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Ci sono tanti ottimi motori bialbero, ma non sono poi meno numerosi i motori monoalbero (eccellenti per diversi tipi di moto, e quindi di impiego). I primi vengono utilizzati su tutte le moto di prestazioni più elevate (sportive o da competizione) e su diverse altre.
Ma i secondi sono OK per un gran numero di altri modelli. In quanto alle distribuzioni ad aste e bilancieri, si impiegano di rado e solo su moto di tipi particolari, come le classic style, retrò e alcune custom.
Un caso molto interessante di modelli nei quali non di rado una distribuzione monoalbero può essere preferibile a una bialbero viene dal settore del cross o delle enduro competizione. Qui fase di progetto viene indicato l’ingombro massimo previsto per il motore. In altre parole, quest’ultimo deve rientrare all’interno di un ben preciso contorno (ossia di un perimetro tracciato dal progettista).
Non di rado, mentre adottando una distribuzione monoalbero è possibile soddisfare questa esigenza, con una testa bialbero, più ingombrante, non si potrebbe. In certi casi addirittura si fa ricorso a teste asimmetriche, con l’albero a camme piazzato non al centro della testa, ma sopra le valvole di aspirazione (che in genere sono le più pesanti), che vengono comandate mediante bilancieri a dito o punterie a bicchiere. Le valvole di scarico vengono invece azionate da uno o due bilancieri. La Honda ha sviluppato una distribuzione di questo genere denominandola Unicam, con a seconda delle versioni uno o due bilancieri muniti di rullo (per comandare le valvole di scarico) che non è destinata solo ai motori da fuoristrada.
Negli anni Settanta le distribuzioni monoalbero sono state largamente impiegate su alcune moto giapponesi di 400 cm3 con due cilindri paralleli, come la Kawasaki KZ, la Honda CB 400 N e la Yamaha XS, che hanno avuto una larga diffusione. Si trattava di modelli “tuttofare”, versatili, agili, senza particolari pretese prestazionali e dal costo contenuto.
La casa dei tre diapason aveva già in precedenza realizzato una eccellente bicilindrica monoalbero, la XS 650, nata per fare concorrenza alle moto inglesi come le Triumph Bonneville, rispetto alle quali era molto più robusta e affidabile. Da noi ne è arrivato un numero relativamente ridotto di esemplari, a differenza di quanto accaduto su altri mercati. Il motore aveva l’albero composito che poggiava su quattro supporti di banco e lavorava interamente su cuscinetti a rotolamento. Le manovelle erano a 360°.
Le successive 400 però, pur essendo sempre a due cilindri paralleli, impiegavano soluzioni differenti. L’albero a gomiti era monolitico e lavorava su bronzine, mentre a seconda dei casi i perni di manovella potevano essere disposti a 360° (KZ, CB) o a 180° (XS). In tutte queste moto la catena di distribuzione era piazzata centralmente e le canne dei cilindri erano in ghisa e venivano installate con interferenza.
Altri motori sui quali la distribuzione monoalbero ha dominato la scena, venendo adottata da case come Yamaha, Suzuki, Yamaha, Rotax e Cagiva, sono stati i monocilindrici degli enduro stradali, divenuti così popolari a partire dagli ultimi anni Settanta. Tutti avevano l’albero composito che lavorava su cuscinetti volventi. Quando si impiegavano quattro valvole, per azionarle si ricorreva a bilancieri sdoppiati. Addirittura la linea evolutiva dei grossi mono Yamaha è sfociata nella XTZ 660, apparsa nel 1991 e dotata di cinque valvole.
Si staccavano da questi schemi solo il Kawasaki KLR , che era bialbero, e il Gilera Dakota (e il successivo RC 600) che oltre ad essere bialbero aveva l’albero monolitico e lavorante su bronzine.
Nella storia della Ducati si è aperta una nuova pagina nel 1979 con l’entrata in produzione dei nuovi motori con comando della distribuzione (sempre monoalbero desmodromica a due valvole) affidato a due cinghie dentate
Nella storia della Ducati si è aperta una nuova pagina nel 1979 con l’entrata in produzione dei nuovi motori con comando della distribuzione (sempre monoalbero desmodromica a due valvole) affidato a due cinghie dentate.
Un’altra grande novità si trovava nel manovellismo. L’albero a gomito era monolitico, sempre poggiante su due grossi cuscinetti di banco a rotolamento, e le bielle avevano la testa scomponibile munita di bronzina. L’architettura era sempre a L, ma a differenza dei precedenti motori a coppie coniche ora il cambio era in cascata e l’albero a gomito girava in avanti.
L’angolo tra le valvole era passato da 80° a 60°. La prima moto che ha impiegato questo bicilindrico è stata la famosa Pantah, che veniva inizialmente proposta nelle cilindrate di 500 e 350 cm3. Da lei ha avuto origine una serie di modelli successivi, alcuni dei quali sono stati autentiche pietre miliari, come il famoso Monster. La cilindrata è stata via via aumentata, cosa che ha comportato la necessità di modificare svariati componenti, fino a risultare raddoppiata rispetto a quella originale.
La struttura d’assieme e le soluzioni impiegate non sono però mai state modificate. Oggi gli splendidi Ducati bicilindrici monoalbero raffreddati ad aria e con due valvole per cilindro sono sempre popolari sulle nostre strade.
All’inizio degli anni Ottanta è nata anche una nuova stirpe di bicilindrici Honda, destinata ad avere un impatto importante nella storia del motociclismo e ad equipaggiare modelli rimasti famosi come la Transalp e l’Africa Twin.
Il primo è stato quello della VT 500, apparsa nel 1983. Il motore, raffreddato ad acqua, aveva una architettura a V di 52° ed era caratterizzato tra l’altro dalla distribuzione monoalbero a tre valvole. Non veniva impiegato alcun albero ausiliario di equilibratura; per abbattere le vibrazioni si adottava una soluzione differente, che prevedeva la divisione in due parti opportunamente sfalsate del perno di manovella dell’albero a gomito.
Nel caso specifico la distanza angolare tra le due parti in questione era di 76°.
Dalla versione iniziale di 500 cm3 (alesaggio x corsa = 71 x 62 mm) questo motore ha subito una evoluzione che ha visto aumentare più volte la cilindrata. Le versioni di 600 e di 650 cm3 avevano la stessa corsa (66 mm) ma alesaggi differenti (rispettivamente 75 e 79 mm). Quella di 750 cm3, utilizzata sull’Africa Twin dal 1990, aveva un alesaggio di 81 mm e una corsa di 72 mm.