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Diciamolo subito, nessuno dei due è nato dentro la Ducati. Uno è stato progettato in Inghilterra, su incarico della direzione generale della casa bolognese, mentre l’altro ha visto la luce a Bologna, concepito e costruito da ducatisti purosangue all’esterno dello stabilimento di Borgo Panigale. Si tratta di due motori a tre cilindri in linea, molto diversi uno dall’altro in quanto a soluzioni costruttive anche se realizzati nello stesso periodo.
Il primo, esposto nel bellissimo museo Ducati, è un 350 da Gran Premio raffreddato ad acqua e con distribuzione (non desmo!) bialbero a quattro valvole per cilindro. Disegnato all’interno del famoso ente di ricerca e consulenza Ricardo nel 1971, pare sia stato assemblato a Bologna. Sicuramente a Borgo Panigale è stato effettuato lo sviluppo, che si è rivelato decisamente laborioso.
Il motore, dotato di un sistema di iniezione meccanico, avrebbe dovuto erogare quasi 80 cavalli ma la prima volta che è stato messo al banco ne ha prodotti meno della metà. Dopo un impegnativo e prolungato lavoro di messa a punto, che ha visto anche il passaggio alla alimentazione a carburatori, si è arrivati a circa 50 cavalli; la potenza era cioè inferiore a quella della quale disponeva una Yamaha 350 in libera vendita ai piloti privati, moto che inoltre era anche notevolmente più leggera. Tra la fine del 1972 e l’inizio del 1973 l’idea di gareggiare con questo tricilindrico, sicuramente non molto amato dai veri ducatisti, è stata finalmente accantonata.
All’inizio degli anni Settanta la direzione della Ducati aveva varato un programma che aveva come obiettivo la realizzazione di due moto da Gran Premio. La 500 doveva essere azionata da un bicilindrico con architettura a L (ciò avrebbe contribuito a lanciare la 750 di serie di imminente presentazione) e sarebbe stata disegnata e realizzata all’interno della azienda da Taglioni e i suoi più stretti collaboratori. Ciò è accaduto nei tempi previsti e la 500 ha corso, anche se non è stata in grado di incrinare la supremazia della MV Agusta. Per la 350 si era invece pensato a qualcosa di nuovo, che rompesse con i tradizionali canoni tecnici della casa e sfruttasse al meglio le più recenti soluzioni impiegate sulle auto da competizione.
C’è da chiedersi per quale ragione sia stata scelta la Ricardo per il progetto e non una azienda specializzata nei motori di altissime prestazioni come la Cosworth. Forse questo è dipeso dal fatto che all’epoca la Ducati era una azienda statale e che alcuni dei suoi dirigenti erano stati mandati lì per ragioni più che altro politiche e non avevano né passione né competenza in campo motociclistico. Magari cercavano di fare del loro meglio, ma le moto, specialmente se da competizione, non erano esattamente pane per i loro denti…
Il motore progettato dalla Ricardo aveva la distribuzione comandata da una cinghia dentata collocata lateralmente. Tra le sue caratteristiche più interessanti, in quanto al di fuori degli schemi usuali, vi era la testa realizzata in un’unica fusione con la bancata dei cilindri. Spiccavano anche i sei condotti di scarico (uno per ogni valvola, ossia due per ciascun cilindro).
Un motore nato dalla grande passione di alcuni personaggi che hanno fatto la storia della Ducati, che lo hanno ideato e costruito nel tempo libero: una volta terminato il normale orario di lavoro nello stabilimento di Borgo Panigale, si cambiava ambiente e si cambiavano i motori, ma sempre di moto si trattava
La storia dell’altro tricilindrico in linea di questo servizio è completamente diversa. Si tratta infatti di un motore nato dalla grande passione di alcuni personaggi che hanno fatto la storia della Ducati, che lo hanno ideato e costruito nel tempo libero. Una volta terminato il normale orario di lavoro nello stabilimento di Borgo Panigale, si cambiava ambiente e si cambiavano i motori, ma sempre di moto si trattava. E sempre strettamente legate alla Ducati. Spesso si trattava di modelli di serie da preparare per impiego agonistico. In questo caso però, dato che in fabbrica si parlava di un tricilindrico (il 350 da GP e si ventilava la possibilità di realizzare moto stradali con questo frazionamento), perché non realizzarne uno per vedere come andava? È stato così che Franco Farnè e Piero Cavazzi (detto il “re della fresa”) hanno varato il loro progetto, con il valido supporto del disegnatore Mazzanti.
Come si può vedere nelle foto, il basamento è di chiara scuola giapponese. In effetti si è partiti da un motore tricilindrico 750 Kawasaki da competizione, gentilmente fornito da Paul Smart, del quale alla fine sono rimasti il cambio, la trasmissione primaria e il semicarter inferiore. Tutto il resto è stato realizzato ex-novo. Per quanto riguarda la testa, dopo avere tracciato i disegni quotati sono stati costruiti i modelli e quindi si è provveduto alla colata in terra. I cilindri invece sono stati ricavati dal pieno, mediante lavorazioni alle macchine utensili effettuate da Cavazzi. Debitamente alettati, sono in lega di alluminio e hanno la canna in ghisa installata con interferenza. L’albero a gomiti e le bielle sono stati realizzati appositamente per questo motore, e non è stata una cosa semplice. Per la distribuzione si è fatto ricorso alla consueta soluzione Ducati dell’epoca, con un unico albero a camme (che in questo caso viene azionato da una cinghia dentata posta sul lato sinistro) e due valvole per cilindro, a comando desmodromico. La pompa dell’olio è stata per forza di cose collocata esternamente (all’interno del basamento, dimensionato in origine per un motore a due tempi, non c’era posto) e viene comandata essa pure per mezzo di una cinghia dentata.
Il motore ha una cilindrata di 750 cm3 e le misure caratteristiche sono quelle classiche dei monocilindrici 250 di Borgo Panigale (impiegate poi anche sul Pantah 500), con un alesaggio di 74 mm e una corsa di 57,8 mm. Questo tricilindrico, che ha visto la luce nel 1972-73, al banco ha fornito risultati molto interessanti; pare infatti che abbia erogato 116 cavalli a un regime di 11.800 giri/min, mentre i contemporanei bicilindrici Ducati della stessa cilindrata, sempre in versione corsa, ne producevano 85-90. Purtroppo non c’è stato un seguito. La Ducati ha puntato tutto sui bicilindrici e ha varato un programma di sviluppo di una serie di nuovi modelli; per il reparto esperienze è quindi iniziato un periodo di attività molto intensa. E poi, dopo l’orario di lavoro c’erano da seguire le moto portate in pista dalla mitica scuderia NCR. Farnè e Cavazzi non avevano più tempo per dedicarsi ad altro. Il loro tricilindrico è stato così accantonato, ma fortunatamente esiste ancora.