I Racconti di Moto.it: "A volte ritornano"

I Racconti di Moto.it: "A volte ritornano"
Buongiorno Giacomo, sarò breve perché questi obsoleti telefoni non permettono di scrivere più di 10000 caratteri, quindi cerca di capirmi al volo...
18 gennaio 2013

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 Buongiorno Giacomo,
sarò breve perché questi obsoleti telefoni non permettono di scrivere più di 10000 caratteri, quindi cerca di capirmi al volo.
Oggi ho fatto una rapida incursione in incognito in quella che era la nostra casa; mescolando la polvere tra le vecchie fotografie ho trovato quella dove sono seduto sopra il serbatoio della motocicletta di mio nonno in un mattino di primavera: lui mi tiene per il fianco col mio zaino di scuola appeso ad un braccio e sorride. Mi si è gelato il sangue. Dovevo aspettarmelo, qualcuno sta salendo le scale che portano fino a qui gridando il mio nome.

Da quando le fotografie non vengono più stampate ma “condivise” attraverso software installati sui Central Processing Spot che oramai tutti si fanno facilmente innestare dietro l'orecchio destro, io non ci capisco più niente.

Condividere è diventata per molti un'esigenza irrinunciabile, chissà poi perché: insulse opinioni, immagini insignificanti, stati d'animo privati e intimi, vengono condivisi sulla Body Communication Web o semplicemente pubblicati sul Public Dashboard e qualsiasi utente della rete può visualizzarli sul proprio cristallino.

Connessi 24 ore su 24, alimentando una gigantesca discarica di emozioni, commenti, ricordi che vengono trasferiti in un nanosecondo da un utente all'altro di questa rete composta da umani sempre più affamati di informazioni, di vetrina di sé e degli altri. Non per entrare in particolari truci, però mi sono chiesto che fine fanno tutte le informazioni caricate sulla rete quando un utente muore, chi le custodisce, chi se ne appropria. Di chi diventano le fotografie delle vacanze su Marte o del primo viaggio al centro della Terra, chi custodirà l'emozione della prima connessione al Body Communication Web dell'utente tecnicamente “disconnesso causa decesso”?

Alcuni amici mi hanno parlato di un losco giro di CPS asportati da cadaveri con la complicità di medici compiacenti ma anche di persone che vendono il proprio CPS dopo aver rubato ad altri emozioni, memorie, dati. Installarsi un CPS altrui appropriandosi di un pezzo consistente di vita di qualcun altro però, stranamente, non è reato. Io non ci capisco più niente.


Non ho mai ceduto alle lusinghe della rete, ritengo inaccettabile rinunciare alla sovranità esclusiva sui miei ricordi e sulle mie emozioni; mi tengo stretta l'opportunità di celare una rilevante quota di me alla moltitudine di persone pronte a nutrirsi avidamente della vita e della storia degli altri e così sono rimasto fedele a questo telefono cellulare 9G dal quale ti scrivo: spero che manchi ancora tanto al momento in cui anche l'ultima comunicazione verbale tra due individui lontani diventerà un ricordo. Fatico ad accettare che ormai le persone non parlino più se non a portata di voce e che il pensiero diventi elettronicamente comunicazione trasmessa tra due o più individui: non mi fido, temo che il mio pensiero possa essere modificato o intercettato nel passaggio tra la mia mente e quella del mio interlocutore.

Come sai, per tutte queste mie riflessioni e a causa della mia riluttanza a subire il controllo delle compagnie di telecomunicazioni, da quarant'anni sono etichettato come un pericoloso dissidente e costretto alla macchia. Hanno pesato non poco pure i dubbi che mi sono venuti dai racconti di quei brevi attimi in cui se chiudi gli occhi senti come se dal CPS giungano voci che ti spingono ad azioni illogiche come comprare un'automobile anche se ne hai già due o ti fanno sentire l'esigenza di uno shampoo nonostante la calvizie.
E' un mondo avido quello in cui viviamo, troppe informazioni. Troppa gente che non si fa i fatti propri con la scusa del “condividere”: share.


Devo confessarti alcune cose, Giacomo:anche io sono caduto in questa trappola. Non sono migliore di altri, né peggiore. Poche ore fa, prima di venire qui in questa vecchia casa a frugare tra le fotografie, ero appostato dietro una siepe elettronica, una di quelle finte usate come speed check: gli automobilisti vi transitano di fronte e a seconda di come e quanto il vento causato dal loro passaggio muove le fronde della finta siepe, il Sistema Unico capisce se sono oltre il limite di velocità, provvede ad identificare l'utente e a prelevare dal suo conto corrente l'importo della eventuale multa: sempre meglio dei vecchi Laserstop che ti freddavano sciogliendoti la macchina, o la moto, sotto il sedere.
Comunque, ero lì. Attendevo che un amico, non faccio nomi ma è il mio contatto con il mondo cosiddetto civile, mi portasse del cibo e dei vestiti pesanti in vista dell'inverno, poi sarei tornato a nascondermi e a organizzare la resistenza al Sistema Unico.
Dell'amico manco l'ombra, in compenso arriva un motociclista bardato come un guerriero greco, impavido, fiero. La sorpresa mi coglie impreparato quando il centauro mi vede da dietro la visiera scura senza fare una
piega.

Dammi una mano, da quanto tempo è che sono state vietate le moto? Da almeno mezzo secolo dichiarate “incontrollabili ordigni guidati da irresponsabili” e messe fuorilegge, vero? Però che meraviglia vederne una in movimento.

Il motociclista ferma la moto avvicinandosi a piedi con un arnese in mano, una specie di roncola, ma non appena i sensori della siepe avvertono l'imminente probabile manomissione, parte la violentissima scarica elettrica del dispositivo anti effrazione che stende lo sventurato. Istintivamente mi avvicino a quel corpo fumante per soccorrerlo: solo svenuto, il polso è debole ma c'è. Forse fa parte pure lui della resistenza, forse stiamo dalla stessa parte e sarebbe mio preciso dovere morale aiutarlo.
Alla mia sinistra, la motocicletta.


Vengo colto da un raptus di lucida follia, voglio le sue emozioni: senza slacciarlo, scosto la parte posteriore del casco allo svenuto fuorilegge, strappo via il suo CPS e me lo colloco sanguinante proprio dietro l'orecchio destro: spingo, innesto, non senza soffrire connetto il mio corpo, ma devo sbrigarmi, collegato alla rete lascerò in giro dati che potrebbero essere tracciati.

Eccole. Le emozioni del motociclista mi invadono, frugo nella sua memoria alla ricerca dei ricordi più forti e trovo scariche di adrenalina, lente passeggiate al suono di un ciof-ciof, ascese a vette lontane che io non ho mai visto, notti accanto la motocicletta a imprecare per farla ripartire, sorrisi di amici. Sento anche tanto spazio nella sua mente, più pronta ad accettare il mondo di quanto non sia la mia che non ha mai assaporato il piacere di muoversi in disequilibrio stabile.

Continuo: senza il minimo senso di colpa, finalmente trovo il senso di estrema eccitazione nell'avere di fronte la prima motocicletta: emozioni di contrabbando ma fortissime come violento è il piacere fisico alla prima manata di gas pieno e alla prima impennata di potenza. Avverto prima lo stupore nello scoprire di poter fare strada così velocemente e in totale indipendenza, poi il senso di controllo che riduce tutto il resto ad un corollario della legge dell'attrito volvente. Esplode come un orgasmo la scoperta della obliqua velocità in curva senza la quale, capisco solo adesso, non esisterebbero i pensieri d'amore sincero verso i propri simili.


So di avere commesso un gesto immorale ma ne è valsa la pena. Nella memoria di questo motociclista trovo un non so che di deja vu: la sua moto mi sembra proprio quella del nonno, assolutamente identica anche nei graffi! Forse un invisibile destino a due ruote ha unito i miei ricordi con i suoi, ha fuso le emozioni (roba tipicamente mentale) con le sensazioni (elementi puramente fisici) e le esperienze del motociclista esanime sono passate al filtro del mio desiderio di rivivere l'esperienza di stare a cavallo della moto del nonno.
Ho una felice inquietudine. Penso che solo con una moto avrei potuto dare un corpo così reale ai miei desideri. Forse è proprio per questo che le hanno vietate, perché probabilmente stare in moto rende facile fare pensieri positivi e spinge oltre, nutrendo il senso critico e rendendoti incontrollabile. Del resto non si diventa motociclisti per editto, si sceglie di esserlo: tutto il contrario dell'automobile il cui acquisto viene praticamente imposto dal Sistema Unico.
 

Ad ogni modo, il dubbio sulla identità delle due moto mi ha travolto e, dopo avere reinstallato il CPS dietro l'orecchio del legittimo proprietario ancora incosciente, sono venuto qui in soffitta per cercare le fotografie del nonno custodite accanto alle sue ceneri: in effetti la moto è proprio quella! Ho simpaticamente creduto che fosse tornata! Quando quarant'anni fa sono stato costretto a nascondermi quella motocicletta era rimasta a tua madre, che ti aveva appena partorito. Ne avevo perso le tracce molto a malincuore, poiché era l'ultima reliquia della mia giovinezza ereditata a fatica prima da mio padre, poi da me.

Nulla accade per caso: il motociclista folgorato mi ha raggiunto e sta salendo le scale che portano qui in soffitta, credo abbastanza imbufalito e non perché io gli abbia rubato i ricordi connettendomi al suo CPS, no. E' che non mi ha ancora perdonato il tradimento di quarant'anni fa che ha causato la rottura del nostro matrimonio: da allora ero riuscito a non farmi mai trovare e non avevo più rivisto tua madre. So che si è rifatta una vita giurando però di farmela pagare comunque: è fatta così.

Qualcosa non torna, Giacomo: come ha fatto tua mamma a rimettere in circolazione una moto illegale, vecchia e imparare ad andarci mentre quando stavamo insieme lei trovava enormi difficoltà pure nel premere il tasto “on” del suo CPS? Come ha fatto a scovarmi dietro una siepe elettronica? Mannaggia alla condivisione.
Sento a pochi passi da me la roncola fendere l'aria assieme al respiro di tua madre che nonostante la vecchiaia manifesta un'incredibile caparbia vitalità.
E ora che si avvicina la resa dei conti sento il bisogno di dirti una cosa, Giacomo: prima di tradire tua moglie ricorda che le donne, tutte le donne, sono piuttosto permalose. Pensaci.

 

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