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Mamma, non c’è una spiegazione per tutto.
Ma una motivazione sì.
Non voglio uscire fuori di qui, dal motorhome. Voglio farmi attendere ancora e rimanere sdraiato sul letto a scrivere.
A me piace ancora scrivere a mano, perché la parola esiste e i pensieri diventano terzi rispetto a me stesso solo quando li vedo neri su un mare bianco. I nei della coscienza prendono forma, si metastatizzano e assumono forma di lemma, si aggregano e diventano un concetto, si legano tra di loro e diventano emozione e dolore, a volte anche inutile spreco di speculazione.
Com’è rassicurante strofinarsi le mani quando c’è freddo.
Oggi, saranno dieci gradi. Quando vai in moto dieci gradi sembrano meno 20 se non sei coperto bene e vai forte.
Scrivo cose inconcepibili e amare, vero mamma?
Amare. Come fai a definirle amare. Io credo che ognuno abbia il diritto di pensare le cose meno belle e farci i conti come vuole. Dottor Mastino sono io, mamma. Sono io quello che per sfogarsi dallo stress di questa ipocrita vita di privazioni scrive lettere sotto questo pseudonimo: missive anonime, rabbiose nel loro violento livore, spedite via posta ogni mese ad un giornale motociclistico diverso, in una nazione diversa ogni volta. Sono irriconoscibile, potrei essere qualunque pilota delle tre classi di questo mondiale velocità prototipi, o magari potrei essere un giornalista in cerca di fama che poi d’improvviso svelerà la propria identità per raccogliere onori. E tutte le polemiche del caso, ovviamente. Tranquilla, non ho nessunissima intenzione di rivelare che sono io a scrivere, comunque. Te li immagini gli sponsor? Quelli mi fanno causa e allora dovrò dire a papà che la villa con parco e campo da golf che gli ho appena regalato va a finire all’asta giudiziaria… no, mamma, meglio restare anonimi e sfogarsi senza mettere in dubbio la crociera sul mediterraneo che fai ogni estate con la barca da 24 metri che ti ho comprato.
Perché tu e papà non venite più alle mie gare, mamma? Vi limitate ad amministrare i proventi della mia attività di pilota pluricampione del mondo, ne traete benefici tanto da avere venduto anni fa la pizzeria in riva al mare: era stata il vostro sostentamento per tutti gli anni del matrimonio prima del mio primo titolo mondiale, ma era anche l’attività che mi ha concesso di iniziare a correre quando avevo dieci anni. Io non ci volevo salire sulla moto, mi piaceva di più passeggiare per i parchi e fermarmi a vedere le formiche, le api e i fiori ma papà mi trascinava via per portarmi ogni domenica su un kartodromo a vedere girare i miei coetanei con le minimoto. Tu e lui vi scioglievate in adorazione per quei bimbetti che scimmiottavano, nella spocchia e nella presunzione indotta loro da genitori insolenti, i grandi piloti del momento, e io ne ero gelosissimo. Ora sono campione del mondo, ne ho vinti sei, penso che possiate degnarvi di venire a vedere le mie gare anche quando le mie vittorie sono scontate o, a maggior ragione, quando non parto per vincere.
Sono arrivato a fine carriera, ma non lo sa nessuno. Nessuno si accorge che i miei tempi sul giro sono ottenuti sempre con maggiore fatica; va bene, lo sappiamo tutti che oggi sono in pole. Ma non è questo che fa di me un pilota all’apice. Oggi sono in pole. E domani? Domani sarò obbligato a correre per contratto. Io un altro anno qui non lo voglio fare, voglio tornare a casa. Voglio alzarmi la mattina sempre nello stesso letto, ingrassare un po’, non avere obblighi nei confronti degli sponsor, non sorridere sempre e comunque. Non ho più autonomia, i mei contratti decidono quello che devo dire, le cose che devo fare, i saluti che devo mandare a fine intervista, la marca delle mie scarpe, la nazionalità della mia fidanzata, mi è stato pure chiesto di schierarmi politicamente –“ lei capisce, signor Lamberti, in questo delicatissimo passaggio politico una sua presa di posizione potrebbe spostare milioni di voti e dare al Paese stabilità”-. Ho accettato perché non so più dire di no, ho disimparato. Mamma, per questa ragione ti ho visto piangere, mentre papà ha dovuto giustificarsi con gli amici… ho creato un casino a casa.
Ora ho anche paura ad uscire qui fuori, credo che ci siano almeno cento persone che mi aspettano per saluti o solo per vedermi e farsi vedere con me. Magari uno di questi è un invasato politico e mi lancia una scarpa, un uovo, una riproduzione in scala uno a cento della Basilica di Superga o qualcosa di più pesante.
Eppure non posso ancora ritirarmi, ho troppe pendenze e troppi vincoli.
Non sono mai stato come uno di quei piloti che hanno sempre reputato le moto solo degli strumenti di lavoro o al più attrezzi ginnici. Mi piace correre, mi piace la sfida con gli avversari ma non mi piace più rinunciare a essere me stesso. Ho ventisette anni, sono stanco.
Corro da sedici anni e dopo sei titoli mondiali penso di avere il diritto di dire che in moto c’è freddo quando ci corri in Inghilterra, e io il freddo non lo sopporto. Penso di avere il diritto di dire che queste moto fanno troppo rumore e i tappi non servono a nulla, credo sia un diritto acquisito il fatto di poter dichiarare che vivere otto mesi all’anno in questo motorhome mi fa sembrare il carcere un’esperienza tutto sommato umana, penso di avere il diritto di tornare ad avere una vita mia e mia soltanto dove gli amici me li scelgo io: la maggior parte dei piloti miei colleghi, qui, sono delle amebe che non parlano altro che di donne, di automobili di lusso, di come l’anno prossimo faranno successo. E male di tutti.
Voglio amare chi desidero, non ce la faccio più a vedere quelle chiappe e quei seni scoppiare accanto a me sulla griglia di partenza manco fossero quarti di bue da esibire prima del macello. Quest’ambiente non lo reggo più.
Ricordi quando mi avete mandato dallo psicologo, mamma? Tu, papà, il team, Mel Pelata che dirige questo mondiale: non posso smettere di ringraziarvi, per quanto sono cresciuto in quelle settimane, per quanta consapevolezza quelle sedute di psicoterapia mi hanno instillato. Dicevate che ero stanco, che facevo discorsi insensati: non lo so, mamma. Penso che non arrabbiarsi se arrivo terzo ed evitare di spaccare i tavoli nel box, come accade al mio team mate, ogni volta che non mi qualifico in prima fila sia una reazione tutto sommato razionale e adulta. I posti in prima fila sono tre, noi piloti siamo diciotto: se non cerchiamo tutti di rimanere calmi e di accettare i nostri limiti, qui sfasciamo più arredi che carene…
Non è che c’era tutto questo bisogno di mandarmi dallo psicologo solo perché temevate un mio calo di aggressività e di prestazioni.
Ah, mamma, quelle polverine nel caffè la mattina: ci mancava poco che mi arrestassero per spaccio di sostanze stupefacenti quando al confine con l’Olanda la polizia frontaliera mi ha controllato il motor home; tu dicevi che era ricostituente, loro affermavano che era un derivato della cocaina. Solo l’interessamento di Mel Pelata mi ha evitato il carcere, lasciamo perdere l’accusa di doping, e insabbiato tutto. La prossima volta avvisami. Capisco che tu e papà avevate impegnato la casa per permettermi di correre, che avete fatto il vostro investimento, ma non vi sembra che ve lo abbia già ripagato? E poi, potreste smetterla di fare affermazioni a mio nome alla stampa senza nemmeno consultarmi?
Mi sento solo, mammina. Mi sento come parte di una valanga che non posso fermare, devo continuare ruzzolare come quando cado nelle vie di fuga, solo che poi tu e papà vi contendete la mia tuta lacera e parlate di cimeli, valore futuro, Sotheby’s…
Inoltre, qui ho troppi legami: mi sono accorto di mantenere troppa gente con le mie vittorie. Mel dice che senza di me questo carrozzone andrebbe benissimo lo stesso, ma ogni volta che manco dalla griglia di partenza gli ascolti calano e lui lo sa. Lo sa che lo tengo per le palle. Ho pensato che per garantirmi una onorevole uscita di scena dovrei fare vincere qualcun altro, costruire il mito di un outsider che prenda il mio posto e riempia gli spalti dei suoi sostenitori. Non saprei chi scegliere dei miei attuali avversari, sono tutti troppo lenti o antipatici. Non voglio mica fare la figura di uno che ha dimenticato come si guida o favorire qualcuno che mi accoltellerebbe volentieri; e se poi mi scoprono? Mi fanno una causa che non me li tolgo più dai piedi, pagherò danni per milioni di euro; no, meglio di no, mamma. Ho avuto un’altra idea.
Adesso, appena chiuderò questo foglio su se stesso e avrò imbustato questa lettera, farò una cosa, mamma. Uscirò da questo motorhome caldo come l’inferno mentre fuori ci sono solo dieci gradi. Poi chiederò l’attenzione di tutti i presenti e, in cima alle scale, spiegherò le ragioni del mio ritiro con effetto immediato. Succeda quello che deve succedere, tra mezzora non prenderò il via all’ennesima gara. Basta, basta, basta. Ho freddo alle mani e al collo, non ci corro in Inghilterra! E nemmeno in Qatar, c’è troppa sabbia, In Italia troppa gente, in Spagna non sopporto le tracas a fine corsa e le occhiatacce verso noi italiani, in Repubblica Ceca manca la dolcezza e mi sembra di essere sulla copertina di un giornale hard, in Australia ho sempre paura di sbagliare la staccata e finire in mare e nel mare ci sono gli squali… ma anche qui nei box, nelle sale stampa, pure nella hospitality del mio sponsor.
Spero che questa lettera ti renda comprensibile il mio gesto, perché so che dopo che l’avrete letta tu e papà non mi parlerete più.
Farò una cosa veloce.
Alberto.
Alberto appende la tuta, con calma rimane a guardarla. Piena di nomi, sigle, colori è immagine della sua attività di cartellone pubblicitario semovente. Passa una mano sul casco lucido, posa per un attimo gli occhi sui trofei appesi al muro con la voglia di scaraventarli giù. Poi lascia perdere.
Infila sopra i boxer i primi jeans che trova a tiro, una maglietta con il logo dello sponsor, un paio di occhiali da sole lo proteggeranno dalla furia e dallo stupore del mondo; è pronto.
Rimuove la doppia mandata alla porta e la apre di qualche centimetro, il freddo clima inglese di metà agosto gli lancia una frustata di gelo sui piedi nudi; non ha messo le scarpe, tanto non ha intenzione di muoversi di un millimetro dalla scala del motorhome, tantomeno di scendere nella corsia dei box. Non vuole parlare con nessuno in particolare, desidera solo farla finita con questo mondo che lo obbliga ai lavori forzati per mantenere manager, genitori, amicizie interessate, corifei, un serraglio di personaggi che da oggi faranno a meno di lui e troveranno un altro che li mantenga mentre le folle dei tifosi per un po’ lo rimpiangeranno, poi basta.
Mel Pelata gli manderà certamente i suoi scagnozzi per convincerlo a cambiare idea: prima si complimenterà per la geniale trovata pubblicitaria, poi gli chiederà di tornare sulla terra e di fare l’uomo; di fronte al netto rifiuto cercherà il modo di fargliela pagare, come accadde a Willy Portland, scomparso misteriosamente un giorno dopo essere passato ad un campionato concorrente perché l’ambiente dei prototipi gli aveva fatto venire la psoriasi.
Non importa, cali pure la tela su questo insopportabile spettacolo, si chiuda il sipario anche sulla carriera del Dottor Mastino.
Alberto apre la porta.
Non c’è nessuno.
Non c’è niente.
Di fronte a lui solo un lago, il cielo grigio, la bruma, il prato dove il motorhome è fermo, il freddo del primo mattino della solitaria campagna inglese. Ha i brividi del risveglio brusco e inatteso in un luogo silenzioso.
Una mano gli accarezza la spalla, delicatamente. Dietro di lui, una voce.
- Ancora brutti sogni, vero?
- Sì, ancora.
- Vedrai che col tempo i tuoi genitori capiranno.
- certo…è passato solo qualche giorno, è presto.
- Pensi ancora di avere fatto la cosa giusta?
- Non era la cosa giusta, era l’unica scelta che avevo. Non potevo correre una gara in più. Ho ceduto di schianto…
- Ti ammiro molto, amore.
- …scusa… non ho ancora smesso di piangere senza preavviso…
- Perché non rientri, continuiamo a dormire…
- …no, mi siedo qui anche se c’è freddo.
- Tieni, ti è arrivato un sms…
- …
- Che c’è scritto?
- “Fottiti”…è di Mel.
- Alberto…
- …dimmi.
- Perché non rientriamo in Italia, adesso?
- Voglio stare lontano dai giornalisti, dalla confusione, vorrei capire cosa fare… i miei genitori sono inferociti, mia mamma ha dichiarato che è tutta colpa tua, mio papà ha chiesto l’interdizione... dicono che il mio patrimonio sarà messo sotto sequestro conservativo in attesa di una perizia psichiatrica. Tutto questo solo perché non voglio più fare il pilota… le vacche grasse per loro sono finite e mi hanno dichiarato matto…
- Alberto, io ti amo.
- …dicono che mi hai manipolato, bastardi. Ora sto solo vivendo consapevolmente la mia vita; Mi hanno mandato nel tuo studio per farmi rinsavire: “vedrai che la psicoterapia ti farà bene”, diceva mia mamma. Mio padre annuiva in silenzio e fumava un cubano, la fidanzata che il manager mi aveva appioppato si trascinava per questo stesso motorhome parlando di me al telefono alle sue amiche, senza alcun ritegno, raccontandogli i fatti della mia vita privata, mettendomi alla berlina. Una volta ha tentato di baciarmi sul serio, in privato, sai?
- E tu?
- Io le ho dato un pizzicotto sul seno, ma non ha sentito niente.
- Ci ha tentato…
- …già. Con me ci hanno tentato tutti.
- Comunque, è finita. E’ bastata l’ennesima crisi di panico: hai messo in moto il motorhome e hai lasciato il circuito poco prima del warm up… certe volte la follia è l’unica via d’uscita, se non una dimostrazione di carattere.
- …da tre giorni sogno sempre di spedire una lettera ai miei genitori e poi di fare un annuncio a tutto il paddock. Sai, avrei voluto che il mio ritiro fosse stato meno melodrammatico. Invece si è veramente scatenato l’inferno. Nessuno ha fatto lo sforzo di capire il mio smarrimento. Poi mi sveglio dal sogno e mi trovo sempre qui, sulla scaletta del motorhome. Ho freddo.
- Strofina le mani, tesoro… Alberto, devi capire che hai gettato una bomba nell’ambiente… tu…
- …ma era così impossibile capire che volevo solo uscirmene senza dare fastidio a nessuno?! Invece non mi hanno lasciato nemmeno respirare un attimo, volevano sempre di più. Più soldi, più ascolti, più sponsor per l’intero campionato, meno libertà, meno felicità, stesse identiche pretese anno dopo anno. Meno male che ti ho incontrato.
- A me non meraviglia nulla, lo sai… solo pensavo che magari qualcuno ci pensasse un attimo e rispettasse la tua scelta, invece hanno dato in pasto ai media, per primi i tuoi genitori, la nostra storia non facendo nemmeno lo sforzo di cercare di capire.
- La nostra storia è di dominio pubblico, ma non importa. Non sono il primo, mi sembra negli anni settanta ci fu un pilota… poi mi sembra che cambiò pure sesso.
- …
- sai… non credo di essere l’unico nel paddock.
- Io torno a letto, Alberto. C’è freddo.
- Due minuti, Gianni. Mando un sms a Mel e arrivo pure io.
Antonio Privitera