Per inviarci segnalazioni, foto e video puoi contattarci su [email protected]
Un bar, un tavolino come tanti altri identici nella piazzetta fresca di un pomeriggio di fine agosto. Due bicchieri di birra e un posacenere già colmo di cicche. Parcheggiati l’uno contro l’altra a ridosso del marciapiede accanto il bar, una mostruosa enduro quasi 1300 e uno scooter sembrano guardarsi in cagnesco. Siamo in provincia, nella provincia estiva che quando è inverno cade in letargo e i motociclisti la evitano, gli abitanti respirano e se ne parla solo in caso di cronaca nera; Gaspare Cocuzza ne è l’attuale star: eletto da un anno al parlamento nazionale è diventato il personaggio più famoso dei tremila abitanti del comune di Altomaccio e sta seduto nella sedia di destra; Antonino Lo Turco è il suo migliore amico, mai uscito dalla provincia e occupante stabile della sedia di sinistra al tavolino numero 6 dalle 18 alle 20 di ogni giorno, ferie comprese.
- Ecchetidevodire, Gaspare: non è che poi vada così male. Cioè, potrebbe pure andare peggio. Tipo, potremmo stare in un Paese dove andare in motocicletta è un reato e se non lo è tra poco lo diventa. Ti faccio un esempio: hai una moto e vuoi darla via per comprarne un’altra; oggi si può fare liberamente, ma ti immagini se invece lo Stato pur di rastrellare denaro ti chiede di saldare ogni pendenza prima di venderla? Tipo che se non prima paghi tutte le multe e bolli arretrati e dimostri di essere in regola col fisco anche sul piano personale, il passaggio di proprietà non si può fare? Insomma, quando si fanno le cose coi computer non è difficile incrociare i dati e bloccare la trascrizione al PRA e alla Motorizzazione.
- Mah… torto non c’hai… dici che può succedere? Vabbè, le tasse, le multe e i bolli vanno pagati comunque, non è che poi cambi tanto da com’è oggi. Finisce che ti arrivano pure gli interessi e le spese…
- No, ma il senso era che oggi basta possedere qualcosa per diventare un bersaglio, un presunto nonsochè criminale, possedere ti espone e col vento che tira oramai mi aspetto di tutto, pure che mettano fuori legge andare in motocicletta. In certi paesi è accaduto, sai?
- Eh? Ma che dici?
- Sì, in Birmania è vietato andare in moto in certe zone tra cui la capitale, non lo sapevi?
- Ok, ma è la Birmania! Pensi che possa succedere anche da noi?
- E lo chiedi a me? Tra noi due quello che è diventato onorevole sei tu. Se pensi che potrebbero fare dei controlli incrociati e alla minima irregolarità tagliarti fuori e rendere fuorilegge usare la moto… insomma siamo visti come gente che ha dei beni di lusso e che per di più è mezza pazza e con la prostata da curare…
- Ma va là, sarebbero dei pazzi incoscienti… con tutti quei soldi che ci girano attorno… già mi vedo i sindacati in piazza contro una legge che mette fuorilegge le moto e manda sul lastrico tutti i lavoratori italiani coinvolti nella produzione di motociclette, caschi…
- …ma anche concessionari, gente che espone nelle mostre scambio…
- No aspetta, cosa sono le mostre scambio? Un ritrovo notturno di motociclisti infoiati e promiscui?
- …seee… sono delle mostre dove chi ha dei pezzi di moto vecchie o motociclette d’epoca espone e vende la sua mercanzia; guarda Gaspare: non sembra ma hanno un grande seguito, c’è gente che ci campa. Tipo una fiera paesana ma molto più organizzata.
- Ecchemminchia! E le fanno le fatture e gli scontrini?
- Miiii… ma sempre a una cosa pensi? Lo vedi che da quando sei in parlamento sei diventato come loro? Ma che ti è apparsa la Madonna del Carmine e ti ha convertito al culto della legalità assoluta e irreprensibile?
- Sono tempi duri e tutti dovete fare… dobbiamo fare la nostra parte. Antò, da quanto tempo è che ci conosciamo? Venti anni? Di più?
- Forse sono diventati trenta, Gaspare.
- E quanti anni è che cerchiamo di cambiare questo Paese di m…
- Ah! Questo non te lo concedo! Va bene tutto ma il vilipendio dell’Italia…
- Volevo solo dire m…otociclisti indisciplinati, che avevi capito?! Sempre pronto a infiammarti! Calmo Antò, calmo. – il deputato sembrava cincischiare col telefono.
- Oh, Gaspare io sto calmo ma tu vedi di fare qualcosa ora che sei pure al governo; che essere famosi e rispettati in paese è bello ma io ti chiedo di più! Insomma la gente vive male, vuole risposte; mica sono tutti come me che mi accontento se ancora nessuno mi vieta di andare in motocicletta e tengo botta con le spese vive… e se sei arrivato a Roma lo devi all’appoggio mio e di tanti altri come me, quindi cerchiamo di parlare meno e di fare qualcosa di concreto! Ma chi lo avrebbe detto mai, tu che da studente avevi 18 in diritto costituzionale sei deputato e invece io che ho avuto pure la lode faccio il postino… Tu che da ragazzo avevi le moto più potenti e desiderate ora giri in scooter e io giravo col Ciao truccato regalatomi dal papà di Carlo, ho fatto sessanta rate per la mia endurona. Le cose cambiano, vero Gaspare?
- Amico mio, saremo pure al governo ma lo sai come funziona in politica: se non fai notizia non ti segue nessuno, non ti assegnano incarichi importanti e rimani solo una pedina alla quale è chiesto di votare secondo la volontà di partito: ti ritrovi con le mani legate e tante buone intenzioni. Lo sai chi è il mio modello?
- Sant’iddio, no. Vasco Rossi? Valentino Rossi? Paolo Rossi, il calciatore o il comico?
- Ferri. Il ministro Ferri, quello che nel 1988 si inventò il demenziale limite di 110 all’ora in autostrada. Quello non lo conosceva nessuno prima di allora, poi costrinse tutti a maledirlo per quel limite ridicolo già nel 1988 e da lì in poi la sua notorietà crebbe alle stelle.
- Ma se nemmeno lui rispettava quel limite, Gaspare!!
- Non è questo il punto! Se vuoi fare qualcosa che cambi questo Paese devi prima essere un personaggio noto! - esclamò Gaspare sbattendo il bicchiere di birra sul tavolo.
- Vuoi che accetti questo ragionamento da te che prima avevi la Kawasaki tre cilindri di tuo papà e adesso ti mortifichi con uno scooterone in nome del pragmatismo? Ma smettila, va… – Antonio spense la sigaretta appena accesa schiacciandola brutalmente nel posacenere.
- Non è il caso di arroccarsi in posizioni massimaliste! Io ho lo scooter perché è più pratico, quando avrò tempo da perdere per girare con le motociclette me ne ricomprerò una!
- Ah, e io secondo te ho tempo da perdere?
- Certo che non sei come me che a Roma inizio alle 8 e finisco dopo cena!
- Gaspare, tu vaneggi. – Antonino raccolse il cellulare dal tavolo e lanciò un’occhiata al cameriere che voleva dire “metti in conto”, estrasse le chiavi della moto dalla tasca e si alzò.
- Dove vai?
- A perdere tempo, qui mi sembra di impiegarlo peggio. Sei diventato come loro, complimenti. – aggiunse sprezzante.
- Aspetta dai… stai esagerando. – Gaspare teneva tra le mani il cellulare, sbirciando il display.
- Ti saluto. Mi godo gli ultimi giorni di ferie; e buon lavoro. – Antonino salì in sella e scattò rabbiosamente abusando del gas; si allontanò arrabbiato, non sapeva manco lui bene perché: forse gli pesava il fatto che il suo amico di infanzia fosse diventato un notabile nonostante il suo basso livello di cultura e di intelligenza. Sentiva il peso di una vita passata in quella provincia a menare il can per l’aia, mentre Gaspare aveva coronato l’ambizione di diventare qualcuno e non si accontentava! La propria vita gli appariva da piccolo borghese al confronto di quella dell’amico e magari era questa la ragione per la quale aveva acquistato una moto grossa e maschia; avrebbe potuto continuare ad andare per i colli e le valli con la sua media cilindrata ma aveva voluto dare alla sua passione il 100% della gratificazione contraendo un debito quinquennale colossale. Fatto sta che Antonino in quel momento guidava a velocità pericolose, trasferendo sull’asfalto la rabbia dei suoi pensieri.
Gaspare non doveva dirgli che andare in moto era perdere tempo, era stato un colpo basso. Un porsi a tutti i costi su di un piano più alto, su un pulpito, anzi no: su uno scranno da giudice. Ma chi si credeva di essere, poi
Gaspare non doveva dirgli che andare in moto era perdere tempo, era stato un colpo basso. Un porsi a tutti i costi su di un piano più alto, su un pulpito, anzi no: su uno scranno da giudice. Ma chi si credeva di essere, poi. Uno che in classe copiava e all’università arrancava. Uno che grazie al papà notaio era riuscito ad avere privilegi e favori, strade spianate e piccoli incarichi politici prima localmente poi su base nazionale. Un vero idiota, ma molto intelligente. Antonino si accorse che non ne valeva la pena, soprattutto non valeva la pena di sfogarsi in motocicletta e da una urlante terza marcia passò alla sesta tenendo il motore a duemila giri e lasciandosi superare dal vento che lui stesso aveva creato. La tensione gli scese, le gambe si rilassarono e al successivo incrocio lungo la statale si fermò allo “stop” mettendo entrambi i piedi a terra gentilmente, uno alla volta, come se aspettasse qualcuno. Cazzo, che caldo.
Carlo Guardo era un ex compagno di classe di Antonino e suo attuale compagno nella squadra di pallavolo di Altomaccio nella quale erano ritenuti quasi intercambiabili nel ruolo; entrambi alti e prestanti, condividevano la conoscenza di lunga data con Gaspare anche se Carlo proprio non lo poteva soffrire.
Mezzora prima, in un bar lungo la strada, Carlo aveva litigato per ragioni di gelosia con la moglie Lola, una mora formosa con ridicole velleità di cantante e show girl ma sfortunatamente ancora in attesa del treno giusto a 32 anni suonati. Cinque minuti prima si era rimesso in auto e diretto verso il paese, infuriato e distrutto; un minuto prima aveva ricevuto la chiamata della moglie e guidava col telefono tra la spalla e l’orecchio. Pochi secondi prima dell’impatto non si accorse che una moto si era fermata a quell’incrocio che tutti prendono in pieno senza nemmeno rallentare allo “stop” e travolse da dietro Antonino e la sua enduro 1300 in un pauroso incidente. Ci fu un lampo, poi il buio. I corpi dei due conducenti furono sbalzati sulla strada l’uno accanto all’altro, casualmente, e la sfortuna volle che il serbatoio della moto si rompesse riversando su di loro il contenuto trasformandolo in fiamme che avvolsero i corpi. Il casco di Antonino fu ritrovato a decine di metri di distanza.
Quando arrivarono i medici per uno di loro non ci fu più nulla da fare e per l’altro furono necessarie sedici ore di sala operatoria per dare una parvenza di umanità al volto devastato dal rogo. Fortunatamente le funzioni sensoriali e vitali non sembravano irreversibilmente compromesse.
Sei mesi dopo i medici furono possibilisti.
Un anno dopo erano molto pessimisti.
Tre anni dopo Antonino stupì tutti e si riprese dal coma, contro ogni previsione e superando qualsiasi auspicio si risvegliò. Strinse i pugni, piegò debolmente un ginocchio, aprì con uno sforzo sovrumano le palpebre e iniziò ad urlare. Urlava fortissimo, i medici gli si accalcarono attorno in pochi minuti e con loro i giornalisti. Molti giornalisti, più dei medici.
In questi tre anni, infatti, il caso di Antonino lo Turco era diventato di dominio popolare. Gaspare Cocuzza non aveva perso tempo e aveva colto l’occasione della vita. Immediatamente dopo il gravissimo incidente aveva radunato la stampa e dichiarato di volersi prodigare oltre ogni limite umano per il suo amico, per far sì che simili tragedie non potessero mai più ripetersi; quasi in lacrime, in preda ad una ostentata commozione, annunciò di avere in mente alcune urgenti e rivoluzionarie iniziative legislative alle quali appore il nome di “pacchetto sicurezza Nino lo Turco” in omaggio al fraterno amico caduto in coma pochi minuti dopo il loro ultimo caloroso incontro; uno dei pochi incontri a loro concessi da una coatta lontananza geografica mai talmente ampia da scalfire quella umana, un’amicizia che durava da trent’anni spezzata da un pirata della strada che guidava in preda all’alcol, oltre i limiti di velocità e parlando al telefono, su un mezzo poi rivelatosi privo di copertura assicurativa e intestato ad un prestanome magrebino.
Una sorta di reality show venne messo in scena dalla stampa e da Gaspare col consenso della famiglia Lo Turco, quest’ ultima con la speranza di tenerlo in vita il più a lungo possibile; Gaspare dietro la facciata di amico disperato per l’accaduto in realtà gongolava per l’irripetibile occasione di assurgere agli onori delle cronache politiche. Grazie anche ai rilanci sui social network la storia di Antonino e Gaspare divenne un tormentone di fine estate, rubando la scena alla cronaca nera più violenta; c’era bisogno di ottimismo, di buoni sentimenti come quelli messi in mostra dall’Onorevole Cocuzza e la gente era lì con la bocca aperta pronta a farsi imbeccare; Gaspare divenne il politico dal cuore d’oro, il deputato armato di coraggio e sapienza capace di canalizzare l’onda emotiva scatenata dal terribile incidente del suo amico; la sua notorietà travalicò i limiti del web e iniziò ad espandersi nelle numerose trasmissioni televisive di approfondimento politico nelle quali era invitato come ospite di prestigio, alzando lo share non appena inquadrato dalle telecamere; stando così le cose, il “pacchetto sicurezza Nino Lo Turco” proposto dall’Onorevole Gaspare Cocuzza fu rapidamente sottoscritto da tutti i partiti politici che volevano garantirsi il consenso dell’elettorato. Durante la votazione in Aula il Governo chiese la fiducia ma non ce ne fu bisogno, solo qualche sconsiderato dissidente osò disallinearsi e venne buttato fuori dal suo gruppo parlamentare. Fu un plebiscito popolare e dopo appena tre mesi dall’incidente di Antonino il “pacchetto sicurezza Nino lo Turco” divenne legge dello Stato Italiano.
Nel frattempo telecamere e cronisti sostavano incessantemente nella casa di cura dove era ricoverato Antonino; periodicamente venivano rilasciati bollettini medici per aggiornare il pubblico sullo stato di salute dello sfortunato postino ma col tempo e col persistere dello stato di coma l’attenzione dei media si affievolì, fino a risvegliarsi anch’essa quel giorno di tre anni dopo quando Antonino iniziò ad urlare di essere vivo.
Gaspare arrivò da Bruxelles col suo jet privato, radunò i suoi addetti stampa, i giornalisti, i medici e la famiglia Lo Turco e organizzò una conferenza in streaming nella quale non riuscì a non prendersi tutti i meriti, compresi quelli del risveglio lazzaresco dell’amico. Dal quel momento in poi Antonino venne tenuto in isolamento per sei settimane durante le quali riprese gradualmente conoscenza col mondo: le uniche persone alle quali era consentito avvicinarlo erano la mamma Elsa e, ovviamente, Gaspare che non mancò di scattare e pubblicare sui social network numerosissimi “selfie” assieme all’amico in pigiamone ospedaliero; purtroppo Antonino non era ancora in grado di articolare il linguaggio, nonostante tutte le funzioni motorie fossero quasi al 100%, ma nessuno se ne lamentava: già questo poteva considerarsi un miracolo e poi, forse, era meglio così; la memoria dicevano che sarebbe ricomparsa in seguito, con l’allentarsi della pressione farmacologica, in quel momento fortissima. Elsa era piuttosto in ansia per quello che sarebbe accaduto ad Antonino nel momento in cui avrebbe lasciato la sua camera di degenza dalle finestre oscurate.
Il giorno in cui Antonino fu dimesso fu organizzata una breve cerimonia dal personale sanitario che gli si era affezionato: non mancava nessuno, stampa, lo stato maggiore dell’Azienda Sanitaria Locale convocato dall’immancabile Gaspare, fotografi, tanta gente comune giunta lì apposta per vedere il redivivo in carne ed ossa. Elsa prese per mano il figlio e varcarono prima la soglia della camera di degenza poi percorsero il corridoio, presero l’ascensore e arrivarono fino al piano terra.
- Spazio per favore… inutile fargli domande non può ancora parlare… solo foto, grazie .
Elsa dirigeva le operazioni e cercava di aprirsi un varco tra la calca per arrivare fino all’automobile che li avrebbe portati a casa; i flash erano centinaia, Gaspare sorrideva e aveva gli occhi lucidi, bontà sua, mentre metteva una mano sulla spalla dell’amico e dispensava generosi consigli manco lo stesse accompagnando all’altare:
- Antò, tu sorridi e non ti fermare, poi se vuoi rilasciamo delle dichiarazioni con un comunicato stampa. Ce l’abbiamo fatta, sei contento?
Era tutto un giubilo, pareva una festa paesana nella quale si portava in giro il fercolo con il santo.
Antonino fece il primo passo fuori dal portone della casa di cura ostentando sicurezza e controllo ma si bloccò quasi subito, si girò verso la madre già rossa in volto per l’ansia e sbottò:
- Cosa cazzo sono quelle cose nel cielo?
Come prime parole dopo il coma, non era male.
(Fine della prima parte. La seconda e ultima parte sarà pubblicata il 12 settembre)