I racconti di Moto.it: "Benzina sporca"

I racconti di Moto.it: "Benzina sporca"
Restare senza benzina è un incubo. Sono trent’anni che lavoro in questa stazione di servizio e di ominicchi arrivati qui spingendo la moto, rossi in volto nascondendo la vergogna con la fatica, ne ho visti assai...
12 luglio 2011

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Restare senza benzina è un incubo. Sono trent’anni che lavoro in questa stazione di servizio e di ominicchi arrivati qui spingendo la moto, rossi in volto nascondendo la vergogna con la fatica, ne ho visti assai; per ritrovarsi a spingere basta anche solamente una spia rotta o un po’ di benzina sporca. Tutti lo sanno.

- Il pieno, grazie.
- Acqua e olio, signore? – lo chiedo sempre, più per cortesia che per speranza.
- No, grazie.

Riempio, incasso e guardo la targa allontanarsi. Una sorta di vizio, innocuo.
Che stavo dicendo? Ah, si; voglio confidarvi un segreto: le moto moderne non si guastano mai, al limite si lamentano e delegano il reparto elettronico alla giusta ritorsione verso un proprietario senza onore: il sicario a corrente alternata raddrizza i torti subìti da motori, telai, sovrastrutture, sospensioni che negli anni si sono organizzati per l’interesse comune ad un trattamento più umano. Una sorta di cupola, per il bene di tutti.
Di fronte alla infamante colpa del reo di aver tirato una marcia a motore freddo o di aver demolito i paraolio della forcella per scimmiottare il Biaggi a Suzuka ’98, la cupola decreta, approva e ratifica l’iniziativa punitiva in un fumoso summit nell’umido del garage; poi calerà un omertoso silenzio. Motocicletta muta, ferma, guasta: le indagini più accurate non potranno che constatarne il decesso per arresto cardiaco, quando causa ed effetto sono fuse in un solo evento inspiegabile.

Hai voluto fare di testa tua? Pensi che la motocicletta sia solo un pezzo di ferro? Credi che il denaro col quale hai comprato la moto possa acquistare anche la sua supina accondiscendenza ad un trattamento da sfasciacarrozze? E ora ti facciamo capire che hai sbagliato… non c’è modo di sfuggire alla morsa della famigghia che quando dice male è pure allargata e alla vendetta partecipano intrusioni elettromagnetiche, cattivi e contorti consiglieri come i telai a traliccio e la mala razza delle moto cecoslovacche anni ’70, notoriamente legate a doppia mandata all’estremismo a 12 volt.

L’ignaro e colpevole motociclista finisce così a guardare per ore la moto immobile nel box di casa, prova a scollegare e collegare tutta la circuiteria elettronica e dopo aver cercato vanamente una magica soluzione semplice, il classico relè che fa le bizze, il cavo pizzicato dall’usura, il fusibile nascosto e spezzato, si arrende: è il momento di varcare la soglia dell’assistenza ufficiale, dove un alacre meccanico collega la moto a dei cavi che sanno così tanto di rianimazione che viene voglia di chiedere pure un defibrillatore, che qui non si bada a spese.

- è la centralina, dottò.

Panico. Il motociclista si vede già firmare assegni con più zeri di un iban.
Il meccanico lo guarda partecipe del luttuoso momento; ha già capito tutto e forse ha pure tentato in extremis una mediazione (che verrebbe poi da lui negata nelle carte processuali di un ipotetico rinvio a giudizio della cupola) per tentare di parlare alla moto e di farla ragionare, proponendole una trattativa che sarà portata avanti o per farsi belli agli occhi della vittima oppure per ribadire la propria posizione di dissociato nonché la propria indignata riprovazione. Si spiega così il “me la deve lasciare e passare domani”. Il più delle volte la cupola è irremovibile.

Alla fine iddu, il meccanico, avrà pensato che tiene famiglia e che in certe questioni è meglio entrarci fino ad un certo punto: si assolve per la propria impotenza, fa finta di niente e a capo chino cambia il pezzo, sostituisce pure l’olio come se sperasse allo stesso modo di cambiare anche l’anima perversa di questo mezzo demonio e omertosamente riconsegna al proprietario la moto.
Ad ogni modo, questi sono fatti suoi.

Io, invece, sono qui al distributore all’aperto, le mani sporche di benzina e banconote, al freddo di un gennaio che non scoraggia questi maledetti in sella a moto che valgono molto più della mia retribuzione annua. Li odio da quando c’era la normale. Poi, venti anni fa, ho avuto questa santa idea e ho fondato la mia organizzazione criminale da art. 416 bis, affiliandovi sempre più motociclette. Le picciotte sono brave e mi danno soddisfazioni, che sono meglio dei soldi. Abbiamo unito le forze, loro per farsi rispettare, io perché questi motociclisti dandy, snob, impreparati ad affrontare uno stupido contrattempo come una candela svitata, che infilano il telefono tra il casco e l’orecchio, che limano nottetempo le saponette della tuta con la carta abrasiva, che fanno il verso ai grandi viaggiatori percorrendo 3.000 km l’anno, che la moto se non ha 120 cavalli “non va”, che il passeggero è una zavorra e l’automobilista un nemico, li detesto.

E quando prezzolati meccanici riparano e rimettono in circolazione un’affiliata, l’unica maniera che mi resta per far capire al motociclista fighetto che, forse, si potrebbe pure sfuggire alla vendetta della cupola ma non a quella del boss, è quella di adulterare la benzina con il wc net.
Cinquanta e cinquanta.
E lui, spinge.

Antonio Privitera

 

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