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Dopo i fasti degli anni Dieci e Venti del XX secolo, durante i quali le moto azionate da quadricilindrici in linea longitudinale hanno avuto una considerevole diffusione, le fortune dei motori realizzati con questo schema sono andate scemando.
Sul finire degli anni Trenta a costruire modelli a quattro cilindri in Europa erano rimaste solo la Zundapp con il suo boxer 800, la Ariel Square Four e la danese Nimbus.
Di queste ultime due la produzione è proseguita anche nel dopoguerra, ma non è durata a lungo. Così, mentre sulle piste le moto da GP con questo frazionamento hanno furoreggiato a lungo, utilizzando però motori con architettura in linea trasversale, le quadricilindriche di serie sono scomparse dalla scena per diverso tempo.
Nel secondo semestre del 1969 ha iniziato ad essere commercializzata la Honda CB 750 Four e per il settore motociclistico si è aperto un nuovo capitolo. Finalmente si poteva acquistare un modello moderno e prodotto in gran serie con motore a quattro cilindri in linea frontemarcia (come quelli delle moto da GP!).
Da qualche anno c’era la MV 600 (poi cresciuta a 750 e infine a 800 cm3), ma era azionata da un quadricilindrico che, raffinato quanto si vuole sotto l’aspetto meccanico, discendeva da un progetto che risaliva ai primi anni Cinquanta. Inoltre, la moto era costosa e non era certo destinata a una grande diffusione. C’era anche la Munch 4, ma impiegava un motore automobilistico (NSU), costava tanto e veniva prodotta da una azienda artigianale in numeri estremamente modesti.
La CB 750 ha avuto un successo eccezionale (anche perché forniva eccellenti prestazioni, aveva una affidabilità straordinaria e, prima moto di serie al mondo, era dotata di un freno a disco a comando idraulico) e non solo ha aperto l’era delle quadricilindriche moderne, ma ha anche indicato la strada da seguire a livello di manovellismo, con il suo albero a gomiti in un sol pezzo che lavorava interamente su bronzine. I perni di banco erano cinque, ma i due centrali erano piuttosto distanziati tra loro poiché fra di essi erano collocate anche le ruote dentate che azionavano ben tre catene: quella di distribuzione e le due della trasmissione primaria.
È interessante osservare che anche la BMW con le bicilindriche della serie /5, entrate in produzione nello stesso periodo, per quanto riguarda il manovellismo era arrivata alla stessa soluzione, adottando un albero monolitico e bronzine per il banco e per la biella, al posto dell’albero composito lavorante su cuscinetti volventi impiegato in precedenza.
Nella quadricilindrica Honda il motore era a corsa leggermente lunga, forse per contenere l’ingombro trasversale, e adottava una distribuzione monoalbero, probabilmente per semplificare la manutenzione. Le misure caratteristiche erano 61 x 63 mm e la lubrificazione era a carter secco, con serbatoio separato e due pompe a lobi.
La Kawasaki Z 900, entrata in produzione nel maggio del 1972, era frutto di una filosofia costruttiva notevolmente diversa. La distribuzione era a doppio albero a camme in testa, con eccentrici che agivano su punterie a bicchiere. L’albero a gomiti era composito e lavorava su cuscinetti a rotolamento.
I supporti di banco erano sei (tra i due centrali passava la catena di distribuzione) e la trasmissione primaria era a ingranaggi. In seguito anche la Kawasaki per le sue quadricilindriche è passata agli alberi a gomiti monolitici e alle bronzine.
La Honda ha continuato per diverso tempo ad impiegare sui suoi modelli a quattro cilindri in linea trasmissioni primarie “miste” (con primo stadio a catena) e cinque supporti di banco, con quelli numero 2 e numero 3 notevolmente distanziati tra loro. Nelle teste però si è avuta una notevole evoluzione, con passaggio alla distribuzione bialbero. Questa soluzione è stata adottata sulle nuove 750 e 900 a sedici valvole, che sono state commercializzate a partire dal 1979.
Nei loro motori per azionare la distribuzione venivano impiegate non una ma due catene (quella superiore era pressoché orizzontale e collegava i due alberi a camme). L’angolo tra i due piani sui quali giacevano le valvole era di 63° (5° in più rispetto a quello della precedente CB 750 Four a due valvole). Sembrava una scelta in controtendenza ma indicava chiaramente l’intento da parte dei progettisti di agevolare il passaggio dell’aria sopra la parte centrale della testa al fine di assicurare un efficace raffreddamento di tale critica zona.
La Suzuki, che come la Kawasaki si era per anni dedicata esclusivamente ai motori a due tempi, quando ha iniziato a costruire motori quadricilindrici a quattro tempi (il primo modello è stato il GS 750 con distribuzione bialbero, presentato nel 1976) li ha dotati di alberi a gomiti compositi che lavoravano su cuscinetti a rotolamento. In seguito è passata anche lei agli alberi monolitici e alle bronzine ma modelli famosi come i Katana hanno continuato ad impiegare alberi compositi anche nella prima metà degli anni Ottanta.
Alla Suzuki le quattro valvole per cilindro sono arrivate con la serie GSX, apparsa nel 1980. Una novità interessante era costituita dal passaggio dalle punterie a bicchiere ai bilancieri a dito.