri di sinistra ed i due di destra (prima lo erano i due anteriori e i due posteriori): ciò è conseguente alla rifasatura dell'albero motore, che ora ha gli alberi a gomito a 180° (sempre con due bielle su ogni asse), per consentire un intervallo più regolare tra gli scoppi e migliorare flussi di scarico. Potenziato notevolmente il sistema di lubrificazione, al quale presiede una doppia pompa trocoidale: questa aspira olio dalla coppa (di capacità maggiorata) e lo invia al nuovo radiatore in alluminio, indi da questo lo preleva per farlo fluire verso gli organi vitali del motore: ciò consente un sensibile abbassamento della temperatura d'esercizio (quantificabile in ben 20°C); potenziati anche i condotti che portano l'olio agli alberi a camme, sui cui lati viene spruzzato tramite ugelli. La trasmissione primaria è a ingranaggi a denti dritti; la frizione è a dischi multipli in bagno d'olio, con comando, come ormai è consuetudine, idraulico; e il cambio è a sei marce.
Completa il quadro l'accensione elettronica completamente transistorizzata, così come il relativo anticipo. Per quanto riguarda gli interventi manutentivi, c'è da dire che sono state adottate varie soluzioni per semplificarli il più possibile (vedi regolazione gioco punterie, manutenzione carburatori etc.): nota saliente a tale proposito riguarda il radiatore del liquido di raffreddamento, che può ruotare in avanti in quanto incernierato superiormente e dotato di tubazioni più lunghe: in tal modo non è più necessario vuotare il circuito per intervenire sulla zona alta del propulsore. Ottimizzata anche la posizione del filtro (esterno) e del tappo di scarico dell'olio motore. Una riprogettazione praticamente completa quindi, che ha fruttato un formidabile motore per il quale i tecnici dichiarano l'entusiasmante potenza di 105 cavalli a 10.500 giri, con un valore di coppia massima di 7,6 chilogrammetri a 8.500 giri.
Il sofisticato telaio in alluminio della Honda VFR 750 è costituito da una struttura "a diamante", con motore praticamente appeso ad essa. È composto da un doppio trave superiore in tubi d’alluminio estruso a sezione rettangolare (28x60 mm), che inferiormente termina in due piastre in fusione che fungono da alloggiamento per il perno del forcellone. Pure in fusione è il cannotto di sterzo, dal quale si dipartono verso il basso altre due travi (da 30x40 mm). Il traliccio che funge da supporto per la sella ed i servizi invece è in acciaio, ed è fissato al telaio stesso con quattro bulloni. Si tratta di un complesso strettamente derivato da quello delle Honda Campioni del Mondo di Endurance, e vanta una rigidità superiore ben del 50% rispetto a quello della precedente VF750F: il tutto con un peso di soli 14 chili! Anche il robusto forcellone è realizzato in alluminio, parte in tubi rettangolari estrusi e parte in fusione (nella zona del perno), e pesa mezzo chilo meno di una struttura convenzionale.
La forcella Showa con steli da 37 mm è oleopneumatica: la sua regolazione è limitata unicamente alla pressione dell'aria (tramite due valvole indipendenti poste alla sommità degli steli), mentre non c'è possibilità di tararne il freno idraulico; inoltre è provvista di una versione aggiornata e compattata del dispositivo anti-affondamento TRAC, regolabile su quattro posizioni. Anche la sospensione posteriore progressiva Pro-Link a singolo ammortizzatore questa volta è regolabile solo nel precarico molla (tramite la già citata manopola sotto il fianchetto sinistro). Le nuove ruote a tre razze in lega di alluminio pesano complessivamente un chilo meno delle precedenti versioni: sono da 16 pollici anteriormente (con canale da 2,50 come sulla VFF) e da 18 dietro, ma ora il cerchio ha il canale maggiorato da 3.00 a 3.50 pollici.
Il potentissimo impianto frenante verte su due dischi anteriori da 276 mm e uno posteriore da 256, non flottanti, abbondantemente forati e calettati direttamente sulle ruote stesse. Compattissime e leggere, le pinze anteriori a doppio pistoncino godono dì un particolare esclusivo: infatti, per la prima volta su una moto di serie, sono trattate con un plasma ceramico al fine di ridurre la distorsione termica ed aumentarne la rigidità. Sempre per ridurre la distorsione termica, e aumentare il coefficiente di attrito, anche le pastiglie dei freni sono in metallo sinterizzato contenente materiale ceramico in ragione del 40%.
Il risparmio in termini di peso di tale impianto frenante rispetto alle precedenti versioni è di ben 2,6 chilogrammi. Concludono il quadro della ciclistica i pneumatici Dunlop K155, da 110/90 anteriormente e 130/80 dietro.
Lo staff dirigenziale Honda al completo aveva presentato alla stampa mondiale per la prima volta la VFR750F a St. Tropez, lo scorso settembre, subito dopo che la sofisticatissima RVF da endurance, guarda caso, aveva vinto il mitico Bol d'Or. Si trattò di una presentazione statica, e la moto, nella sua candida livrea bianco latte (cui poi si aggiunse quella blu notte) lasciò in un primo momento un po' perplessi i presenti: tutti infatti attendevano appunto una replica della neo-vincitrice, anche a livello cromatico. La nuova moto invece era completamente bianca, e dobbiamo dire che ora, dopo averla avuto sott'occhio per un po', abbiamo finito per accettare di buon grado questa veste candida elegante e raffinata, contrappuntata da sottili fregi e logo in oro ed argento.
Le linee generali del mezzo si avvicinano molto a quelle della VF500 nella versione F2: un look equilibrato e piacevole, ingentilito anche dal faro perfettamente raccordato alla carenatura, dal parafango anteriore che avvolge gli steli della forcella, e dal bel gruppo ottico posteriore che sconfina ai lati del codino. Stupenda la carenatura, sulla quale spiccano le prese d’aria laterali, e gli specchietti retrovisori pure completamente bianchi, al pari degli indicatori direzionali. Splendido anche il telaio, la cui trave superiore corre parallela alla linea unica che raccorda serbato e fianchetti. Anche le nuove ruote a tre razze, con i dischi dei freni calettati direttamente su di esse, sono gradevoli e ben realizzate: va però detto che per mantenerne la resa visiva vanno tenute (come del resto tutta la moto) sempre perfettamente pulite. Abbastanza anonime invece le marmitte, cilindriche e completamente nere opache. Le finiture, come da lunga trazione Honda, sono sempre di ottimo livello (anche se abbiamo notato qualche inusuale segno di ossidazione su un paio di particolari della bulloneria): ottimo lo standard della verniciatura e delle decal, così come tocca livelli di eccellenza l’esecuzione di particolari quali il tappo del serbatoio, i comandi a pedale e l’anodizzazione chiara (preferita al classico opaco) dei semimanubri e relative parti accessorie - leve e le pompe di freno anteriore e frizione - e della piastra di forcella.
Sulle prime due moto viste a St.Tropez, la strumentazione era protetta da un plexiglas anti-riflesso troppo scuro, che ne offuscava notevolmente la visibilità, che successivamente è stato sostituito da uno ben trasparente. Il cruscotto è di aspetto inconsueto e piacevole, anche se non particolarmente ricco dei gadget cui la Honda ci aveva abituato tempo addietro (vedi VF750S e i due modelli Turbo). Al centro campeggia un contagiri scalato fino a 13.000, con zona rossa che inizia a ben 11.500 giri. La lancetta è in posizione di riposo sulle "ore 6". Ai lati del contagiri, contenuto in un alloggiamento di forma quadrata, troviamo a sinistra il tachimetro/contachilometri, con fondoscala a 270 km/h e anch’esso con lo "0" in basso; sopra di esso è piazzata la spia dell'indicatore direzionale sinistro. La parte destra del cruscotto, di forma simmetrica all'altra, contiene il termometro del liquido refrigerante e una serie di spie di controllo: indicatore direzionale destro, riserva carburante, folle, abbagliante, pressione olio. Avremmo gradito anche un orologio e un indicatore di livello carburante. Classici i comandi al manubrio: lo starter è coassiale al manubrio stesso, vicino al blocchetto di sinistra, e il pulsante del lampeggio è azionabile col dito indice; peccato manchi il dispositivo di rientro automatico degli indicatori direzionali. Molto comode le due rotelle zigrinate atte a regolare la distanza dalle manopole delle rispettive leve di freno e frizione. Il tappo del carburante, come ormai consueto sulle moto giapponesi di maggior prestigio, è di tipo aeronautico con chiusura a scatto, dalla tenuta esemplare. E sul fianco sinistro del serbatoio è alloggiata la grossa e comoda manopola del rubinetto della benzina.
La sella è trasformabile da mono a biposto togliendo la parte superiore del codino, fissata tramite due pomelli a vite (è sufficiente una moneta per farlo); il passeggero troverà un punto d'appoggio nel piacevole maniglione, manco a dirlo verniciato di bianco. Una volta asportata la sella stessa, bloccata da una perfettibile chiusura a serratura che funge anche da antifurto per il casco, si accede a un vano porta attrezzi e documenti. Tolto il fianchetto sinistro, sempre con l'aiuto di una moneta, si raggiunge l'utile manopola che serve a regolare il precarico molla del monoammortizzatore posteriore, tipo quello utilizzato per il Full-Floater Suzuki, per intenderci. Facile issare la moto sul cavalletto centrale, mentre la stampella laterale è fornita del solito pratico gommino che consente il suo rientro nel caso che, distrattamente, partendo la si dimentichi divaricata. Gli specchietti retrovisori offrono un buon campo visivo, sono ben fissi sui loro supporti e non disturbati da alcuna vibrazione. Il fascio luce anteriore è regolabile in altezza tramite una grossa rotella, raggiungibile non molto agevolmente infilando la mano sotto alla strumentazione. Quanto al clacson, ha una tonalità non potentissima.
La posizione in sella alla Honda VFR è quanto di meglio si possa desiderare come compromesso tra guida sportiva e turistica. Tutto è perfettamente sotto controllo, il busto è lievemente reclinato in avanti, le gambe hanno una giusta angolazione e sono ben alloggiate ai lati del serbatoio: ci si sente veramente a proprio agio insomma, e disposti a percorrere tanti chilometri a medie elevate, grazie anche al buon livello di protezione offerta dalla carenatura, almeno viaggiando da soli. In questo caso è infatti possibile tenere a lungo, in posizione seduta, velocità dell'ordine dei 210 chilometri orari indicati, oltre i quali è necessario un certo sforzo (relativo alle spalle e ai muscoli del collo) per raggiungere la massima velocità, sempre da seduti. Col passeggero a bordo, invece, le cose cambiano: evidentemente la sua presenza influenza i flussi che normalmente si chiuderebbero dietro al pilota, creando fastidiose turbolenze che impediscono di viaggiare senza sforzo oltre i 170 orari indicati. Non scordiamoci, inoltre, che il passeggero stesso è alloggiato più in alto di chi guida, e che se vuole avvicinarglisi deve sedersi proprio sullo sbalzo della sella; inoltre le pedane posteriori sono abbastanza alte e avanzate, costringendolo ad una posizione non molto naturale. La sella stessa non è morbidissima, e per avere il massimo comfort dalle sospensioni queste vanno tarate un po' sul morbido: specialmente il Pro-Link posteriore, che altrimenti è piuttosto secco come risposta alle asperità, visto che va indurito parecchio se, come vedremo, ci si vuole dedicare alla guida prettamente sportiva. Quanto alle vibrazioni, mantengono per tutto l'arco di utilizzazione del motore livelli praticamente inavvertibili dall' equipaggio, il che contribuisce non poco alla voce “comfort generale”.
L'avviamento è pronto in ogni condizione, spesso non serve neppure servirsi dello starter a motore freddo. Il suono che esce dai due scarichi è curioso, avevamo già avuto modo di notarlo alla presentazione in Costa Azzurra: grazie alla nuova strutturazione, infatti, al minimo ricorda abbastanza da vicino la "voce" dei bicilindrici Ducati; ma una volta avviati, questa curiosa caratteristica tende a scemare per far posto, con l'aumentare del regime di rotazione, ad un borbottio sommesso e quindi ad un ringhio rabbioso una volta superati i 6.500/7.000 giri, senza tuttavia poter essere paragonato all’entusiasmante ululato proprio del "venti valvole" della concorrente Yamaha FZ. Fantastica comunque la progressione del nuovo V4 Honda, la cui erogazione rimane praticamente uniforme dai 1.500 ai 12.000 giri ed oltre, fino al taglio del limitatore, senza avvertire più di tanto il classico "calcio nel sedere" tipico dei motori di elevate prestazioni: e citiamo ad esempio il rabbioso Suzuki GSX-R 750.
Ecco, forse da questo punto di vista molti amanti delle sensazioni forti potranno rimanere delusi, ed accusare il nuovo VFR di una certa mancanza di personalità, il che tuttavia non ci sentiamo di condividere in toto: certo, l'abbiamo detto, il fischio dell'FZ è certamente più eccitante, così come la rabbiosa appuntita erogazione tipicamente racing della GSX- R. Ma la personalità della VFR sta proprio nel fatto di sembrare un'"acqua cheta" rispetto alle sue concorrenti, con quella sua strana tonalità di scarico.
Ma provate a dare un occhio al contachilometri e al contagiri, quando tirate le marce al limite, provate a spalancare la manopola dell'acceleratore di colpo in prima o a pizzicare la leva della frizione in seconda, e vi ritroverete ad osservare il cielo con la ruota anteriore sollevata…e continuerete a farlo inserendo anche la terza ed oltre! Veramente molto eccitante, anche perché, volendo, potete andare tranquillamente a spasso snocciolando rapidamente le marce, tenendo la lancetta del contagiri sempre nella zona più bassa: la VFR si comporterà così da civile, pacata e divertente granturismo, disimpegnandosi più che agevolmente anche nel traffico cittadino.
Globalmente molto buono il comportamento della frizione, sempre ben modulabile e resistente agli sforzi; mentre il cambio, pur molto ben rapportato e generalmente dolce negli innesti, dopo qualche centinaio di chilometri, magari dopo un prolungato utilizzo in città, inizia a dar segni di funzionamento imperfetto, con non voluti passaggi nel rapporto precedente o successivo e anche qualche sfollata, se non lo si adopera con una certa decisione. Buona la trasmissione finale, mentre la primaria, alla fine della nostra prova completa di rilevamenti, cominciava invece ad accusare qualche gioco.
La VFR ci ha dato la medesima sensazione di sicurezza e di fantastica neutralità che già provammo con la più piccola, ottima VF500: stabilissima in ogni condizione, precisa nelle traiettorie impostate, facile da correggere e dotata di una frenata superlativa, senza palesi scompensi di assetto anche nelle staccate più incisive, la nuova 750 della Honda ci ha pienamente soddisfatti sul circuito Paul Ricard (dove l’avevamo provata durante la presentazione del primo pneumatico radiale posteriore di Dunlop, nda), così come sulle strade normali, permettendo anche notevolissimi angoli d'inclinazione. C'è da dire però che i migliori risultati in termini di stabilità si ottengono con le sospensioni tarate piuttosto rigidamente: e se ciò non compromette il perfetto funzionamento della forcella - che assorbe a meraviglia, seppur perentoriamente, le asperità più brusche senza problemi - il monoammortizzatore posteriore, in presenza di fondo stradale piuttosto irregolare, trasmette invece al pilota colpi secchi che ne mettono a dura prova il fondo schiena. Una taratura più morbida del Pro-Link rende invece il retrotreno piuttosto "dondolante" in fase di accelerazione all'uscita di curva. Ottima anche la stabilità direzionale alla massima velocità, almeno fino a quando non si consuma il pneumatico posteriore (nel nostro caso, dopo poco più di 1.500 chilometri, rilevamenti compresi): in tal caso sorgono evidenti problemi di ondeggiamento che in rettilineo si ripercuotono sull'avantreno.
Dicevamo della frenata. Fantastica nell'uso in pista, altrettanto si è rivelata su strada. Al non entusiasmante disco posteriore, che va sollecitato a dovere per mostrare una buona potenza senza arrivare a bloccare (e per noi va bene cosi), si contrappone un doppio disco anteriore che si distingue per mordenza e modulabilità formidabili: anche dopo ripetute sollecitazioni è sempre presente all'appello, consentendo costantemente frenate di livello elevatissimo anche dopo l'uso prolungato in pista. Molto validi i pneumatici di serie, sia in condizioni di asfalto asciutto che bagnato: molto omogenei nell'inserimento in curva, i Dunlop K155 si sono rivelati ottimi come tenuta generale, pur se inclini, come già anticipato, a consumarsi piuttosto rapidamente. Quanto a maneggevolezza, la Honda VFR merita una lode: nonostante il baricentro più alto rispetto a quello dell’agilissima Yamaha FZ, la Honda si comporta egregiamente sia nel traffico cittadino come nei percorsi misti, sia veloci che molto sinuosi.
Il capitolo inerente le prestazioni è quasi sempre il più agognato dal lettore impaziente, specialmente nel caso di una moto appetibile come questa Honda VFR, piuttosto che le mostruose Kawasaki 1000 RX e Suzuki GSX-R 1100, tanto per citare le "bombe" della stagione in corso. Nella tabella comparativa abbiamo inserito anche le due veloci race-replica con motore a due tempi da 500 cc, ovvero la Suzuki RG Gamma e la Yamaha RD, in quanto appunto concorrenti come prestazioni e prezzo, insieme alle 750 a quattro tempi FZ e GSX-R.
Tra tutte è la RG Gamma a detenere il record velocistico: ma si tratta, come nel caso della RD, di un tipo particolare di moto con la quale non tutti riescono ad entrare nella necessaria confidenza: meno versatile insomma. Tra le 750 invece, come prevedevamo, è la VFR è la più veloce, con ben 236 Km/h di punta a 10.900 giri indicati. Non sono i 240 dichiarati dalla Casa ma, via, non siamo poi così lontani, e non ci si può certo lamentare! Anche perché, scorrendo la nostra tabella dei rilevamenti, si potrà notare che la VFR ha primeggiato anche in accelerazione da fermo, con 11,8 secondi e ben 187 Km/h di velocità d'uscita (lo rammentiamo, con l'aggravio a bordo della nostra apparecchiatura di rilevamento Peiseler). In ripresa da 60 orari in sesta, la VFR ha impiegato 13 secondi esatti a percorrere 400 metri, uscendo dal tratto cronometrato a 147,5 orari, risultando così seconda alla Yamaha FZ. Ma si ritorna a valori record per quanto riguarda gli spazi di frenata: l'incredibile impianto della Honda, unitamente all'ottimo "grip" garantito dalle sue gomme, ha consentito alla VFR spazi di arresto tali da sbaragliare il campo, fermandola da 140 Km/h in soli 81,6 metri. La quantità di benzina super richiesta dalla nostra VFR non arriva mai a livello di esagerata esosità: il consumo massimo da noi riscontrato è stato di 8,6 chilometri al litro viaggiando a lungo al massimo, o quasi. Girando in città con un certo brio ci si può agevolmente attestare tra i 13 e i 14 Km/l, mentre andando a spasso non è difficile superare la soglia dei 17. L'autonomia media si aggira sui 270 Km, tenendo presente che, quando si illumina la spia della riserva, dopo pochi chilometri è necessario portare il rubinetto nella posizione relativa: dopo di ché, se si viaggia forte in autostrada, difficilmente si supereranno i 30 chilometri di percorrenza.
Globalmente, dunque, il nostro giudizio relativo alla "bomba al latte" (così ci piace definire questa nuova elegante Honda, che ci piace di più in livrea bianca che non nell'anonima versione blu) è estremamente positivo.
A testimonianza del fatto che i tecnici della Casa di Hamamatsu hanno fatto centro, lasciando per un po' sfogare i loro avversari sul piano prestazionale per arrivare poi con comodo con la loro proposta in quella che, secondo noi, a dispetto delle superprestazioni fornite dalle grosse moto da un litro ed oltre di cilindrata, rimane la classe regina.
Una classe nella quale si sente ormai da tempo la mancanza di una Kawasaki (la Ninja 750 da noi non è stata mai importata, in quanto idetica alla GPz 900). Per quanto riguarda le moto europee, invece, la Ducati F 1, la Bimota DB1 e la Guzzi V75 sono pur sempre delle bicilindriche convenzionali; e la stessa tricilindrica BMW K75 non può certo competere in termini prestazionali con le super-settemmezzo nipponiche, anche se dobbiamo dire che quasi tutte le moto citate sono tuttavia concorrenti in termini di prezzo.
Tornando alla Honda VFR750F, dunque, essa rappresenta una marcata evoluzione rispetto pur avanzatissima VF750F, riproponendosi come punto di riferimento nella sua classe di cilindrata. Non resta ora che all'utenza il giudizio relativo a quella che noi poniamo attualmente la moto al top della categoria: non una vera granturismo, ma una stupenda, elegante e versatile supersport.
Motore
Quattro tempi, quattro cilindri a V di 90° longitudinale, distribuzione bialbero a quattro valvole per cilindro, comandata da in-granaggi. Raffreddamento: a liquido (radiatore in alluminio), imbiellaggio: albero motore monolitico ruotante su quattro cuscinetti, con perni di manovella a 180°. Servizi: alternatore calettato direttamente sull'albero motore. Rapporto alesaggio/corsa 70,0 x 48,6 mm; cilindrata 748 cc; rapporto di compressione 10,5 ÷ 1; potenza massima (cv/giri) 105/10.500, coppia massima (kgm/giri) 7,6/8.500; carburatori: 4 Keihin VD 34; lubrificazione forzata a carter umido, con doppia pompa trocoidale e radiatore di raffreddamento olio; capacità circuito 4 litri.
Impianto elettrico
Accensione elettronica completamente transistorizzata, con anticipo elettronico; alternatore da 12V/350W; batteria: 12V/12AH, avviamento elettrico.
Trasmissioni
Primaria: ingranaggi a denti dritti, rapporto 1.939 (64/33); frizione: multidisco in bagno d'olio, azionata idraulicamente; cambio a 6 marce, rapporti interni, dalla prima: 2,846 (37/13); 2,062 (33/16); 1,631 (31/19); 1,333 (28/21); 1,153 (30/26); 1,035 (29/28); finale a catena, rapporto 2,812 (45/16).
Ciclistica
Telaio scatolato in alluminio, con telaietto supporto sella smontabile; struttura a diamante aperta inferiormente; interasse 1.480 mm; inclinazione cannotto 27,5°; avancorsa 108 mm; forcella oleopneumatica con steli da 37 mm , regolabile in precarico ed estensione, e con dispositivo anti-dive TRAC regolabile su quattro posizioni; sospensione posteriore Pro-Link con ammortizzatore teleidraulico regolabile in precarico (a manopola) ed estensione; forcellone in alluminio scatolato; escursione ant./post. 140/105 mm. Freni: doppio disco anteriore da 276 mm , disco posteriore da 256 mm , pinze a doppio pistoncino con pastiglie sinterizzate, al 40% in ceramica; pneumatici Dunlop K155, misure ant/post 110/90-V16/130/80-V 18.
Dimensioni e rifornimenti
Lunghezza 2.175 mm; larghezza 730 mm; altezza 1.170 mm; altezza sella 780 mm; peso a secco dichiarato 199 kg; capacità serbatoio 20 litri (riserva 4 litri).
Prezzo (chiavi in mano): 10.795.000 lire
Colori disponibili: bianco, blu
Garanzia 2 anni.
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