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Mi dissero che era un progetto impossibile e velleitario. Però avevo fatto i miei conti, avevo tutte le possibilità di farcela.
Il clima politico romano era esasperato da tutti quei cronisti d'assalto intenti a rimestare nel torbido in cerca dell'ennesima notizia di corruzione e trame occulte, storie che dalle prime pagine dei quotidiani brillavano di clamore per qualche settimana per poi cadere nell'oblio; talvolta eravamo noi stessi membri del Governo a farle trapelare per distogliere l'attenzione dei media da vicende ben più scabrose, tuttavia un giorno venne il mio turno: Umberto Novic e il suo giornale mi avevano sbattuta in prima pagina come responsabile di quel pasticciaccio brutto di tangenti negli appalti per la riasfaltatura delle strade della provincia di Trantoli. La stampa aveva quindi fatto terra bruciata intorno a me e avevo perso il mio elettorato, diventando per il partito una zavorra senza posto in lista alle prossime elezioni.
Fu una tragedia: da un giorno all'altro la responsabilità in tutta Italia del pessimo stato delle strade ricadde su di me, era mia la colpa se decine di motociclisti perdevano la vita per il carente stato manutentivo della rete stradale
Fu una tragedia: da un giorno all'altro la responsabilità in tutta Italia del pessimo stato delle strade ricadde su di me, era mia la colpa se decine di motociclisti perdevano la vita per il carente stato manutentivo della rete stradale, fui persino incolpata dei trafilaggi di acqua nelle gallerie, della scarsità di parcheggi, ritenuta responsabile della eccessiva scivolosità delle strisce bianche, financo della maleducazione degli automobilisti, delle forature delle gomme delle biciclette e delle code ai caselli.
In tutta la penisola il detto “è colpa della Malannata” divenne comune locuzione di generica e indignata protesta contro la corrotta mala gestione della cosa pubblica. Di fronte all'ostilità dell'opinione pubblica e alla comprensibile difficoltà che avevo creato all'immagine del Governo, dissi chiaramente al Primo Ministro che se la mia permanenza come di Ministro dei Trasporti fosse stata messa in discussione avrei pubblicamente fatto candide rivelazioni sul travolgente giro di tangenti per spartirsi il bottino di finanziamenti pubblici. Io, Lorena Malannata da Vendicari, messa all'angolo a soli quarant'anni e dopo più di vent'anni di militanza politica attiva; si imponeva una reazione.
Fortunatamente una sera mi venne la grande idea, suggerita dal mio collaboratore Beppe Juculano quasi per scherzo mentre mi riaccompagnava a casa e percorrevamo Corso d'Italia con la berlina blu:
"Ministra, guardi come è liscio qui l'asfalto, com'è perfetto! Ce l'hanno con lei ma qui sembra Monza, ci si potrebbe pure fare una corsa di motociclette".
Il mio rilancio politico sarebbe potuto ripartire da una corsa su un circuito stradale a Roma! Gran Premio della Città Eterna! No, troppo funereo, forse era meglio Trofeo della Capitale, oppure Circo Massimo
E io pensai perché no; il modo migliore per dimostrare che lo stato di salute delle strade della penisola fosse molto più dignitoso di quello che oramai la vulgata mi imputava era quello di organizzare una gara di motociclette. Il mio rilancio politico sarebbe potuto ripartire da una corsa su un circuito stradale a Roma! Una bella gara di motociclette ad inviti, con piloti importanti, tanti sponsor e un bel nome tipo Gran Premio della Città Eterna! No, troppo funereo, forse era meglio Trofeo della Capitale, oppure Circo Massimo. Sì, Circo Massimo mi convinceva.
Dormii poco e sovreccitata, se ne accorse pure mio marito Gianluca che tornò a casa a notte fonda imbibito di Chanel n°5. Il mattino successivo ne parlai al mio staff e chiesi di fare una veloce ricerca sulle corse di motociclette nei circuiti cittadini. Dopo un minuto, forse meno, il mio amico Arrigo Benedetti, che casualmente è pure un appassionato motociclista, mi chiamò:
- Lorena, ma che te sei ammattita?
- Stai parlando della gara di moto?
- Parlo proprio di quella, ti vuoi fare del male da sola? Hai già una fama di rompiscatole che mezza basta e te voi pure mettè a fa e corse de motociclette? Ma che te stai a fumà, lo zampirone? - Arrigo non negava mai un proprio passionale giudizio ed era anche per la sua ispida schiettezza, oltre per le doti fisiche, che lo avevo messo a capo del mio ufficio stampa – comunque, sappi che è impossibile. C'è una legge del 1957 che vieta le competizioni motoristiche su strada. Giusto quell'anno ci fu un brutto incidente alla Mille Miglia dove morirono nove persone e sai come vanno ste cose: l'opinione pubblica e tutto il resto.
- E che cavolo... sul serio?
- Dai Lorena sii ragionevole; capisco che vuoi riacquistare visibilità politica e crescere nei consensi, ma così no. No e poi no.
- Ma la Mille Miglia non era solo per le automobili?
- Guarda, un pilota spagnolo di nome De Portago perse il controllo della sua Ferrari vicino Mantova, su un tratto sterrato a oltre 250 km/h e finì la sua corsa tra la folla provocando una strage, ammazzando pure cinque bambini. Vuoi essere ricordata come quella che ha organizzato una strage? Figurati se a me non piacerebbe vedere le moto che sfrecciano tra il Colosseo e i Fori Imperiali ma...
- Arrigo, fidati. Politicamente non ho niente da perdere, invece questa mi sembra una buona idea: secondo me anche il Consiglio dei Ministri mi darà una mano.
- Dici?
- Sarebbe un bel ritorno d'immagine per l'Italia. E anche per Roma, finalmente il suo nome sarebbe associato a qualcosa di positivo e non ai soliti scandali.
- Ma ne hai parlato col sindaco? La giunta?
- Il sindaco è alle dipendenze del partito...
- E gli altri enti, le autorizzazioni, gli sponsor?
- Dammi tempo Arrigo, metteremmo tutto a posto. Tu organizza un bel piano di comunicazione, di quelli che sai fare tu quando ti ci metti. Allora, mi dai una mano?
- Lorè, lo sai che non ti dico mai di no.
Chiamammo la gara Grande Circo Massimo e avviammo la macchina organizzativa inserendo nella legge finanziaria una norma per derogare alla legge del 1957, sulla quale chiedemmo la fiducia. Fatto questo, costituii un consorzio per l'organizzazione e la promozione della corsa da svolgersi la successiva estate
Chiamammo la gara Grande Circo Massimo e avviammo la macchina organizzativa inserendo nella legge finanziaria una norma per derogare alla legge del 1957, sulla quale chiedemmo la fiducia. Fatto questo, costituii un consorzio per l'organizzazione e la promozione della corsa da svolgersi la successiva estate. Furono previsti lavori pubblici per decine di milioni di Euro e ovviamente ci misi la faccia; come previsto, i giornali mi massacrarono: dalle inchieste sulla necessità di spendere fondi pubblici per l'organizzazione di una competizione di motociclette, alla critica, proveniente sopratutto da testate di settore, sulla pericolosità delle “road races” tra marciapiedi e pali della luce. La mia posizione fu chiara: non era tutta questa tragedia, a Montecarlo si svolge ogni anno una gara di Formula Uno e in molte parti del mondo si corrono importanti corse su strada con le motociclette. Poi, grazie ad Arrigo, ebbi l'idea che azzerò le polemiche: il regolamento della gara avrebbe previsto che le moto partecipanti sarebbero state modelli di serie in regolare vendita e un dispositivo elettronico ne avrebbe limitato la velocità massima a 199 km/h.
Sbaragliai l'esercito dei pessimisti grazie all'intervista che concessi a Radio 25 dove parlai di libero arbitrio, coraggio, autodeterminazione, eroici valori morali e sportivi e ritorno alle origini di questo sport fantastico che sono le competizioni motociclistiche. Imbeccata da Arrigo che sull'argomento era una vera enciclopedia, ricordai che tutti i grandi campioni del passato prima ancora di diventare tali avevano primeggiato nelle corse cittadine e che queste gare rimangono nel DNA di ogni vero e grande appassionato motociclista, dichiarando così guerra ad un falso moralismo di stampo italico. Dichiarai che gli incassi della gara, detratte le spese, sarebbero comunque stati impiegati per migliorare le infrastrutture stradali e a molta gente si illuminò il cuore, quello nella tasca interna della giacca e posteriore dei pantaloni.
Dopo questa intervista il mio profilo facebook fu invaso dai commenti di motociclisti di tutte le età ed estrazione che si complimentavano con me assicurandomi sostegno e rispetto. Organizzai delle manifestazioni per sostenere lo svolgimento del Grande Circo Massimo dove radunavo e incontravo centinaia di motociclisti, molte Case e aziende furono coinvolte nelle varie iniziative che punteggiarono la penisola per sei mesi, costantemente e con molto entusiasmo. Sostenuta ed inclusa nella comunità dei motociclisti, la mia popolarità crebbe e non sarebbe più stato possibile, a quel punto, rimuovermi dal Ministero dei Trasporti senza creare anche un problema al Governo e ne approfittai per fare la voce grossa in Consiglio dei Ministri garantendomi facilmente maggiori fondi.
Riuscimmo così ad ottenere, pagando a ciascuno un cospicuo ingaggio, la partecipazione di 18 famosi piloti professionisti provenienti da tutto il mondo; invece, tra i quasi cinquecento piloti privati che tentarono la fortuna richiedendo l'iscrizione alla corsa ci fu anche mio figlio Aurelio, all'epoca ventenne, da molti anni con la fissa delle moto e della pista. Inizialmente gli vietai di iscriversi alla corsa, ma alla fine lo assecondai temendo che la sua insoddisfazione capricciosa potesse essere una variabile difficile da controllare e grazie alle pressioni del Presidente fu inserito in una squadra di primissimo piano.
Il Grande Circo Massimo si correva all'interno dell'Urbe su un percorso di dieci chilometri da percorrere dodici volte. Le qualifiche si aprirono con 86 piloti che aspiravano ad un posto nello schieramento di partenza, io tremavo, temendo un imprevisto o un incidente ma filò tutto liscio fino al sabato pomeriggio
Il Grande Circo Massimo si correva all'interno dell'Urbe su un percorso di dieci chilometri da percorrere dodici volte. Le qualifiche si aprirono con 86 piloti che aspiravano ad un posto nello schieramento di partenza, io tremavo, temendo un imprevisto o un incidente ma filò tutto liscio fino al sabato pomeriggio. Ogni sera lungo il tracciato della gara chiuso al traffico, i piloti facevano festa con gli appassionati giunti da tutta Europa e Roma, in quei giorni, vide più motociclisti festanti che turisti a S. Pietro. Meglio che al Giubileo.
La domenica la città era in pieno clima pre-gara, il Grande Circo Massimo aveva effettivamente catalizzato l'attenzione di tutto il mondo sportivo e portato quell'aria di grandeur da moltissimo tempo assente da Roma; mio figlio occupava il trentesimo e ultimo posto in griglia, agguantato grazie ad un piccolo aiutino dal team che fece fare al top rider in squadra un giro di qualifica con il transponder di Aurelio, a sua insaputa.
Dopo una breve cerimonia che accrebbe la maestosità e quasi sacralità dell'evento, alle 14 in punto fu dato il via alla gara; Arrigo mi stava accanto e ridendo mi suggerì un “morituri te salutant”.
Mentre le motociclette schizzavano via dal rettilineo di partenza ricavato in via Cristoforo Colombo, spiegavo ai microfoni della stampa internazionale che tutti i team e le Case partecipanti avevano scelto di non depotenziare i motori e di accorciare invece i rapporti del cambio per imbrigliare belve da 280 chilometri all'ora entro i 199 concessi dal regolamento; tutti i team avevano privilegiato la maneggevolezza della motocicletta piuttosto che la stabilità: le moto erano nervose, vibranti, delle anguille che saettavano da un lato all'altro delle strade per l'occasione riasfaltate e immacolate; le immagini televisive mostravano i piloti di punta guardinghi, poco aggressivi, molti non erano abituati al contatto diretto in gara e altri non erano avvezzi a gareggiare nella mischia tra il lungo Tevere e uno spartitraffico, quindi si tenevano un po' di margine. I piloti privati, invece, rischiavano ad ogni ingresso di curva come se non ci fosse un domani, dannandosi come matti si davano gran sportellate e incrociavano pericolosamente le improbabili traiettorie mandando gli spettatori in estasi e il telecronista a prenotare un trapianto di corde vocali.
Il primo passaggio del serpentone formato dalle moto in gara sotto le tribune del Viale Aventino fu epico: il rombo evocava quello di una legione che incede percuotendo gli scudi per intimorire i nemici, la folla si alzò in piedi e in quegli attimi provai tutta la soddisfazione per avere avuto l'intuizione giusta; i miei conti erano tornati, e con gli interessi. Ero ricolma di autostima e felicità, abbracciai d'istinto Arrigo e lo strinsi fortissimo ringraziandolo per il suo supporto insostituibile che aveva pure sortito un non ricercato effetto: portare il Grande Circo Massimo a rubare la scena al campionato del mondo di motociclismo su pista grazie alla virile rudezza della corsa e al clima molto più passionale dell'intero week end di gara. Gli appassionati vedevano oramai le gare che si svolgevano sui tradizionali circuiti come il Mugello o Assen come un campionato patinato e distante da loro, nel quale correvano piloti un po' snob e viziati, mezze signorine piene di paure e distinguo, mentre il Grande Circo Massimo era assurto al grado di Cassazione del Motociclismo e quel pomeriggio avrebbe decretato in prova unica il pilota più forte e coraggioso dell'intero pianeta. Si era così parlato di “gara di Stato” e di concorrenza sleale ad un campionato la cui tradizione era garanzia di legittima autorevolezza, ma erano malumori faziosi.
Il Grande Circo Massimo aveva radunato oltre un milione di spettatori, motociclisti, semplici appassionati, turisti in bermuda, gente da ogni parte d'Europa, producendo un giro di denaro che aveva ripagato tutti gli sforzi e sdoganando la mia futura candidatura alla poltrona di Sindaco della Capitale.
Questo, sei anni fa.
La statistica mi presentò il conto. Arrigo mi aveva già avvertito che ci sarebbero state cadute e incidenti: ce ne sono in ogni gara di moto, noi dovevamo solo sperare che nessuno si facesse troppo male. Nessuna caduta il giovedì, nessuna caduta il venerdì, nessuna caduta il sabato. Sembrava un mezzo miracolo, la gara proseguiva e lo spettacolo era straordinario, irripetibile.
Foresine affiancò in rettilineo McCarthy e gli piantò un dito sulla leva del freno anteriore, causando l'immediata caduta dell'irlandese. Fortunatamente McCarthy scivolò senza incontrare ostacoli e rimediò solamente alcune fratture
Al settimo giro era in testa l'esperto irlandese Alec McCarthy, tallonato da vicino da Rick Foresine, un coraggioso e sorprendente pilota privato. Ci fu un contatto: nel sottopasso appena prima di Piazza di Porta Maggiore, Foresine azzardò un sorpasso a McCarthy che non si fece intimorire e tenne la traiettoria portando Foresine dritto contro la colonna dell'acquedotto appena fuori l'uscita; il pilota italiano evitò per un soffio l'impatto e perse un paio di secondi che recuperò in poche curve, indiavolato e aggressivo più di prima. Sicuramente la manovra al limite del criminale di McCarthy lo aveva imbufalito: Foresine affiancò in rettilineo McCarthy e gli piantò un dito sulla leva del freno anteriore, causando l'immediata caduta dell'irlandese. Fortunatamente McCarthy scivolò senza incontrare ostacoli e rimediò solamente alcune fratture. Foresine invece fu immediatamente squalificato e dovettero trattenere la folla che desiderava saltare la recinzione per linciarlo e appenderlo sul Cupolone. Mio figlio Aurelio e la sua sua motocicletta rossa a due cilindri in quel momento di grande pathos erano in ultima posizione. Non ricordo bene dove fosse mio marito, credo al bar. Entrambi erano dove meritavano di essere. Mi arrivò una telefonata del Presidente:
- Tuo figlio potrebbe non essere così fortunato.
- Come? Scusa Presidente non sento bene, qui c'è troppo rumore.
- Hai visto che brutto incidente? Solo il caso ha evitato che quel pilota ci lasciasse le penne. Lo sai che una volta di un pilota caduto al Tourist Trophy si è dovuto cercare la testa per qualche ora, mentre il corpo era praticamente esploso dentro la tuta?
- Speriamo che non capiti qui...
- Suvvia Lorena, non mi fare arrabbiare e fai la brava: Arrigo ha una lettera pronta con le tue dimissioni irrevocabili e una tua dichiarazione alla stampa di ammissione di colpevolezza e piena confessione per tutto l'affare delle strade della provincia di Trantoli. Firma tutto e subito, altrimenti provvedo io stesso a far chiudere l'elettrovalvola nascosta sul circuito dei freni della moto di Aurelio. Tra poco tuo figlio passerà su questo rettilineo, poi dovrà frenare dai 199 ai 50 all'ora. Cosa potrebbe accadere se rimanesse senza freni?
La comunicazione si interruppe. Guardai Arrigo incredula, lui aveva già la carpetta in mano e una penna, con la faccia di legno evitava di guardarmi negli occhi.
- Firma Lorè. È meglio così, guarda che non scherza.- mi disse porgendomi la penna.
- Col cazzo che firmo!! Io vi denuncio tutti! Faccio un macello! - ero incredula e tramortita.
- Si, ma dopo: ora vuoi giocare con la vita di tuo figlio? Firma! - Arrigo era rosso in volto.
- No, non firmo, Arrigo. Maledizione, pure te in questa congiura?
Ti sei esposta troppo. Dovevi continuare a farti i tuoi affari sottobanco e invece ti sei messa a fare una cosa fatta bene, onesta, ti stavi prendendo pure tutti i meriti. Hai fatto incazzà tutti. C'è gente che ha interessi e tu ti sei messa contro di loro, so' tanti e so' 'ncazzati. Qua non stanno mica a scherzà, Lorè. Manca poco, firma!!
Aurelio prese in pieno il muro. La sua moto esplose e il motore fu ritrovato distante, dentro un negozio cui aveva sfondato la vetrina, per puro caso non ci furono vittime colpite dai detriti della motocicletta. Io mi ricordo di averlo visto passare, un breve lampo rosso. Centonovantannove o duecentosessanta, che differenza avrebbe fatto? Sentii il dolore penetrarmi dentro come una lama fredda e mi stupii di non morire anch'io nel medesimo istante in cui udii il frastuono dell'impatto.
Con Gianluca ci chiudemmo in un silenzio funereo. Ottenni per Aurelio i funerali di Stato cui parteciparono undicimila motociclisti. Alla fine della cerimonia un lungo corteo in moto sfilò fino al luogo dell'incidente dove una foto di Aurelio era circondata da fiori e caschi da motociclista che in molti avevano voluto donare come estremo gesto di rispetto. Fu un lungo pomeriggio alla fine del quale un uomo barbuto sui sessanta, su una moto simile a quelle dei film di Steve McQueen mi affiancò, lo avevo visto qualche volta: era un affermato cronista che collaborava con un giornale di motociclette.
- E lei ci crede? - mi sussurrò lasciandomi un biglietto col suo numero. - no, perché glielo dico subito che su internet si è già scatenato un putiferio... c'è gente che sta analizzando le immagini delle riprese e si stanno facendo un sacco di congetture, mi comprende?
Accettai il biglietto e mi allontanai.
Il pomeriggio prima Arrigo mi aveva messo in guardia:
Ci sgameranno, dai video si vede benissimo che Aurelio ha tentato di frenare. Ai motociclisti non gliela dai a bere. Non siamo ad un programma televisivo di mercanti di dolore, siamo in mezzo ai motociclisti, gente che ha un'appartenenza e una passione
- Ci sgameranno, dai video si vede benissimo che Aurelio ha tentato di frenare. Ai motociclisti non gliela dai a bere. Non siamo ad un programma televisivo di mercanti di dolore, siamo in mezzo ai motociclisti, gente che ha un'appartenenza e una passione. Saranno spietati come non riuscirebbe alla magistratura, insinueranno i dubbi e ben che vada la tua immagine ne uscirà danneggiata da un evento torbido; i giornalisti ci andranno a nozze. Mi dispiace Lorena, dovevi cedere.
- Non mi importa. Potrò sempre dire che era una vendetta dei poteri che non vogliono la rinascita di Roma. Farò di mio figlio un martire, anzi, un eroe di coraggio e passione e formerò un partito, le elezioni sono vicine. Guarda quanta gente. Ho un milione di follower su internet, magari ne farò un movimento.
Ma non ci credevo nemmeno io.
Da quella domenica sono passati sei anni.
Io e Gianluca ci siamo separati quando ho chiuso con la politica. Di Arrigo ho perso le tracce tre di anni fa, diceva che ero pazza. Del Presidente beh... diciamo che siamo rimasti in contatto. Gli ho perdonato le sue crisi di gelosia, il suo volermi sempre tutta per sé senza accettare che avessi una famiglia e una vita mia e insieme a lui sono fuggita da questo Paese che non ci merita: giriamo il mondo in motocicletta. Facciamo finta di essere persone diverse, senza progetti né obiettivi se non spostarci per evitare di fare crescere radici, e rimorsi.
Abbiamo pure un profilo facebook dove raccontiamo i nostri viaggi con dei video: fanno un milione di visualizzazioni ciascuno; stiamo recuperando quella libertà che avevamo perso vivendo fin dai sedici anni un'inutile passione politica, ed è bellissimo. A sedici anni dovresti stare in motocicletta e divertirti. Si dovrebbe fare una legge che lo imponga.
Ogni tanto ci viene il dubbio di avere fatto la cosa giusta. Ogni tanto, non sempre.