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Di recente abbiamo parlato di teste a cinque valvole realizzate da due case italiane per equipaggiare alcuni nuovi motori, che purtroppo non sono usciti dalla fase sperimentale. Uno di essi era un bel bicilindrico a V di 60° progettato e costruito, come prototipo, dalla Aprilia quando l’azienda stava pensando di allargare verso l’alto la sua gamma, nella prima metà degli anni Novanta. Si trattava di un motore dalla tecnica moderna e raffinata, studiato all’insegna della massima compattezza, con l’obiettivo di destinarlo a modelli sia sportivi che turistici e, naturalmente, agli enduro stradali. Questi ultimi erano particolarmente cari alla casa di Noale, che aveva qualche tempo prima iniziato la sua scalata verso cilindrate crescenti utilizzando un monocilindrico monoalbero prodotto dalla Rotax, che aveva poi fornito all’Aprilia anche il successivo cinque valvole bialbero raffreddato ad acqua di 650 cm3.
Con il suo inedito bicilindrico l’azienda veneta stava anche valutando l’eventualità di intraprendere l’ambiziosa strada della totale autonomia da fornitori esterni, per quanto riguarda i motori. La Rotax stava studiando un grosso bicilindrico a V, ma si prospettavano tempi lunghi per il suo sviluppo e la sua industrializzazione (e infatti la RSV Mille, che lo ha impiegato, è entrata in produzione proprio sul finire degli anni Novanta).
Il motore studiato dall’Aprilia per il suo ingresso nel settore delle grosse cilindrate era un bicilindrico a V di 60° con distribuzione bialbero a cinque valvole realizzato in base ai più avanzati orientamenti della tecnica quattrotempistica. Il comando della distribuzione era affidato a due catene Morse, collocate sui lati opposti del motore. Questo consentiva di impiegare teste identiche per i due cilindri (disponendole una “rovesciata” rispetto all’altra). Alla alimentazione provvedevano due carburatori Keihin a depressione da 36 mm. Gli eccentrici dei due alberi a camme alloggiati superiormente a ogni testa agivano su bilancieri a dito montati su supporti con testa sferica. Le tre valvole di aspirazione di ciascun cilindro avevano un diametro di 28 mm; le due di scarico erano invece da 30 mm.
Il comando della distribuzione era affidato a due catene Morse, collocate sui lati opposti del motore. Questo consentiva di impiegare teste identiche per i due cilindri
L’alesaggio di 92 mm era abbinato a una corsa di 64 mm e quindi la cilindrata totale del motore era di 888 cm3. Di notevole interesse era il manovellismo, che prevedeva un albero a gomiti monolitico, poggiante su due supporti di banco e dotato di perni di manovella sfalsati di 60° per abbattere le vibrazioni. All’interno dei due cilindri, dotati di canna integrale con riporto al nichel-carburo di silicio, erano alloggiati pistoni con mantello fortemente sfiancato, ottenuti per forgiatura e vincolati alle bielle da spinotti del diametro di 20 mm. L’albero a gomiti lavorava interamente su bronzine. Nella parte anteriore del basamento era piazzato un albero ausiliario controrotante munito di due piccole masse eccentriche aventi la funzione di eliminare una coppia non equilibrata (peraltro di modesta entità). Il sistema di lubrificazione prevedeva una pompa a lobi che prendeva il moto dalla corona della trasmissione primaria tramite una corta catena a rulli.
Al banco la versione di questo motore destinata al grosso e performante enduro stradale all’epoca in programma ha fornito 102 cavalli a 10.400 giri/min.
Per diversi anni la Cagiva è stata molto impegnata non solo nello sviluppo di modelli destinati alla sua gamma ma anche nella realizzazione di progetti e di prototipi completi destinati ad altre aziende, che avrebbero poi dovuto provvedere alla produzione in serie. Si trattava di case asiatiche (principalmente di Taiwan) che però non sempre hanno proceduto alla successiva industrializzazione. Nel frattempo acquisivano comunque know-how…
Nel 1990-91 i tecnici varesini hanno realizzato il bel bicilindrico a V di 75° con distribuzione monoalbero che mostriamo nelle foto. Con misure di alesaggio e corsa quasi perfettamente quadre (46 x 45 mm), la cilindrata era di 150 cm3. Destinato a una robusta e versatile tuttofare, essa pure costruita a Schiranna come prototipo completo e pronto alla messa in produzione, non si trattava certo di un motore studiato per fornire le massime prestazioni, come testimonia l’impiego di due sole valvole per cilindro (secondo la specifica richiesta del committente). Nonostante ciò la potenza era notevole: circa 20 cavalli a un regime dell’ordine di 12.000 giri/min.
In ogni testa di questo bicilindrico erano montate due valvole inclinate tra loro di 60° e aventi un diametro di 24 mm alla aspirazione e di 20 mm allo scarico. Ad azionarle provvedevano bilancieri due bracci in acciaio forgiato.
Per comandare l’unico albero a camme alloggiato in ciascuna testa si impiegava una catena Morse da ogni lato del motore, che prendeva il moto direttamente dall’albero a gomito. Quest’ultimo era di tipo composito, con perno di manovella del diametro di 28 mm, e lavorava su cuscinetti a rotolamento. Il circuito di lubrificazione era a carter umido con pompa a lobi e filtro a cartuccia posto sul lato destro del motore. Al cliente taiwanese sono stati forniti il progetto completo e i prototipi, ma di una successiva industrializzazione non mi è giunta alcuna notizia.