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Temevo di perdere il treno ed i miei passi diventavano più lunghi. Il fiato si gonfiava sino a diventare il suono baritonale di un mantice e pregavo qualcuno più su di evitarmi il solito imbarazzante attacco d’asma e la fame d’aria. Soffro d’asma, e allora? Uno spruzzo e una compressa e in due minuti è tutto finito, non c’è bisogno di improvvisarsi buoni samaritani e venirmi in soccorso. Fatevi i fatti vostri. Per giunta, pioveva e i miei guanti si erano inzuppati. Mi misi a correre, attraversai la strada senza curarmi né delle automobili né dell’asfalto bagnato sotto le suole di cuoio e mi infilai in stazione come un toro nell’arena. C’era molta folla ed un brusio confuso. Riuscii a trovare il binario giusto e a sedermi giusto un minuto prima che il mio treno si muovesse, destinazione casa.
Sistemai il bagaglio chiedendo permesso all’unico occupante dello scompartimento, un uomo di media corporatura, barba incolta, scarpe da passeggio e vestiti in verità un po’ lerci ma di buona fattura: mi rispose con un cenno del capo sollevato per un attimo dalla lettura di un libro dalla rilegatura consunta che ricordava gli incunaboli rinascimentali. Il tizio sembrava giovane ma ebbi pure il dubbio che fosse in realtà un vecchio saggio ascetico, o un pazzo.
Iniziai a trastullarmi con le applicazioni del mio telefono, tanto per darmi qualcosa da fare e non rivolgere la parola ad uno sconosciuto, tra l’altro non è che mi stesse poi degnando di chissà quale attenzione immerso come sembrava nella consultazione di quel volume grande, ad occhio, 1.000 pagine. Chissà che peso da portarsi dietro, pensai; una rapida analisi del campo – che mi fece sentire molto intelligente e perspicace – accertò che nello scompartimento dove viaggiavo non erano presenti altri bagagli oltre al mio e opinai che il signore taciturno sarebbe sceso dopo poche fermate; io invece avrei proseguito per almeno tre ore.
Alle prime fermate l’uomo col libro non scese, manco degnava di uno sguardo il finestrino per accertarsi dove fossimo arrivati e la successiva ripartenza lo lasciava indifferente. Le mie brevi conversazioni telefoniche parevano non disturbarlo affatto nella sua lettura affascinata a parte i miei alterchi col tono finto calmo, vizio di una vita di coppia decisamente conflittuale, che gli causarono una leggera smorfia della quale mi accorsi perché avevo focalizzato la mia attenzione, stranamente, su di lui e sul suo libro.
Il treno passò accanto al lago e il buco nero sul monte che lo dominava si avvicinava per inghiottirlo. Prima di entrare in galleria feci in tempo a vedere sul lungolago decine di motociclette ferme in un piazzale, gente vestita male a colori sgargianti ma che metteva allegria come a carnevale e mi chiesi perché almeno la domenica tanti uomini non rimangono a casa con la propria compagna per fare cose utili, sensate, cose che servono a dare insieme un senso pratico e concreto alla loro vita e cercare di sopravvivere meno peggio di ieri e invece si perdono in attività inutili, senza scopo concreto e godono avidamente di oggetti che belli non sono, complicati e rumorosi.
Condannavo le attività inutili, non produttive; mi venne in mente chi si chiude per ore in una sala e suona la chitarra elettrica perdendo tempo ad imparare un brano che poi non gli servirà a niente durante la propria vita di ogni giorno, oppure mi chiedevo che senso avessero le giornate trascorse dalla mia amica Maria Angela a contemplare i versi di Erich Fried, quando poi non le torna in tasca nulla, semmai i libri di poesie costano, come le corde delle chitarra. E lei vive male, è troppo generosa.
La galleria si avvicinava ed ebbi la sensazione di avere visto l’uomo fissarmi; immediatamente dopo entrammo nel lungo tubo nero. Tu-tump-brevissima pausa -tu-tump. Questi binari sono gli stessi da cento anni e al buio si da più corpo ai rumori.
Temevo che nell’oscurità il tizio col libro stesse ancora fissandomi con quello sguardo da folle e provai rabbia al pensiero che volesse intimidirmi chissà poi perché. Forse ero veramente in compagnia di un pazzo; sentii i prodromi di un attacco di asma e in preda all’ansia impugnai il cellulare utilizzandone il flash come torcia: lo vidi col mento appoggiato al suo petto, gli occhi chiusi e il libro nel sedile accanto aperto con le pagine all’ingiù. L’uomo dormiva. Pensai che invece era un tipo che non perde tempo, un tipo a posto, e mi calmai.
Tu-tump-brevissima pausa -tu-tump.
Tu-tump-brevissima pausa -tu-tump.
Tu-tump-brevissima pausa -tu-tump.
Tu-tump.
Non feci niente di male quando presi il suo libro solo per curiosità, no.
Ma quel maledetto tomo sembrava fosse magnetico, si attaccò alle mie mani e chiese tutta l’attenzione dei miei occhi nonostante quella oscurità incerta; vivevo con soggezione l’attesa del momento in cui saremmo usciti dalla galleria e la luce avrebbe illuminato le pagine rendendo però evidente il mio possesso non autorizzato del libro: avevo paura della reazione dell’uomo. Pochi secondi, in cui dal buio passammo alla penombra, dalla penombra alla luce, dalla luce alla tragedia.
La galleria era finita e l’uomo giaceva con il mento sul petto e un coltello conficcato nel cuore.
Soffocai un grido, poi ne urlai un altro in preda al panico e la gente accorse trovandomi in crisi d’asma, il treno si fermò ed il mio successivo ricordo risale a quando mi ritrovai di fronte a due uomini di cui uno in divisa, un bicchiere d’acqua e un verbale.
Mi chiesero se conoscessi l’uomo ucciso accanto a me, risposi di no e il magistrato mi disse che il cadavere apparteneva ad un notissimo progettista di motociclette, un visionario super pagato e conteso ogni anno da moltissime case motociclistiche per disegnare motociclette di ogni tipo e genere, non mi volle dire il nome. Una specie di artista, un uomo schivo dagli studi incerti e mai chiariti ma che aveva rivelato un incredibile talento per la progettazione di ogni aspetto estetico, tecnico e dinamico delle motociclette dopo un oscuro passato da carrozziere. Viaggiava sempre in treno e senza bagaglio, spesso senza meta e specialmente dopo un importante incarico di progettazione, era pieno di stranezze e trasandato – come ebbi modo pure io di vedere – nonostante i guadagni notevoli che gli avrebbero permesso ogni comodità se solo avesse voluto. Il progettista dormiva pochissimo e solo in ambienti protetti e per questo il magistrato che mi interrogò rimase stupito quando gli dissi che io l’avevo visto dormire mentre il treno attraversava la galleria.
Non ebbero sospetti su di me sopratutto perché il coltello era stato conficcato nel corpo con una forza estrema della quale non mi ritennero capace. Il colpevole era sul treno e lo avrebbero identificato in brevissimo tempo, ma la mia deposizione era indispensabile per contestualizzare meglio la vicenda.
Fecero altre domande, io non avevo molto da dire ma lo dissi interamente e ritornai alla mia vita e alla mia asma in poche ore, omisi un solo particolare: la presenza del libro che al momento della scoperta dell’omicidio nascosi, senza dire niente a nessuno, nella ventiquattrore. Lo feci più per curiosità che per occultare un elemento di indagine e ancora oggi giurerei sulla mia buona fede.
Lo aprii a casa, il giorno dopo. Il volume in effetti era molto antico, scritto in una sintassi latina incomprensibile che non ho mai fatto tradurre perché il libro lo tengo nascosto. Ciò che era interessante ed eloquente erano i disegni. Il volume doveva essere stato scritto da un ingegno unico e mai più ripetuto e ebbi immediatamente chiaro a cosa si riferissero quelle linee e quei calcoli astratti. Ora che sono a capo della mia società di progettazione lo comprendo appieno e ogni giorno trovo nuovi progetti validi per soluzioni tecniche ed estetiche delle mie motociclette. Basta solo tralasciare quelle già usate dal precedente proprietario di questo libro e potrò andare avanti anche per vent’anni. Nel libro c’è tutto il meglio di ciò che è stato progettato e realizzato in campo moto negli ultimi decenni ed io attingo a piene mani. L’ignoto autore aveva già disegnato tutto. Aveva già previsto tutto e ne aveva fatto una forma d’arte chiamando il testo nel quale aveva riunito la sua opera “Encyclopaedia inutilis”.
Ho cambiato punto di vista sulle cose inutili: talvolta hanno ragione di esistere, magari per il solo fatto che permettono all’uomo di godere dei piaceri del bello e del raffinato.
Ho cambiato anche lavoro, non faccio più la promoter nei supermercati. Molte cose sono mutate nella mia vita.
Non ho più l’asma.
Ora disegno motociclette.
E’ stato un bel salto.
Ma non l’ho ucciso io, credetemi.