I Racconti di Moto.it: "Finché morte non vi separi"

I Racconti di Moto.it: "Finché morte non vi separi"
Trovare una chiave inglese nella penombra del garage col cellulare in una mano e la sigaretta accesa nell’altra è difficile. Claudio è chiuso nel garage da un pomeriggio intero...
16 febbraio 2012

Punti chiave


Trovare una chiave inglese nella penombra del garage col cellulare in una mano e la sigaretta accesa nell’altra è difficile. Claudio è chiuso nel garage da un pomeriggio intero. E’ tardi, è passata l’ora di cena e sarebbe il momento di risalire le scale che portano al piano terra della villetta con giardino dove abita col padre, il Dottor Montano.
- Non c’è problema, ci metto pure i silenziatori Termigoni in carbonio; ti richiamo appena è tutto pronto.
Manco ciao.

Claudio ha una cassetta degli attrezzi, giovane e con poca esperienza; ha trovato la chiave inglese, posa la sigaretta sul bordo del banco di lavoro e si appresta a riempire i giorni d’inverno afflitto da un certificato di residenza che lo colloca nell’entroterra siciliano, comune di Borgolupo: già questo gli darebbe diritto ad un premio o un sussidio Statale, pensa.
I pomeriggi tra Natale e Capodanno non passano mai se non hai voglia di sprecare il tuo tempo al bar, negli angoli di piazzette male illuminate che con l’ora legale è già buio alle cinque della sera. Anime morte nel pomeriggio, trafitte da banderillas di inutilità e indolenza, ferme per ore ad accendersi una sigaretta sul ciglio di un caffè; tori scalcianti al vento cui il rosso non fa più alcun effetto.

Dei computer e dei social network con i quali inventarsi una realtà, delle relazioni false quanto gli occhiali da sole C&G comprati quest’estate in spiaggia, Claudio non vuole sentire nemmeno parlare: non desidera incontrare nessuno, il contatto con gli altri non lo interessa, lo trova ustionante, viscido. E poi ha da fare, ha da lavorare; il lavoro bisogna inventarselo, lo dicono tutti; pure suo papà e la sua fidanzata.
E’ un falso mito quello della Sicilia calda anche d’inverno. Mica sono i caraibi: a Borgolupo fa freddo come a Bologna con l’aggravante generica dell’umidità della campagna che infligge una pena di gelo senza condizionale; Claudio, però, è in maniche corte: suda, sbuffa, impreca mentre smonta le ruote, poi le plastiche, poi il motore da una motocicletta sportiva di 996 centimetri cubici e un pezzo alla volta ripone il tutto dentro ordinati scatoloni. Non sente le urla di suo papà che lo chiama da sopra, che è ora di mettersi a tavola.
Claudio si sporca d’olio motore e di benzina vecchia, decompone in termini ultimi ciò che prima aveva un’integrità e un’anima, disassembla con perizia da chirurgo un oggetto che fino a poco tempo prima sembrava avesse in sé vita. Riversa su un fianco o in piedi sul cavalletto centrale, la motocicletta vede la propria morte compiersi e lo smembramento operato da Claudio con mani inesperte separa per sempre ciò che, per continuare ad vivere, avrebbe dovuto restare unito e saldo; il garage di Claudio sembra un laboratorio clandestino dove i cadaveri vengono sezionati per poi rivenderne gli organi, parti separate e incapaci di ricongiungersi le une alle altre; seppure accadesse, mancherebbe ormai l’anima e la vana unione tra di loro sarebbe insensata e scandalosamente incestuosa.

Prenditi tutto il tempo che vuoi, Claudio; noi torniamo tra poco.

Su una statale deserta è passata da poco l’ora di cena ed Elisa torna a casa a 3000 giri al minuto su una monocilindrica stradale 600 del 1986. E’ tesa, Elisa. E’ arrabbiata, è sfiduciata per un futuro che si rivela sempre più incerto e meno roseo di come lo aveva sognato; l’età non le permette di fare previsioni sull’avvenire, solo di sognarlo. Ha ventidue anni, ma ne dimostra trenta per il piglio, quaranta per la
riflessività, diciotto per le abbondanti e sode grazie che non le consentono di camminare in giro per il paese senza sentire su dì sé gli sguardi dei giovani del bar e dei vecchi delle panchine.

Elisa sta rincasando dal lavoro, è stato il suo ultimo giorno: ha ricevuto il benservito e con il rientro dalle ferie natalizie non ci sarà più bisogno di lei al supermercato; le è stato chiesto di lasciare il suo armadietto aperto e il badge all’ingresso. Non riesce a farsene una ragione, ecco cosa.

Senza studi, senza soldi, senza parenti influenti in una provincia povera di uno Stato in coma politico ed economico, Elisa si trova in quel limbo all’interno del quale ogni direzione nuova può essere vista come la soluzione a lungo cercata. Già, ma ora? Cosa raccontare ai suoi genitori che non hanno mai creduto alla favola del suo amore con Claudio? Come argomentare alle amiche emigrate al nord, che l’hanno tacciata di immobilismo, la scelta di rimanere a presidiare i suoi luoghi motivata dall’illusione di trovare anche a Borgolupo un lavoro, una vita?
Avevano ragione, tutti.

Questo è il suo ultimo pieno nella moto, quello appena trascorso è l’ultimo Natale nel quale ha potuto regalare ai suoi cari e a Claudio ciò che desideravano. D’ora in poi, mattine vuote e senso di inutilità. Torneranno alla carica i suoi genitori con l’imposizione del lavoro a casa, per dare un contributo concreto alla famiglia che la mantiene in attesa di un marito onesto e benestante. Matrimonio atteso per le prospettive che avrebbe schiuso, per le indecenze e le limitazioni cui avrebbe posto fine: la vita coniugale, unita per sempre a Claudio da un vincolo indissolubile, avrebbe segnato il punto di non ritorno dalla schiavitù familiare, decretato la sua patente di rispettabilità in un paese dove spesso è osservata con bramosia morbosa e invidiata dalle sue coetanee tra le quali Elisa non ha amiche, ma solo concorrenti. La competizione, in un contesto così ridicolmente ristretto come può essere quello di un piccolo paese dell’entroterra siciliano, è feroce come la caccia a mani nude ma l’invidiato legame con Claudio è un vincolo che Elisa sente già così solido da poterlo tranquillamente assimilare a quello muliebre; alla faccia delle invidiose.

Elisa sa che perso il lavoro dovrà ricominciare daccapo e attendere, ancora: sotto il casco piange lacrime di disprezzo e vomita singhiozzi di disillusione, misura con il metro dei suoi ventidue anni fallimento di una singola esperienza ancorandoci tutta la vita ancora da spendere e progettare.
Nel frattempo torna a casa, a 3000 giri al minuto indicati.

Se un oracolo ci rivelasse la data della nostra morte e quando anche questa data fosse lontanissima, noi cadremmo certamente in uno stato di profonda disperazione per il senso di imminente e certo epilogo della nostra esistenza. I nostri orizzonti temporali si appiattirebbero fino a far coincidere la morte con l’istante successivo al pensiero della nostra stessa scomparsa e quanto ci resta da vivere sarebbe totalmente avvelenato. Nello stesso modo, Elisa è già proiettata verso la fine, verso l’inconcludenza dei giorni che si sarebbero accavallati senza senso e privi di scopo. L’unico modo di capovolgere queste angosce è quello di trovare, subito, un’altra occupazione; lavoro che vuol dire libertà, che si traduce in un paio di scarpe nuove quando ti va di comprarle, nel casco da regalare al tuo fidanzato, nella scusa per uscire di casa senza dare ulteriori spiegazioni mentre i tuoi genitori stanno ancora pesando il caffè nella tazzina con gli occhi bassi sul giornale del giorno prima.

Pensieri che si fanno in moto, nel silenzio, con le mani intorpidite nonostante i guanti.
Un furgone bianco sbucato chissà da dove si affianca a destra e il conducente le fa cenno di accostare, mentre Elisa accenna ad una lieve piega in una curva; manco lo aveva visto: si sveglia bruscamente dai suoi pensieri e accelera per la paura.

Un colpo. Due. Il terzo, più forte e doloroso.
Il casco evita guai peggiori e il freddo rende insensibili gli arti all’urto contro l’asfalto.
La moto scivola dritta verso la campagna. Elisa rimane immobile a terra, il furgone che l’ha tamponata si ferma, spegne i fari e due uomini avanzano verso di lei.
Vorrei essere a casa, pensa. Immagina quello che sarà il seguito e il freddo diventa un amico che anestetizza i dolori e rende più facile tenere a freno la paura mentre avverte il tepore della propria urina sulle rotule. Non sarà una serata piacevole.

Claudio fuma e il garage è impestato dalla puzza di sigaretta, chiude gli scatoloni col nastro da imballaggio accertandosi che non pesino troppo.
Ha un sobbalzo, un momentaneo trasalire. Toglie le cuffie e dà un ascolto in giro. Solo suo papà che urla la cena. Leva dalla tasca il cellulare e controlla, niente. C’è freddo. Tutto a posto, Claudio. Continua.

Elisa vaga con lo sguardo tra le caviglie dei due uomini, non riesce ad alzarsi per la paura e per i dolori.
- Stai a terra, levati il casco e non ti muovere. – dice uno mentre l’altro le fruga addosso e le prende il telefono, poi lo lancia nella campagna umida.
I due si allontanano per andare a recuperare la moto scivolata più avanti, Elisa si siede sull’asfalto al buio. Quello più alto e massiccio parla al telefono.
- Pronto? Michele sono. Tutto fatto. Sì, abbiamo la moto, solo qualche graffio… no, la ragazza sta bene, è solo un po’ spaventata. Ah… qui c’è un problema, la moto è incastrata sotto il guardrail e non viene via. Ci serve una mola per tagliare la lamiera… no, che non ce l’abbiamo! E che ci portiamo dappresso pure il gruppo elettrogeno?? E che siamo, elettricisti? Sbrigati, porta la mola e ce ne usciamo da questa faccenda. Sì, la ragazza è ancora a terra. Che cosa vuol dire che non puoi venire altrimenti passi i guai? Figlio bello, mi stai facendo seccare! Qua siamo, ti stiamo aspettando.- e riattacca.
- Cos’è, non vuole venire?
- Dice che se viene passa i guai.
- E noi come la tiriamo fuori questa moto da lì? ...sti carusiddi non ne mangiano di lavoro…
- Franco, guarda che se non era per lui… ha trovato tutti questi collezionisti che comprano pezzi e moto intere su internet e per noi è stata una benedizione. Se non c’era lui, tu e io eravamo ancora a dare da mangiare ai maiali dell’agriturismo.
- Si ma questa cosa prima o poi deve finire, non possiamo rubare moto d’epoca in continuo…
- Pure questa minchia di crisi deve finire… noi cerchiamo di non farci beccare e di uscircene puliti.
- È per questo che tieni una pistola?
- No, la porto perché a girare di notte per strade di campagna deserte mi spavento pure io. Dicono che ci sono malintenzionati disperati in giro.

Elisa è ancora a terra, ma è vigile. Ha origliato nel silenzio della campagna serale la conversazione dei due energumeni e sente la rabbia montare, bollire come reazione chimica all’ingiustizia e alla sopraffazione non giustificata da questa lotta tra poveri. Non vuole farsi rubare la motocicletta: l’ultimo avamposto della sua libertà e il primo oggetto che è riuscita a comprare con il denaro guadagnato passando codici a barre. Su internet c’è tanta gente che ne cerca una simile, sembra che sia una moto rara e appetita dai collezionisti. E lei, invece, l’ha comprata da un meccanico del paese che l’aveva come ferrovecchio in officina, poi l’ha smontata e rimontata assieme a Claudio, riparata, messa in ordine e tutto questo per farsela portare via da questi due pecorai malvestiti e dalle mani sporche: la cosa la sta veramente facendo arrabbiare; quella rabbia che se esplode non trova poi alcun limite sensato.
Spalanca gli occhi quando, pochi minuti dopo, sente un’altra macchina arrivare e fermarsi lontano, a venti metri da lei, con i fari accesi. E’ una Gulf diesel.

Un lampeggio.
- Qua è. Arrivò.
- Ma perché non si avvicina?
- Capace che si scanta che la ragazza poi lo incontra e lo denuncia.
- Senti Michele, andiamo a prendere questa mola e il gruppo elettrogeno dalla macchina del carusiddu, carichiamo la moto sul furgone e poi ce ne andiamo, che c’è freddo.
Avanzando a grandi passi i due superano Elisa, arrivano alla macchina ferma col motore in moto e i fari accesi, prelevano dal vano bagagli un pesante involucro, alcuni attrezzi e lesti portano questi arnesi verso la moto incastrata.
C’è una macchina, un’altra.
Arriva veloce, se ne accorgono tutti. Elisa si alza nonostante il dolore alle gambe, vuole farsi aiutare; Franco e Michele lasciano cadere quello che trasportano e corrono verso di lei, Michele la prende per le spalle e la immobilizza, mettendole una mano fetida sulla bocca.
- Zitta, ti prego! Muta! Non mi costringere!
Elisa scalcia mentre viene portata a forza dietro il furgone da Michele, la macchina, una station wagon bianca, arriva sempre più veloce: è a un centinaio di metri. Rallenta.

Si ferma.
- Va tutto bene? – dice un signore con l’accento del nord.
- Tutto a posto – risponde Franco.
- Serve una mano?
- No, gentilissimo. Abbiamo già risolto, grazie per davvero.
- Ma è vostra la moto a terra?
- Sì, cascai e la moto rimase incastrata… ora col mio amico che mi ha portato gli attrezzi la libero.
- Ah, meno male. Che freddo, però. Queste cose capitano sempre nel momento sbagliato.
- E’ il periodo disgraziato… la crisi…– Franco sente un trambusto di colluttazione dietro il furgone, spera che il rumore del motore al minimo della station wagon e l’autoradio che suona “Santa Claus in coming to town” coprano tutto, che Michele non faccia troppo male alla ragazza, che quel cretino che ha portato la mola e il gruppo elettrogeno scenda dalla sua auto e dia una mano, che il freddo si faccia meno appuntito, che sua moglie abbia preparato qualcosa di caldo per cena, magari i ceci, che questo passante zelante e indeciso non faccia lo stupido e che intuisca che è meglio per tutti se va via senza fare altre domande oppure che sia stupido e si accontenti delle spiegazioni e dei ringraziamenti balbettati cercando un italiano decente, sparendo nell’oscurità della statale non illuminata, che questo periodo finisca presto perché lui non è un ladro e prima o poi è convinto, se continuano, che faranno una minchiata che li porterà in galera e a quel punto cosa direbbe ai suoi figli, che in fondo però non è che stia facendo chissà quale crimine: sta solo rubando motociclette da collezione.
- Va bene, buonasera. – e senza attendere nemmeno che Franco saluti, mette la prima e si avvia.
- Grazie di nuovo, buonasera. – dice più a se stesso che all’altro, vedendo con sollievo la station wagon affrontare la curva dove è stesa la motocicletta.

Un colpo.
Franco si gira verso il furgone, “Michele che cazzo fai!?”, pensa. Il colpo è partito da lì dietro, si avvicina.
Due. Il parabrezza della Gulf va in frantumi e il clacson prende a suonare.
Il terzo, più forte e doloroso.
Franco fa appena in tempo a vedere Michele morto con i calzoni giù, poi cade a terra come un ramo pesante reciso di netto.

Elisa è in piedi con l’arma di Michele nelle mani.
Mani sul calcio della pistola, a tazza e piattino come gli ha insegnato lo zio carabiniere e peso all’indietro. Volge lo sguardo verso la Gulf, il clacson sta sempre suonando e non lo sopporta, decide di avvicinarsi e di fare in modo che smetta. Quella macchina le è familiare.
Avanza a passi brevi coprendo quei pochi metri annaspando con le mani come se nuotasse. La pistola non le trema, ha le guancette in legno e non è fredda. Impugnarla le dà un senso di sollievo, lo stesso sollievo di non sentire più addosso le fetide mani di Michele; l’odore di porco e di sigaretta è svanito insieme alla prima pallottola.

Arrivata all’auto, apre la porta del conducente con la mano sinistra.
Il corpo di Claudio scivola verso l’asfalto, Elisa urla.
Non piange, urla soltanto.

Mezzora fa aveva solo perso il lavoro e il mondo le era precipitato addosso.
Ora le rimane solo la moto.

Una coscienza da buttare, orizzonti svaniti. La mano sulla pistola. La mente che effettua milioni di congetture, analisi, supposizioni. Rimpiange, odia.

Nel sedile del passeggero, un’agenda e un cellulare, sono di Claudio; Elisa li vede, gira dall’altra parte e entra in macchina. Si siede sul sedile tenendo le gambe fuori dall’automobile, stanca e annebbiata. Ma è un attimo: accende la luce di cortesia e sfoglia l’agenda con tutti gli appunti sulle moto da rubare e a chi spedire i pezzi o chi contattare per rivenderle: accanto, i prezzi concordati; non è incredula quando vede che alla voce “xrs 600 ‘86” c’è il suo nome scritto piccolo tra parentesi: Elisa Siracusa. Il prezzo è tremila euro. Le manca un po’ il fiato: lei è solo un nome nell’agenda di un ladro di motociclette; pensa alla smisurata mole di aspettative che ha mal riposto e le viene voglia di sparargli un altro colpo, ma si trattiene, tanto è già morto. Prende il cellulare di Claudio (tre chiamate non risposte da parte di “Conti 996 SPS”) e inizia a scorrere messaggi e telefonate, la testa le gira vorticosamente perché capisce l’enorme ammontare di soldi che il suo promesso sposo muoveva e che nel garage devono esserci centinaia di migliaia di Euro in scatoloni pronti a partire.

Ci pensa su giusto un attimo. La soluzione è a portata di mano.
Guarda con commiserazione il corpo del fidanzato, poi gli estrae dalla tasca le chiavi di casa e del garage, che conosce bene. Anche se lei dovesse entrare di notte, il Dottor Montano non si accorgerebbe di niente, lui si limita sempre e solo a gridare che la cena è pronta. Come se l’importanza di una educazione si limitasse nel rispettare gli orari dei pasti. Quante volte avevano fatto l’amore in garage dopo avere lavorato un po’ alla motocicletta, mentre il padre, separato, di Claudio li chiamava gridando che la cena era pronta.

Elisa libera la moto con uno strattone dalla morsa del guardrail. L’adrenalina dei motociclisti fa miracoli, a volte.

Da una scalciata alla leva e il mono si avvia subito. Meglio di un uomo.
Lascia la pistola per terra dopo averla pulita per bene. Meglio di un killer.

Mette la prima: qui siamo bravi tutti ma c’è chi sa farlo con uno charme inimitabile; si avvia verso casa di Claudio con lucida calma. 2500 giri al minuto.
Poco dopo, ferma col motore in moto, trova la station wagon bianca e un uomo col cellulare in mano che le fa cenni.

- Signorina!
La moto si ferma.
- Scusi signorina, cerco la strada per Borgolupo… mi sono perso. Avevo un appuntamento ma il signore che dovevo incontrare non risponde. – e preme il tasto di chiamata.
Elisa sente vibrare nel giubbotto il telefono di Claudio e vive quell’attimo di indecisione proprio delle scelte già fatte ma da tradurre in azione per la prima volta.
- …scusi ma lei è tutta graffiata! Sta bene? Ma quella non è la moto che era stesa sotto un guardrail mezzora fa?

Prende vita un attimo di silenzio che consente ad entrambi di ricostruire la sequenza degli eventi, sorprendersi, assegnare dei ruoli, fidarsi.
- Lei è qui per il Conti 996 SPS? – sibila Elisa mentre ripassa mentalmente l’agenda: in corrispondenza di questa moto c’era la cifra di trentamila euro.
- …sì.
- Ha i trentamila?
- In tagli da cinquecento, come mi aveva chiesto il ragazzo.
- Penso di poterla aiutare.
- Termigoni inclusi, eh!?

Antonio Privitera

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