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Partii velocissimo sgommando, dando una manata al comando del gas misi dell'aria sotto la ruota anteriore; sudavo freddo, così freddo che le gocce di sudore dalla mia fronte cadevano sugli occhi dure come collirio, come atropina. Era un disperato tentativo di involarmi e me lo godetti fino in fondo per i pochi attimi nei quali fui in partita, ma nulla potei avverso la loro superiorità numerica: contro una squadra di trenta moto, avevo perso in pochi attimi l'impossibile sfida al Bikescape; fu un tentativo velleitario, peccato. Poggiai i piedi in terra e spensi il motore rassegnandomi alla sconfitta. Infine, lacrimai amaro.
L’intera arena, più di cinquantamila persone, si alzò in piedi ammutolita mentre le motociclette avversarie mi costrinsero spalle al muro, e si udirono urla di protesta per la brevità dello spettacolo quando fui dichiarato perdente e condotto in manette sotto la tribuna d’onore dove sedevano il Primo Ministro con la sua famiglia assieme ad alcuni turisti stranieri che probabilmente avevano comprato i biglietti per questo primo match di Bikescape su internet.
Con lo sguardo all’insù, sentii decretare le pene accessorie per avere perso la partita: condanna aumentata di un terzo, diritto di voto acquisito dal Ministro della Giustizia e soprattutto cancellazione della memoria.
Se si era giunti fino a questo punto, dei motivi c’erano.
Già da molti anni il Paese, come altri, versava in gravissime condizioni. Una congiuntura economica molto negativa aveva reso difficile allo Stato onorare i debiti, continuare a pagare stipendi e pensioni e coprire i buchi, gli sprechi, i dissesti, le carcinosi e le purulenze che decenni di mala gestione avevano causato. A causa delle fortissime pressioni dei nostri creditori internazionali, il governo a quel tempo in carica fu mandato in fretta e in furia a casa col placet di un’opinione pubblica che vedeva ogni giorno aggirarsi lo spettro della povertà chiedendo una miracolosa soluzione alla recessione economica violentissima, improvvisa e tanto inaspettata che ci si chiese se per caso non fosse stata invece ampiamente prevista e manovrata da qualche forza occulta.
Io mi sono fatto una certa idea.
Il nuovo esecutivo (proclamatosi “il Governo a sette bracci”, forse per dare l’idea della sua tentacolare trasversalità), si insediò appoggiato dall'intero Parlamento e fu salutato dai cittadini con entusiasmo; Premier e ministri erano persone stimate e note per la loro rettitudine ma la situazione era oltremodo drammatica: per procedere al risanamento dell’economia e scongiurare un attacco speculativo della finanza internazionale che avrebbe ridotto il Paese in cenere, c'era bisogno di incassare molti miliardi di Euro in brevissimo tempo, pochi mesi. Il Primo Ministro ebbe allora un’idea: non tasse, ma multe. Semplicemente, introdusse pesantissime multe per chi avesse contravvenuto alle leggi, abrogando di fatto pure il codice penale; per esempio: rumori molesti, 5.000 Euro di multa; divieto di sosta, 2.000; insultare una persona sarebbe costato 10.000 Euro di multa, fino ad arrivare all’assurdo dello stupro di gruppo sanzionato con 250.000 Euro. Era fatto obbligo di pagare le sanzioni entro 10 giorni, pena l’arresto e la condanna ai lavori forzati ma, e qui stava il vero colpo di genio, la pena sarebbe stata espiata non Italia ma in uno dei Paesi con i quali eravamo indebitati: il lavoro forzato sarebbe stato poi considerato a decurtazione del debito pubblico italiano nei confronti del paese creditore in ragione di venti Euro al giorno. Ovviamente l’introduzione di questa legge era stata possibile solo attraverso un accordo con gli stessi paesi creditori che, in verità, non mossero il minimo rilievo e accettarono rapidamente l’offerta denominata “Work Counts”, in breve: W.C.
Dato che l’attività repressiva fu a tolleranza zero e la delazione incoraggiata, moltissimi si trovarono a dover pagare multe assolutamente sproporzionate al loro reddito in seguito a banali fattispecie come aver sbagliato la raccolta differenziata o non aver rimosso i bisogni del cane dal marciapiede; la conseguenza fu che iniziarono così delle vere e proprie deportazioni di massa verso i paesi del centro Europa e verso la Cina, meno frequentemente verso gli Stati Uniti, tutte nazioni con le quali l’Italia era pesantemente indebitata. Chi poteva pagare pagava e risanava le casse dell'erario, chi non poteva veniva spedito all'estero come lavoratore forzato a decurtare il debito pubblico. Geniale.
A quei tempi, buona parte della popolazione italiana era ormai formata da disoccupati che bighellonavano schizzinosamente e il W.C. ottenne rapidamente enormi entrate per l’erario, riduzione dei disoccupati e contestuale riduzione del debito pubblico verso i paesi esteri, città più ordinate e civili. Esprimere perplessità nei confronti del W.C., inoltre, era pericoloso perché fu anche introdotta la legge sul “dissenso immotivato” che puniva con una multa di 60.000 Euro (o tremila giorni di lavori forzati all'estero) il dissenso verso l’operato del Governo, a meno che non si proponesse un’alternativa documentata. Giudice Unico per questa fattispecie era il Primo Ministro.
Nel frattempo, nonostante la miseria, ardevo dal desiderio di andare in motocicletta e percorrere le curve di un circuito, dando sfogo esplosivo ai 150 cavalli della motocicletta di mio papà deportato otto anni addietro in seguito ad un banale passaggio col rosso aggravato da uno scarico non a norma e a qualche intemperanza con il pubblico ufficiale che gli stava elevando un verbale da 40.000 Euro. Il risultato complessivo furono oltre 70.000 Euro di multe. La moto era ferma da allora ma tenuta in condizioni perfette grazie dalle mie cure quotidiane, da alcuni definite irragionevoli. Non sorgeva il sole senza che io passassi dal garage e le parlassi, promettendole che una mattina avremmo fatto un giro di pista, una corsa velocissima ed emozionante come quelle che faceva un tempo con mio papà; accarezzavo i manubri, stringevo il serbatoio tra le gambe e ci spalmavo sopra il mio petto nella immaginaria ricerca di una penetrazione aerodinamica inebriante, risolutiva e contributo dell'uomo alla potenza del mezzo meccanico. Amo tutt'ora considerare la motocicletta non una estroflessione del corpo, ma percepire me stesso come una parte di lei, essere io al servizio delle reazioni endotermiche e parte del perfetto meccanismo regolato da leggi della fisica talvolta ignote. Ero un motociclista da garage, non potevo permettermi altro, ma la moto era il mio gesto di comunione con il mondo e col mistero del suo perfetto funzionamento. Nessuno ci fa caso, ma quando si va in motocicletta centinaia di meccanismi e dispositivi funzionano alla perfezione e all'unisono regalando un fluido movimento e il liquido scorrere delle emozioni, ogni piccola parte dà il proprio contributo obbedendo ad un comando superiore, e a chi ne ha la sensibilità è concesso pensare che un'anima, in fondo, l'abbiano pure gli oggetti.
Fu la moto a suggerirmi l'idea, nelle sere passate a lustrarla. In ossequio alla legge sul “dissenso immotivato”, feci istanza e proposi al Governo dei sette bracci che le multe potessero essere pagate non soltanto con il lavoro forzato ma anche attraverso gli incassi di uno spettacolo che inventai io stesso, il Bikescape, dove il condannato in sella ad una moto e in un circuito chiuso avrebbe dovuto raggiungere un determinato punto dell’impianto, braccato dai motociclisti e automobilisti della squadra avversaria che avrebbero cercato di impedirglielo: se il condannato fosse riuscito a raggiungere il punto del circuito identificato come “casa” avrebbe vinto e la multa gli sarebbe stata condonata ridandogli la libertà, mentre se avesse perso si sarebbero aggiunte delle pene accessorie alla multa già comminata. In ogni caso lo Stato si sarebbe tenuto l'intero incasso del Bikescape; al prezzo popolare di un euro per persona, i biglietti sarebbero andati a ruba.
Avevo comunque agito per bene ed ero inattaccabile sotto l'aspetto della legge sul “dissenso immotivato”, persino il Primo Ministro non potè che rispettare la mia proposta che fu approvata di diritto, forse anche non suscitare sospetti sulla democraticità del Governo dei sette bracci, e ulteriormente elaborata dai tecnici del Governo che aggiunsero come pena accessoria la cancellazione della memoria del reo attraverso una tecnica da poco scoperta due scienziati cinesi e da loro chiamata semplicemente “the Flash”: una luce fortissima che bruciava le sinapsi. Da quel momento fui seguito da strani personaggi, ero diventato un sorvegliato speciale e ogni giorno facevo lunghe passeggiate da solo e ad occhi chiusi, andavo per luoghi sconosciuti senza mai chiedere aiuto a nessuno per nulla; avevo un piano, una visione.
Un lunedì di Pasqua mentre accarezzavo la motocicletta di mio padre lucidandola, commisi l'imprudenza di uscire dal garage senza casco e di percorrere uno o due metri di rampa a capo scoperto, per accendere il motore senza dare fastidio al condominio. Un uomo si avvicinò qualificandosi come poliziotto in borghese e mi inflisse una multa di 10.000 Euro per guida senza casco, inoltre si accorse che avevo i fari spenti e mi punì con altri 10.000 Euro di sanzioni. Il conto faceva ventimila Euro entro dieci giorni o mille giorni di lavori forzati da qualche parte nel mondo dove si mangiano porcherie indicibili; tanto per dire. Il mio conto in banca era a tre cifre, decimali compresi.
Dichiarai di volermi avvalere, primo in Italia, della mia proposta e giocarmi tutto in una partita di Bikescape. Fu fissata la data del match, nel frattempo rimanevo libero. La mia ragazza, Laura, si preoccupò angosciandosi quando si accorse che se avessi perso il Bikescape una delle pene accessorie sarebbe stata la cancellazione della mia memoria: non avrei più ricordato niente di me stesso e senza nessun passato il mio futuro si sarebbe basato sul nulla. Laura era un giovane medico, furba, razionale. Nonostante le possibili conseguenze io ero contento, euforico e pronto sotto tutti i punti di vista:il Bikescape era esattamente quello che desideravo, compresi subito che non mi avrebbero mai permesso di vincere ma non importava, la cosa che desideravo era un'altra.
Dopo avere perso fui condotto in una caserma, dove mi fu spiegato quello che avrebbero fatto. Sarebbe arrivato un medico, avrebbe considerato le mie condizioni di salute e poi avrebbe applicato “the Flash”, ma prima il Presidente del Consiglio voleva parlarmi, da solo.
Lo sentii arrivare dai passi zoppi e pesanti, piazzarsi di fronte alla mia sedia e accendersi un toscanello:
– e così pensava di farcela...
– buongiorno Presidente...
– lo sa che sotto i caschi della nostra squadra c'erano i più grandi campioni italiani di motociclismo degli ultimi vent'anni? Li abbiamo obbligati a giocare per noi con la minaccia di deportarli sine die per le loro evasioni fiscali. Lei mi ha costretto ad agire sporco. Ma cosa credeva, ragazzotto? Che le avremmo consentito di scardinare questo meccanismo con quale forniamo manodopera gratis per le industrie nelle quali abbiamo grossi interessi? Le svelo una cosa, caro cittadino, tanto tra poco lei non saprà più nemmeno come si chiama: questo è un progetto che portiamo avanti da decenni. Tutti i paesi evoluti ne sono coinvolti a vario titolo, e dopo l'Italia toccherà ad altre nazioni in difficoltà economiche; di fatto ridurremo il 50% del pianeta a lavoratori forzati con la patina di un'irreprensibile legalità e in forza delle necessarie misure per garantire ai popoli condizioni economiche civili.
– Quindi la crisi economica è solo un paravento, vero?
– Possiamo smuovere quantità così enormi di denaro da causare recessioni, guerre, ma anche sviluppo e benessere in qualsiasi area del pianeta. Il mondo è in mano nostra, delle nostre banche e del nostro vertice del quale io non conosco nemmeno i nomi. Io sono soltanto una pedina, un po' più consapevole, ma solo una pedina. Nel mondo siamo ormai 8 miliardi e non ci sono abbastanza diritti per tutti, come invece le democrazie che teniamo in vita devono purtroppo dichiarare pubblicamente: è necessario formare due o tre classi sociali globali ben distinte: l'élite, i borghesi, la manodopera. Il W.C. va inteso come il passo necessario per raggiungere questo risultato. Ci vorrà ancora qualche anno ma ci arriveremo, l'Italia è solo un laboratorio.
– Nel frattempo cancellate la memoria ai dissidenti...
– Già, non è una gran perdita, guardi il suo caso: mi lasci dire una cosa, lei guida la moto peggio di chiunque altro.
– Era la mia prima volta in pista.
– Beh, si consoli: forse in futuro avrà un'altra “prima volta” dato che questa non la ricorderà.
– Scontata la pena, forse.
– No, nessuna pena da scontare. Le comunico che non appena la sua memoria sarà cancellata io la grazierò e le consentirò di tornare a vivere normalmente: all'occhio dell'opinione pubblica sembrerà molto democratico. Niente lavori forzati e multa condonata, contento?
– Grazie Presidente, non mi dimenticherò mai di lei.
– Ah! Non si illuda.
Il Primo Ministro uscì ed entrò il medico con due assistenti, era la parte più incerta del mio piano: per evitare di causarmi danni funzionali irreversibili, prima di applicare “the Flash” il dottore mi visitò accuratamente ogni occhio rimanendo impassibile e muto. Alla fine della visita lo sentii ridacchiare contento, poi mi chiese di stare fermo con la testa e mi bloccò il cranio in una specie di calotta, le palpebre furono tenute aperte da uno specifico divaricatore ed intimò a tutti i presenti di uscire dalla stanza. Dopo qualche istante avvertii un lampo di calore, breve e intensissimo. Il medico rientrò da solo nella stanza:
– Fatto. Mi lasci dire che ammiro molto il suo coraggio.
– Grazie dottore, ora lei mi è complice. Sono io ad ammirare il suo.
– Cos'è, silicio?
– No, sono due sottilissime lamine di fosfuro di gallio, un metallo che non fa passare né luce né onde elettromagnetiche. Era l'unica maniera per non farmi cancellare la memoria, lei se n'è accorto subito, vero?
– Sì, ho trovato le minuscole cicatrici sulla cornea, chi le ha inserito queste lamine dietro al cristallino ha eseguito un ottimo lavoro.
– E' stata la mia ragazza, sua collega.
– Che beffa, il primo a giocare a Bikescape e anche il primo a farsi cancellare la memoria, ma era tutto un bluff! Per rendere tutto credibile le consiglio di dichiarare di avere violenti emicranie e di sentirsi totalmente abbagliato almeno fino a quando non tornerà a casa, tra una decina di giorni; io farò del mio meglio per coprirla.
– Grazie dottore, ora...
– Già, chiamo gli infermieri. Però, mi dica... ora che sono un po' suo complice, me lo deve...
– ...cosa?
– Lei era l'unico dissidente al Governo a sette bracci in Italia, era ovvio che la prendessero di mira. Non era meglio starsene tranquillo e continuare a vivere una vita senza problemi?
– Dottore, lei non sa molte cose: avevo promesso a mio padre, prima che lo spedissero all'estero per i lavori forzati, che prima o poi avrei riportato la sua motocicletta in pista. Mio padre è morto da deportato, glielo dovevo, ma questa recessione mi impediva di tenere fede al mio impegno, dato che per andare in pista bisogna essere ricchi. L'unica era inventarmi qualcosa e così ho tirato fuori il Bikescape; si figuri, io di politica non mi sono mai interessato né voglio mischiare la politica con la mia passione per le motociclette! Ho sfruttato la situazione, ho rimesso le ruote della moto di mio papà tra i cordoli di un circuito e questo è quello che volevo, il resto è solo un corollario. Mi sono fatto inserire due lamine metalliche negli occhi per non farmi cancellare la memoria da “the Flash”, perché ero certo che non avrei mai vinto: lo sa che il Governo ha schierato contro di me i più grandi campioni di motociclismo dell'era moderna?
– Sul serio? E chi glielo ha detto?
– Il Primo Ministro.
– ...'sto imbecille... Quindi lei vuole dirmi di non essere stato animato da alcuno spirito rivoluzionario?
– Io sono un motociclista, egregio dottore, non un rivoluzionario.
– Lei è un folle che ignora le conseguenze dei propri atti!
– Può darsi, ma ora è il nostro segreto.
Venni prelevato da due infermieri e quattro poliziotti coi quali recitai la parte dell'ebete, loro mi portarono in una stanza d'infermeria dove mi tennero in osservazione per dieci giorni, senza contatti col mondo; poi tornai a casa dove non vedevo l'ora di ricongiungermi con Laura. Li avevo fregati tutti. Mio papà sarebbe stato felice, avevo riportato la sua motocicletta a correre e ne avevo onorato la memoria. Eravamo d'accordo con Laura che non appena sarei tornato a casa mi avrebbe fatto trovare il tavolo operatorio in salotto e estratto in mezzora le lamine lamine di fosfuro di gallio che iniziavano a darmi fastidio.
– Elio, tesoro!
– Laura, ti prego facciamo in fretta, non ce la faccio più. Voglio vedere!
Laura mi fece sdraiare e mi somministrò l'anestetico, piombai nel sonno vuoto e pesante dell'anestesia. Il risveglio fu brusco, stranamente niente bende sugli occhi dolenti per attutire la luce, avevo un sapore di schifo nella bocca. Aprii le palpebre con dolore e vidi Laura piangere su una sedia in un angolo del salone, di fronte a me il dottore, stavolta non in camice ma vestito elegantemente e, un passo dietro, il Primo Ministro. Il dottore in un attimo mi mise la testa in una calotta e applicò i divaricatori per le palpebre. Gli sentii mugugnare “povero illuso”, mentre il Primo ministro gli rispondeva servilmente “proprio così, Signore!”.
Un flash; poi, non ricordo.