I racconti di Moto.it: "Euro 41"

I racconti di Moto.it: "Euro 41"
Il giorno in cui Luca uscì di prigione era un sabato. Nessuno ad attenderlo, solo il vento artificiale e la luce a 5600° K del mattino...
15 settembre 2011

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Il giorno in cui Luca uscì di prigione era un sabato. Nessuno ad attenderlo, solo il vento artificiale e la luce a 5600° K del mattino. Nella strada deserta, se non consideriamo i piccoli ologrammi tridimensionali delle tortore proiettati sugli alberi in alluminio finto-legno, non c’era altra forma di vita apparente che lui con in mano una busta di plastica e dentro i suoi effetti personali; busta biodegradabile con chip di riconoscimento nel caso qualcuno dovesse lasciarla incustodita o abbandonata. Vestito come un poveraccio, solo, reietto dalla società e dalle amicizie a causa della reclusione; ma ottimista.
Respira, Luca. Respira quella stessa aria origine della sua vacanza a spese dello Stato, impalpabile locus commissi delicti.

Facciamo un passo indietro di qualche mese: lavorando agli scavi per la realizzazione della centrale geotermica sotterranea Luca trova un arnese strano e affascinante ricoperto di terra, radici secche e lombrichi mummificati: tubi assemblati a foggia di traliccio, un monolite al centro, due cerchi rotanti alle estremità e poi fili, pulsanti. Luca è un uomo sveglio, altrochè: nella pancia gli si materializzano all’istante milioni di farfalle (mai vista una dal vero, ma non importa) e il sudore prende a colare dalla fronte; al solo pensiero che un collega possa vederlo toccare quell’oggetto antico e leggendario pensa tremante alle conseguenze che potrebbero prodursi se veramente quella fosse ciò che teme: una motocicletta. Ma perché temere? Qualcuno di noi ha mai veramente temuto il fascino di una tentazione proibita senza sentirsi in grado, illudendosi, di indirizzare innocuamente gli eventi verso la propria soddisfazione?

Nessuno dei suoi conoscenti ha mai visto un mezzo a motore, vietatissimo anche il solo parlarne, possibile causa di conseguenze nefaste e di ostracismo. Solo suo padre, nel pomeriggio di un Natale passato come al solito in famiglia a bere vino sintetico, fece vagamente cenno ad una fantomatica motocicletta del bisnonno; ma si riferiva a tanto tempo fa, poi venne il buco nell’ozonosfera sopra l’Italia, poi l’Euro 41 e, infine, la scomparsa delle specie animali e vegetali ad opera di un banale errore di calcolo nella progettazione di una centrale a fusione nucleare in Sicilia.

Roba passata, ora stanno tutti bene, tutto procede ordinatamente con solo qualche piccolo, opportuno aggiustamento alle regole sociali in qualche modo necessario quando vivi tre chilometri sotto terra a causa delle radiazioni, della percentuale di veleni nell’aria in superfice e dei raggi ultravioletti. Capita così che si diventi un po’ sensibili sul tema “inquinamento”, suscettibili e alquanto pretestuosi nel prevenire e reprimere ogni tipo di ammorbamento dell’ambiente e soprattutto dell’aria razionata e purificata a fatica da enormi macchinari IMOEB 9000. Da secoli, delle moto e dei mezzi a motore nessuno vuole, né può, più sentir parlare, come di ogni altra cosa capace di produrre il benché minimo insozzamento della scarsa aria a disposizione di tutti. E così, via alle delazioni a ruota libera: il tale che denunciò il vicino di aver acceso una sigaretta (tre mesi di carcere ad aria rarefatta), la fidanzata tradita che accusò l’ex di aver fatto la gara di rutti con gli amici (un mese), si videro persino neomamme esasperate denunciare il bebè di aver fatto ariette persistenti (per fortuna, ad oggi, pena sospesa in attesa della maggiore età).

Luca cede alla malìa della motocicletta. Nasconde il relitto e lo porta a casa in tempi opportuni per non essere notato da nessuno, tacendo tutto a tutti. Ogni volta che il sole artificiale viene spento e si diffonde un chiarore pallido ed etereo per dare l’effetto notte, Luca si documenta su libri e riviste vietate, consulta pubblicazioni ancora esistenti ma illegali, approfondendo la conoscenza di un mondo che non soltanto lo suggestiona ma lo affascina e rapisce. Diventa un drogato di motociclette, senza mai averne guidata una vuole sempre di più, non gli basta vedere immagini di moto e poterne accarezzare una celata nella propria casa ma vuole sentirne il suono e, inoltre, vuole guidarla.

Per necessità diventa in poco tempo amico dei peggiori ceffi delle vuote strade di una Milano Inferiore buia come in un noir, infrange la legge chiedendo roba pesante e vende tutto quello che ha per procurarsela. Impiega più di un anno per reperire materiale vecchio di almeno due secoli e diviene talvolta preda di truffatori che gli rifilano pezzi contraffatti, ma il senso di vittoria che lo pervade ogni volta che vede completarsi un passo alla volta la sua motocicletta lo rende insensibile alla pur minima prudenza.
Terminato l’assemblaggio rimane soltanto da interpretare la sbiadita scritta sul serbatoio e consulta l’ultimo discendente della nota famiglia di motoristi Gable al quale mostra le immagini del relitto: l’ormai ultracentenario Tullio Gable mormora flebilmente “…ota…”, strabuzza gli occhi e sussulta sulla sedia a rotelle. Il giorno seguente Luca fa realizzare degli splendidi adesivi CAROTA e li appiccica sul serbatoio, mentre Tullio Gable cede le armi e spira.

Ora ci vuole la benzina. Il reato di spaccio di benzina viene punito con vent’anni di reclusione, la ricettazione della stessa con l’ergastolo. Luca se ne frega e investe gli ultimi risparmi per sedurre il figlio gay di un distillatore di idrocarburi clandestino. La cosa è seccante e non indolore ma ne viene a capo, ottenendo cinque litri di introvabile “super”. Ne poteva anche nascere una bella storia ma Luca, intimamente etero, con la scusa che non vuole legarsi liquida il poveretto che si dispera per amore. Non si sente pronto.

Quel giorno mangia poco e male, nell’attesa che si faccia l’ora di accendere il motore per la prima volta; ha pure costruito una stanza insonorizzata per non lasciare che nulla trapeli all’esterno. Mentre versa la benzina nel serbatoio, l’odore lo eccita: capisce perché nelle foto d’epoca i motociclisti hanno tutti espressioni stravolte. Fatto. Luca mette i fili in contatto tra loro e sente la pompa del carburante mandare in pressione l’iniezione con un mitologico ronzio. Luce rossa e luce verde accese sul quadro strumenti. Non sa con quale dito premere “start”: indice o pollice? Sceglie il pollice perché alla fine di un vecchissimo filmato di prove di moto ha visto un uomo con la barba mostrare il pollice sorridendo, quindi preme il pulsante.

Il motore si avvia come se negli ultimi duecento anni non avesse aspettato altro, regalando a Luca un concerto sublime e odori intensi. Accelera, un poco soltanto perché sa che bisognerebbe aspettare qualche minuto, ma non ha tutto questo tempo: qualcuno sentendo le vibrazioni del terreno potrebbe insospettirsi e allora mette la faccia di fronte alla marmitta per gustare lo schiaffo delle calde esalazioni e mentre sorride, alle sue spalle, si apre la porta.

E’ il Reparto Anti Inquinamento della Pulizia di Stato. Tutto è perduto, pensa Luca, ma ne è valsa la pena. Ammanettato come un delinquente viene portato in prigione dove un giudice lo interroga secondo il codice di Giustizia Ambientale Sommaria e lo condanna per direttissima a sei mesi di reclusione per polluzioni moleste con l’attenuante di aver commesso il reato in ambiente stagno; sul resto il magistrato chiude un occhio. Tradotto in cella ne esce sei mesi dopo, di sabato.

Luca era ancora fuori dal carcere, la busta in mano mentre meditava sul da farsi. Dove andare? A casa non lo avrebbero accolto di sicuro e l’infamia gli aveva precluso ogni rapporto con gli amici. L’esperienza carceraria lo aveva maturato cementando in lui l’identità motociclistica e il gusto della diversità; essere una persona dispari non lo dispiaceva e sentiva in sé l’indole guerriera degli uomini giusti con alle spalle un passato avventuroso. Il trattamento ricevuto in prigione lo aveva indignato, però: oltre all’aria rarefatta, nessuna visita, nessun verbale del processo sommario. Non si era mai chiarito come avessero fatto a scoprirlo; comunque era acqua passata. Già. Rimaneva da capire cosa fare. Luca era assolutamente certo, e noi concordiamo con lui, che già adesso la sola scelta di andare a destra o a sinistra avrebbe avuto un peso enorme nell’influenzare gli eventi di tutta la sua vita successiva e, mentre rimugina, dal fondo della strada un risciò si avvicina e si ferma di fronte a lui; dalla cabina una voce:
- Sali?
Luca guarda dentro la cabina e alza un sopracciglio. Conta fino a due. Perché no?
- Dove mi porti?
- A casa.

In fondo se ha aspettato sei mesi era vero amore, pensa Luca.
- …Tuo padre?
- No, sono stato io. Mi hai spezzato il cuore, bastardo.

 

Antonio Privitera

Foto dal Web



 

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